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Voi siete qui: Interviste » Leonardo e la pantera profumata: intervista a Mauro Di Vito

23 Dicembre 2009

Leonardo e la pantera profumata: intervista a Mauro Di Vito

battista_ante ALIBI Online ha intervistato Mauro Di Vito, storico dell’arte e della scienza dell’Università degli Studi di Pisa, autore del saggio Lo specchio fumoso dell’anima: il San Giovanni Battista di Leonardo tra storia della cultura e iconologia pubblicato nel catalogo Leonardo a Milano. San Giovanni Battista (edito da Skira per la cura di Valeria Merlini e Daniela Storti).

Nel suo saggio analizza i gesti del Battista (le mani, la postura del collo, il sorriso…). Quanti e quali di essi sono originali di quest’opera o più in generale di Leonardo e quanti invece sono più comuni ai predecessori e ai contemporanei del genio vinciano?
Il gesto dell’indice alzato fa parte della tradizione iconografica del Battista, almeno dal Battistero di Parma, se ben ricordo, il Battista è reffigurato così. Secondo le vite (Jacopo da Varazze, Legenda aurea e Domenico Cavalca, Vite de’ Santi Padri) ma anche secondo la cultura relativa al Battista nelle Sacre Rappresentazioni (Feo Belcari e altri) il Precursore indica a dito la venuta del Salvatore.
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Altre pose, come ad esempio la testa reclinata o la mano sinistra sul petto sono parte della tradizione sinergologico-prossemica e non solo sono parte del linguaggio non verbale da qualche migliaio di anni, ma Leonardo li usa in modo del tutto programmatico per esprimere i significati ad essi legati. Purtroppo l’abisso che ci divide dalla cultura rinascimentale e anche quello che spesso ci disconnette dai nostri cervelli non ci permette di vedere il palese, e cioè che i movimenti del San Giobatta sono tre: il primo nella testa, di inclinazione e inclusione dello spettatore (Shearman), unito alla rassicurazione espressa dal sorriso. Il secondo è quello della mano sinistra, che suggerire la meditazione, (“non io ma Lui”, sembra dire), poiché non solo si rivolge al cuore, sede dei sentimenti e dell’intimità, ma persino rivolge due sole dita, simbolo della finitudine umana e del secondo gradino dell’itinerario della mente verso Dio, secondo Bonaventura da Bagnoregio. Il terzo è quello tipico del Battista, che indica a dito la venuta di Cristo, come abbiamo detto.

Mi chiedo come sia possibile non vedere la semplicità del dipinto, la sua sacralità, che nella sua icasticità non è affatto misterioso. Purtroppo oggi è compreso e visto come enigmatico, simile alla Gioconda, furbo, o per citare Martin Kemp (uno dei più acuti studiosi di Leonardo), “la proiezione delle pulsioni omosessuali di un vecchio nei confronti del proprio garzone di bottega” [cito a memoria].

Lei afferma anche che il San Giovanni Battista sfugge al processo di depauperamento che colpisce le opere d’arte perché esige una visione autottica per essere ammirato come merita. Concordo. Ma mi e le domando se la stessa cosa non valga per tantissimi altri quadri, non necessariamente tutti capolavori… E che dire poi della moda “Leonardo” che impazza in questi anni?
Tutti i quadri sono infotografabili e andrebbero visti dal vivo, ovvio, ma in particolare questo dipinto, essendo scuro, è del tutto difficile da vedere. Il nero assorbe la luce e il bianco la riflette, la nostra pupilla guardandolo al Louvre dove è esposto normalmente si restringe poiché la luce solare lo spegne, gli toglie la sua profondità. [Curioso questo sito]
leonardo_naturaCredo fermamente che un dipinto come questo andasse visto allo stesso modo in cui più o meno lo abbiamo installato noi, si tratta di un dipinto notturno, normalmente coperto da una tendina e svelato in un processo di manifestazione rituale della immagine sacra. Non solo: in condizioni di luce diurna (e Leonardo studiava proprio queste cose nel Trattato della pittura) il dipinto scompare. Come aprire e chiudere le finestre di una stanza per dare luce, dice Leonardo descrivendo l’occhio umano.
Riprodurre le condizioni di illuminazione che Leonardo avrebbe voluto per il dipinto, sulla base dei dati culturali che si evincono dalle sue caratteristiche, (misure che lo rendono un dipinto privato e oscurità che lo fanno un quadro notturno) ci permette di capire anche che si tratta di un dipinto da illuminare con una lucerna o una candela, e come tale San Giovanni Battista è definito nel Vangelo di Giovanni.
Cap.I
6 Venne un uomo mandato da Dio
e il suo nome era Giovanni.
7 Egli venne come testimone
per rendere testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
8 Egli non era la luce,
ma doveva render testimonianza alla luce.
9 Veniva nel mondo
la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
10 Egli era nel mondo,
e il mondo fu fatto per mezzo di lui,
eppure il mondo non lo riconobbe.
11 Venne fra la sua gente,
ma i suoi non l’hanno accolto.
12 A quanti però l’hanno accolto,
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
13 i quali non da sangue,
né da volere di carne,
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.

