“L’ALIBI della domenica” di questa settimana è dedicato a un grande “piccolo libro” di Leonardo Sciascia.
Di questi tempi una buona notizia è essa stessa una buona notizia. Se poi sono due, c’è da festeggiare. La settimana che si chiude oggi mi ha permesso di segnare sul diario due lieti eventi che brillano nel grigiore attuale. Per prima cosa sono finalmente tornato a teatro, dopo una lunga pausa imposta dalle disposizioni sanitarie contro il Covid-19.
L’ultimo spettacolo visto in un teatro “al chiuso” era stato l’Antigone di Sofocle nell’allestimento di Laura Sicignano e Alessandra Vannucci, messo in scena al Carcano nel febbraio 2020, quando ormai il virus si stava diffondendo. Dopo quindici mesi mi sono seduto in una poltroncina del Teatro Litta per assistere a Troia City, la verità sul caso Aléxandros di e con Antonio Piccolo.
La seconda buona notizia – per me – l’avevo annunciata alla fine della recensione di “Libri. Non danno la felicità (tanto meno a chi non li legge)” di Luigi Mascheroni, pubblicato da Oligo Editore. Anticipavo infatti che, proprio prima dello spettacolo teatrale, avrei incontrato un venditore di libri usati per ricevere dalle sue mani il mio “Numero Uno” (come il primo dollaro guadagnato da Zio Paperone), il primo volumetto della mia collana preferita.

Adesso posso svelarlo: si tratta di “Dalle parti degli infedeli” di Leonardo Sciascia, primo titolo della collana “La memoria” di Sellerio. Prima edizione 1979. Concluso a Racalmuto l’ultimo giorno di agosto di quell’anno. “Un’estate devastante”, scrive Felice Cavallaro in “Sciascia l’eretico” (Solferino), nel capitolo 5, “La verità e la bugia”. Un’estate di sangue: Giorgio Ambrosoli veniva ucciso a Milano l’11 luglio, Boris Giuliano a Palermo dieci giorni dopo.
La memoria
Riprendendo in mano “Leonardo Sciascia scrittore editore ovvero La felicità di far libri”, a cura di Salvatore Silvano Nigro (mi riferisco all’edizione 2003 per la stessa collana “La memoria”, non a quella “Fuori collana”, pubblicata nel 2019 in occasione del trentennale della morte dello scrittore e dei cinquant’anni dalla fondazione della casa editrice), ho scoperto che in realtà il primo volume sarebbe dovuto essere “Atti relativi alla morte di Raymond Roussel”, dello stesso Sciascia, stampato nel 1979 ma poi pubblicato l’anno dopo come numero 10 (per i curiosi: sì, ce l’ho). Nella sua “Testimonianza” Maurizio Barbato ricorda la collaborazione di Sciascia alla fondazione della collana, “cui aderì con iniziale ritrosia e prudenza”, alla ricerca “del piacere del dialogo tra intelligenze”.
“Dalle parti degli infedeli”, “piccolo libro” – per usare le parole dello stesso Sciascia (cito da pag. 77) –, ha come immagine di copertina la scena centrale del “San Girolamo nello studio” di Antonello da Messina, tavola conservata alla National Gallery di Londra. L’ho ammirata nella recente mostra monografica allestita al Palazzo Reale di Milano (2019) e in tutte le occasioni in cui sono stato a Londra.

