Recensione del film “Easy Rider” di Dennis Hopper (1969).
Sottotitolo mio: On the Road Again, saccheggiato dai Canned Heat. Prima di andare in pensione, come qualcuno fra i miei lettori sa, la mattina mi intrattenevo con le migliori menti della [mia] generazione (per citare l’Allen Ginbserg di Urlo) successiva alla mia: ero insegnante. E non aggiungo altro.
Ora, se un mio allievo mi avesse chiesto: “Prof, saprebbe spiegarmi cos’è stato il ’68?”, avrei potuto rispondere: “Guarda “Easy Rider” di Dennis Hopper e capirai”.

Dice George (Jack Nicholson) parlando di dischi volanti:
“Be’, sono delle persone come noi, e vengono dal nostro sistema solare. Solo che la loro società è più evoluta della nostra. Voglio dire che non hanno guerre, non hanno sistema monetario e soprattutto non hanno capi, perché ognuno di loro è un capo. Voglio dire: ognuno, grazie alla loro tecnologia, è in condizione di nutrirsi, vestirsi, avere una casa e circolare come vuole, senza differenze né sforzi”…-
Il grande sogno (della mia generazione). Con un pizzico di tristezza aggiungo che (senza rivelare il finale) questo tipo di sogni termina proprio come succede nel finale di “Easy Rider”.
Mezzo secolo
Torniamo sulle strade americane. Quest’anno si celebrano i cinquant’anni dall’uscita della pellicola. Era un torrido 14 luglio del 1969, quando nelle sale americane uscì un film che a molti sembrò un’operazione ambiziosa ma senza speranze: una pellicola indipendente e per buona parte improvvisata, costata meno di 400.000 dollari (a tutt’oggi si stima che abbia incassato – nel mondo – più di sessanta milioni) e realizzata da due attori poco conosciuti dal grande pubblico.
Nonostante queste non ben auguranti premesse, i cinema di Los Angeles e di New York vennero presi d’assalto da giovani provenienti da ogni angolo del paese, attirati dal passaparola dei tanti gruppi della controcultura hippie.
Solo per amor di cronaca: sei giorni dopo, il primo americano sbarcava sulla luna e un mese dopo, Jimi Hendrix e altri musicisti infiammavano il popolo di Woodstock con il primo dei concerti/raduno della storia; a ottobre sarebbe poi morto Jack Kerouac, il cui “On the Road” può a buon diritto essere considerato la bibbia laica dei protagonisti di “Easy Rider”.
Genesi del film
Il regista Dennis Hopper racconta che l’idea iniziale venne a Peter Fonda. Decisero quindi di sceneggiarla, con l’aiuto di Terry Southern. Ma, all’arrivo sul set, lo script rimase aperto all’improvvisazione degli stessi attori: molti dialoghi nacquero così davanti alla macchina da presa e – a quanto tramandano le cronache – anche sotto l’effetto di droghe e acidi vari.

La storia ricorda per alcuni aspetti il grande cinema western americano. Il viaggio dei due bikers attraverso i paesaggi incontaminati del sud ovest degli USA viene esaltato dalla fotografia di László Kovács che, utilizzando quasi esclusivamente la luce naturale, cattura la potenza paesaggistica e ne esalta la dimensione selvaggia.
A proposito degli aspetti tecnici, non posso non citare anche il montaggio (ad opera dello stesso Hopper e di Donn Cambern), che cerca di evidenziare gli aspetti dal sapore psichedelico: nella celebre scena del cimitero ma anche per tutto il film, con l’apparente sfasamento delle transizioni tra i fotogrammi della sequenza in entrata rispetto a quella appena conclusa.
Musica e discorso sociale
Per finire, l’innovazione più iconica di tutte: la colonna sonora. “Easy Rider” è stato uno dei primi lungometraggi a fare interamente uso di musiche non originali, vale a dire non scritte appositamente per la pellicola. Dennis Hopper racconta di aver assemblato insieme le canzoni che amava sentire per radio, dando vita ad una hit parade senza tempo. A cominciare da “Born to be Wild” degli Steppenwolf: “Fai correre il tuo motore / a testa bassa sull’autostrada cercando l’avventura / e qualunque cosa capiti sulla nostra strada / Sì, cara, fa’ che succeda…”
Il discorso più importante resta però quello sociale. Gli hippies portano nella cultura americana (e mondiale) un vento di rinnovamento che trova molti ammiratori e molti seguaci.
Ma, allo stesso tempo, le idee che propugnano sono oggetto di disprezzo o di vero e proprio odio da parte della popolazione più conservatrice e retriva. I famigerati benpensanti o la piccola borghesia non sono preparati ad un mondo senza soprusi, senza guerre e senza differenze sociali (citazione iniziale). Il “sogno” di un mondo diverso svanisce a poco a poco fino a resistere – dove ancora c’è – in anguste riserve come quelle degli Indiani d’America.
Poi, come annotazione personale, vorrei aggiungere che – l’ho già scritto in un articolo pubblicato su ALIBI Online anni fa – quando ebbi la ventura di visitare gli USA, rimasi colpito dalla mentalità dell’interno del paese, mentalità che non è diversa dal tempo di “Easy Rider” e che spiega oggi l’ascesa di Donald Trump.
“Easy Rider” condivide con “The Graduate” (“Il laureato”) di Mike Nichols (1967) la nascita della cosiddetta “New Hollywood”. L’industria cinematografica, a corto di idee e di talenti, riesce a intercettare il vento anticonformista e apre le sue porte a una nuova generazione di autori, che si interessano delle inquietudini giovanili, della condizione femminile, della sessualità o della guerra.
Note e curiosità
Su questo film, ho trovato tantissime informazioni supplementari, ma mi sembra giusto aprire le note, con la recente morte di Peter Fonda: il 17 agosto. Aveva 79 anni ed era figlio di Henry (leggendario interprete di tanti western), nonché fratello di Jane e padre di Bridget.
Qualche breve cenno anche sul regista e co-protagonista, Dennis Lee Hopper. Nasce nel 1936 e muore per un cancro alla prostata nel 2010. Oltre ad “Easy Rider”, ha firmato la regia di altri sei lungometraggi; ben più intensa la sua attività come attore, anche con autori di prestigio. E, una curiosità: è la voce narrante in un brano dei Gorillaz (ne ho scritto nella recensione del film “Mystic River” di Clint Eastwood), dall’album “Demon Days”.
Per finire, le moto. Su questo argomento, ci sarebbero da scrivere altre cinquemila battute. Basterà dire che sono: il chopper “Captain America” e il bopper “Billy Bike”.
Furono costruiti due esemplari per ogni modello sulla base di Harley-Davidson Hydra Glide del ’49, ’50 e ’52. Dal momento che la Harley-Davidson si era rifiutata di fornire motociclette per il film (pensava che avrebbe potuto danneggiare la sua immagine), queste furono acquistate ad un’asta della polizia e quindi modificate.
Le varie motociclette costruite e usate nella pellicola furono rubate, smontate e vendute a pezzi. L’esemplare di “Captain America” bruciato (nell’ultima scena del film) venne ricostruito e venduto al National Motorcycle Museum di Anamosa (Iowa). Nel 2013 fu acquistata da un collezionista californiano (Michael Eisemberg), il quale, l’anno successivo, lo mise all’asta: il valore era lievitato a 1,35 milioni di dollari.
L S D
Easy Rider
Regia: Dennis Hopper
Interpreti: Dennis Hopper, Peter Fonda, Jack Nicholson e Phil Spector