Si crea quindi un ulteriore legame simbolico tra il personaggio e la luce che lo illumina. E questo legame era certo sfuggito a chi lo installò al Louvre, troppo tardi ormai per cambiare le cose, poiché adesso, immagino che l’installazione del museo francese sia a sua volta vincolata come bene culturale, e quindi non può essere cambiata. Così, voi vedrete il San Giovanni Battista di Leonardo nelle sue condizioni ottimali di illuminazione solo in questa mostra, o in condizioni analoghe.

E dell’“esaltazione” di singole opere in mostre temporanee, esposte ai riflettori dei media per poi “scomparire” nella “quotidianità” delle collezioni permanenti? Lo stesso San Giovanni, nella Grande Galerie del Louvre, non attira le fiumane che si assembrano di fronte al totem della Gioconda…
I musei sono la morte dell’arte in quanto decontestualizzano le opere dalla loro installazione originaria, sono come dei frigoriferi in cui si stipano dei cibi, da consumare nel migliore dei modi, in modo tale da permettere confronti. Il Museo nasce come spazio immaginario, fa parte di una tendenza feticistica di prolungamento innaturale del tempo vita di un oggetto, poiché l’oggetto stesso è un capolavoro, anche se fuori moda. Ma è la moda che sceglie ciò che è bello e ciò che non lo è. Il gusto. Una pala d’altare in museo non ha più le funzioni originarie.
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Al Louvre il dipinto, come mi sembra di aver dimostrato, sparisce. Sparisce per condizioni di illuminazione stranianti. Dopotutto i musei fanno parte di quella tendenza positivistica di pulsione anale al collezionismo dei gabinetti di meraviglie che servono a esporre cose che déstino lo stupore delle classi abbienti e con un gusto raffinato. Solo dicendo questo si comprende meglio come andare in un museo sia così faticoso: si tratta di luoghi che snaturano le radici culturali dei dipinti.

Lavorando per un anno agli Uffizi ho studiato a lungo il comportamento dei visitatori: si fermano per lo più solo di fronte ai dipinti noti o famosi, stazionano per qualche secondo, commentano con qualche sciocchezza, fanno battute e proseguono. Questa ironia serve a stemperare l’ignoranza, l’imbarazzo con il quale tutti noi dobbiamo fare i conti: senza uno studio approfondito di ogni opera è inutile vederla, comprenderla. Tanto vale vederla in foto. Ci vorrebbero didascalie di pagine e pagine, e così ci si stanca, poiché si è come prigionieri del nulla.

Per questo una mostra come quella di Leonardo a Milano punta tutto sulla valorizzazione (come ha giustamente notato Cecchi alla conferenza stampa), in quanto curatori ed esperti sono in sala per andare incontro al visitatore, per lasciargli qualcosa in più, qualora volesse approfondire. Ma tutti ormai sono educati ad andare nei musei e a contemplare e a non farsi domande, o peggio, a farsi bastare quelle che hanno già. In questo la mostra è in controtendenza, crea dibattito e quindi è più scientifica, non autoreferenziale come le altre, interattiva.