Se dovessi seguire il metodo di visita dello scrittore Hisham Matar, ovvero concentrarsi su un’unica opera, sarei in difficoltà: opterei per questo gioiello o per il “Ritratto dei coniugi Arnolfini” di Jan van Eyck o, ancora, per il suo presunto autoritratto (“Ritratto di uomo con turbante rosso”)? Confesso che farei fatica a uscire dalla National Gallery senza dare almeno un’occhiata agli “Ambasciatori” di Hans Holbein il Giovane, a cui Nadia Fusini dedica il suo ultimo libro, “Il potere o la vita” pubblicato da Il Mulino nella collana “Icone. Pensare per immagini” (ne scriverò prossimamente). Ma la lista dei capolavori a cui non potrei rinunciare è lunghissima!
Monsignore e San Girolamo
Da Londra devo però tornare a Milano. Mi sentivo un poco carbonaro nel chiacchierare di libri e dei fatti della vita con uno sconosciuto nei pressi dell’ingresso della metropolitana. Ma cosa non si fa per soddisfare le proprie passioni (e per risparmiare le spese di spedizione!).
La scelta della tavola antonelliana per la copertina di “Dalle parti degli infedeli” non ha ovviamente motivazioni estetiche, non soltanto perlomeno. San Girolamo era infatti un autore particolarmente caro al protagonista del libro, monsignor Angelo Ficarra, vescovo di Patti per un ventennio, dal 1937 al 1957. “La posizione di san Girolamo nella storia della cultura” era stata la sua tesi di laurea all’Università di Palermo, un lavoro poi rielaborato per uscire in due volumi, a distanza di un quindicennio il secondo dal primo. “In quel 1919 in cui gli si conferiva l’arcipretura di Canicattì, pubblicava un accurato (e lodato) Florilegium Hieronymianum“, scrive Sciascia.

Facendo un po’ di ricerche mi sono imbattuto in questa citazione di Niccolò Tommaseo, dalmata di Sebenico, figlio di un commerciante che di nome faceva proprio Girolamo: “Da quattordici secoli nel deserto e nella reggia, nel chiostro e nel campo di battaglia, con le parole di un povero dalmata si loda Iddio”. Il “povero dalmata” è ovviamente san Girolamo, nativo di Stridone, oggi la croata Štrigova.
La soddisfazione di possedere la prima edizione di questa opera di Sciascia è poca cosa – per quanto grande – rispetto al piacere della sua lettura. Che come sempre con lo scrittore siciliano pungola la coscienza del lettore, risvegliandone la sete di giustizia. Sempre che questi ce l’abbia, verrebbe da dire socraticamente. Ma potremmo anche parafrasare don Abbondio: “La sete di giustizia, uno, se non ce l’ha, mica se la può dare”.
In partibus infidelium
Il piacere della lettura si manifesta per prima cosa come apprezzamento dello stile. Ne cito soltanto un breve periodo a mo’ di esempio: “Ma perché meravigliarci della causalità della casualità, di tutti gli assortimenti, i ritorni, le ripetizioni, le coincidenze, le speculari rispondenze tra realtà e fantasia, le indefettibili circolarità di cui è fitta la vita e ogni vita: se rappresentano – ormai lo sappiamo – il solo ordine possibile?”.
In ogni pagina, poi, si ammira la disposizione chiara degli elementi, delle ricostruzioni, delle osservazioni. Sciascia studia le lettere del vescovo e quelle inviategli negli anni dalla Sacra Congregazione Concistoriale perché lasciasse la sede. Fa parlare i documenti, chiosa, porta all’attenzione dei lettori la progressiva orditura del piano per cacciarlo.
Prima erano venuti incontro ai suoi desideri mandandogli l’ausiliare che non voleva: e così espressamente aveva detto di non volerlo che si era offerto di fare da ausiliare ad altro vescovo che ne avesse bisogno. Ora gli vengono incontro sollecitando la rinuncia che non vuol fare. L’edificazione della menzogna è compiuta. […] La progressione della menzogna è stata lenta nel tempo: ma continua, tenace, inflessibile. Ora l’edificio è perfetto. Spudoratamente e spietatamente perfetto. Solo che monsignor Ficarra non ci vuole star dentro”.
Lo dimetteranno, accettandone la rinuncia – di cui lui nulla sapeva -, nominandolo Arcivescovo di Leontopoli di Augustamnica, località a una trentina di chilometri dal Cairo, in cui gli Ebrei avevano costruito un “surrogato” del Tempio dopo la distruzione di quello di Gerusalemme da parte delle legioni di Tito.
Ma di questo riparlerò a breve, a proposito de “La conversione. Come Giuseppe Flavio fu cristianizzato” di Luciano Canfora, pubblicato recentemente da Salerno Editrice.
Saul Stucchi
- Leonardo Sciascia
Dalle parti degli infedeli
Sellerio
Collana La memoria, n. 1
1979, 88 pagine
Fuori catalogo - Leonardo Sciascia
Dalle parti degli infedeli
Adelphi
Collana Piccola Biblioteca Adelphi, n. 311
1993, 5ª ediz., 73 pagine
1′ €