Si legge nell’arco di una pausa caffè rilassata (come dovrebbero essere tutte) “Libri. Non danno la felicità (tanto meno a chi non li legge)” di Luigi Mascheroni che Oligo Editore manda in libreria come secondo titolo della collana Piccola Biblioteca Oligo. È davvero un librino, per dimensioni e numero di pagine, meno di una trentina.
“Un pamphlet che desacralizza l’oggetto libro, ne smitizza l’aura miracolosa e ne ridimensiona la missione salvifica di cui è stato caricato, soprattutto da chi i libri li ignora”, recita l’incipit del testo pubblicato sul risvolto di copertina (mentre in quarta campeggia la marca tipografica di Aldo Manuzio).
Lo dico subito: il volumetto è pensato per stuzzicare gli amanti dei libri ed è scritto da uno di loro (di noi). E aggiungo che in più di un passaggio l’evidente intento provocatorio dell’autore mi ha un poco irritato.

Caso ha voluto – ma il caso, si sa, non esiste – che la lettura di “Libri. Non danno la felicità…” sia coincisa con quella dei primi capitoli di “Contra la España vacía” di Sergio del Molino che uscirà in Spagna a giugno da Alfaguara. È una sorta di postilla al suo intenso saggio “La Spagna vuota” del 2016, tradotto in italiano da Sellerio (2019).
Le prime pagine sono tutte dedicate alla figura del “pijoprogre”, il fighetto intellettuale più o meno engagé, bersaglio prediletto della retorica populista (ma non solo). Ecco: gli “intellos” ritratti da Mascheroni sono compagni di strada dei pijoprogre spagnoli, detti anche “gafotas”, occhialuti o quattrocchi. Compagni che sbagliano, va da sé.
Una scorsa alla biografia riportata sull’altra aletta della copertina svela – se ce ne fosse bisogno – che Mascheroni è nel novero dei chierici: “Giornalista, dal 2001 lavora nella redazione Cultura de ‘Il Giornale’ e insegna Giornalismo culturale all’Università Cattolica di Milano”, etc…
Pagine provocatorie
Già alla seconda pagina (la numero 6) mi sono ritrovato a scuotere la testa, metaforicamente (ma non troppo): “Se volessimo lanciarci in una provocazione, che non coinvolge i nostri intellettuali da salotto, ma ha un valore generale, ricorderemmo – come la Storia insegna, e non solo quella antica – che gli uomini più pericolosi per la civiltà del libro non sono gli ignoranti, gli analfabeti e gli oscurantisti, ma gli uomini di cultura”. Segue elenco di feroci acculturati.
Beh, non sono d’accordo. Non so voi, ma io ho MOLTA più paura degli ignoranti e degli oscurantisti che degli uomini di cultura. A questo riguardo consiglio, en passant, la lettura di “Libro e libertà” di Luciano Canfora (Laterza), in particolare del secondo capitolo, intitolato “Timeo hominem unius libri”.
Trasvolo sui riferimenti al “politicamente corretto” e alla “cancel culture” (io, ma anche l’autore – ne sono convinto -, siamo abbastanza intelligenti da non crederci e lo stesso mi auguro di voi) e tralascio anche le stoccate ai giornalisti (i giornalisti che ce l’hanno con i giornalisti, mio cielo! Sentiremo gli echi di queste polemiche anche quando non ci sarà più il giornalismo – ovvero tra poco, temo – come le stelle mandano ancora luce dopo che si sono spente per sempre). Chiudo un occhio anche sui quattro o cinque refusi, alcuni dei quali sembrano lapsus calami, come “tregua” per “stregua” e “leggeri” per “leggerli”.
Approdo così a una considerazione che condivido: l’atto di leggere, di per sé, non rende né migliori né peggiori. Il libro è uno strumento, dunque per natura “neutro” (direbbe un filosofo tedesco contemporaneo di Schopenhauer). Beniamino Placido correggerebbe il tiro, ripetendo quello che scrisse nel 1993 nel pezzo con cui annunciava l’arrivo al capolinea della rubrica “A parer mio” che teneva su “La Repubblica”: “Non è vero che un nuovo mezzo di comunicazione (sia stradale, sia concettuale) può essere neutro. Non è mai neutro. Se funziona, modificherà il nostro rapporto con il reale”.
Come tutti gli strumenti, i libri modificano il reale. Il corollario è che un libro cattivo funziona male o, peggio, provoca danni, mentre un libro buono funziona a dovere e, nel migliore dei casi, produce buoni frutti.
Il libro è una sfida
Tra un prurito e un’irritazione, mi capita anche di concordare con Mascheroni su altri punti. Credo anch’io che leggere sia un sacrificio e che non tutti i libri valgano e meritino lo sforzo. Ancora più fermamente che il libro sia una sfida, non un passatempo.
Lo dice uno che ha finito proprio oggi la rilettura di “Giuseppe e i suoi fratelli” di Thomas Mann, più che una “montagna magica” una catena montuosa di quattro vette, una più scoscesa e impervia delle altre. Un’impresa da scalatori arditi e insieme attenti speleologi.
Come potrei dire che la sua lettura non mi ha cambiato? Mi aveva lasciato il segno già trentacinque anni fa, quando – ragazzino – tentai di leggere il volume “Giuseppe in Egitto”, attirato dall’ambientazione “faraonica”. Non arrivai a metà del libro e dovettero trascorrere quasi due decenni perché prendessi in mano l’intera tetralogia e ne facessi uno dei pilastri della mia vita (non solo culturale).
Se Mascheroni “ha circa 20-25 mila libri, ma ne ha letti pochissimi”, anch’io nel mio piccolo sono un accumulatore seriale, con più libri di quelli che potrei leggere da qui al finale di partita. Non so a lui – glielo chiederò, magari -, ma a me ciò provoca ansia. Anche se non mi impedisce affatto di proseguire su questa cattiva strada, anzi…
Tanto è vero che domani, prima di tornare finalmente a teatro, incontrerò un venditore di libri usati che mi consegnerà quello che considero il mio “Numero Uno”, il primo volumetto della mia collana preferita. Se i libri non danno la felicità, ci vanno vicino.
Saul Stucchi
Luigi Mascheroni
Libri
Non danno la felicità (tanto meno a chi non li legge)
Oligo Editore
Collana Piccola Biblioteca Oligo
2021, 36 pagine
12 €