Mi incuriosisce particolarmente il tema della veste del Battista. Lei scrive: “l’elemento del maculato è inserito da Leonardo in senso simbolico, non c’è altro motivo che giustifichi il deliberato atto di distanziamento da una tradizione iconografica secolare, che prevede la pelle di cammello”. Perché Leonardo avrebbe “tradito” la tradizione?
Leonardo tradisce la tradizione per veicolare un simbolo aggiuntivo, avviene sempre così, non è solo lui a farlo. Quando una immagine sacra si distanzia da un testo sacro di cui è l’illustrazione (e dalla tradizione figurativa) è perché in quel distacco bisogna leggere qualcosa di nuovo, un simbolo inserito a bella posta per arricchire il significato dell’iconografia. Le risponderò citando un pezzo dell’articolo lungo che sto per pubblicare, ma che per motivi di spazio non ha potuto finire sul catalogo. Devo queste informazioni a una mia grande Maestra, Cristina Giorgetti, di Firenze.
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La pelle maculata è uno degli elementi che ci pongono più interrogativi, essa è riconducibile alla pantera, al leopardo o alla lince. Il vello di questi animali non è solitamente vestito dal Precursore, che, per convenzione, indossa una pelle di cammello. Secondo le fonti la Provvidenza divina ha fatto sì che egli trovasse questa pelle nel deserto, dopo che i suoi vestiti si erano logorati. La pantera, analogo rinascimentale del leopardo e della lince, è stata riconosciuta da pochi studiosi, e mai come lince. Ciò che analizzeremo non è la specificità dell’animale, bensì la simbologia della sua pelle maculata, anche perché questo concetto è quasi del tutto ignorato nella letteratura storico artistica. Altri studiosi non hanno voluto riconoscerla, nonostante le chiare macchie, forse per non concedersi alla falsa ipotesi di un esotismo lascivo. Purtuttavia il dato visibile è inequivocabile: la pelle che indossa il personaggio è maculata. Il maculato è in genere connesso al sacro, o meglio alla sfera dell’aldilà e del soprannaturale e, per questo, ai concetti di puro e impuro. Chi è macchiato è in un certo senso contaminato e preda della morte. Ma chi sopravvive alla macchia, salvandosi dalla morte, è stato scelto da Dio. Così chi indossa pelli maculate (spesso solo limitate al colletto di pelliccia ed è raro che coprano completamente il corpo) è inevitabilmente impuro (prostitute, banchieri, cambiavalute, usurai) o ha superato l’impurità ed è a conoscenza del segreto della vita (sacerdoti, profeti, messaggeri divini, filosofi). Ciò è chiaro secondo la teoria della segnatura che assimila le forme al simbolo per analogia semantica.
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La pantera, o leopardo, nei bestiari medievali moralizzati è la figura del buon predicatore e del Cristo. Essa è un animale che presenta un forte profumo (metafora delle virtù) al quale nessuno degli altri animali può resistere, ad esclusione del drago, simbolo del maligno, animale dal fiato pestilenziale, che la fugge. Leonardo riprende la stessa nozione dalla Storia naturale di Plinio nei suoi appunti. L’idea che il San Giovannino possa quindi essere un dipinto profumato per l’avvicinamento della venuta di Cristo è così rafforzata non soltanto dalla sua chioma stillante balsami, ma anche dai suoi vestiti, che, secondo le credenze del tempo, testimoniateci dalle fonti letterarie, rappresentano l’animale più profumato di tutti. Questo elemento è simbolico: abbandona la tradizione iconografica e narrativa tradizionale, per inserire un attributo nuovo. Andrà da sé che il motivo per cui il pittore si permette una simile licenza è giustificabile attraverso l’intento di aggiungere significato all’elemento stesso. Questa iconografia prenderà piede con Leonardo, Raffaello e Parmigianino, anche se i San Giovanni con la pelle di pantera sono piuttosto rari. Lo scollo della pelle annodata, che lascia vedere la forma delle membra è propria, secondo il Trattato della pittura, delle ninfe o degli angeli .
Il curioso vestito maculato acquista a maggior ragione un significato, poiché il suo profumo è testimoniato anche dalle fonti:
“e quando e’ [Cristo, n.d.r.] fu presso a un miglio e mezzo a Giovanni, cominciava a venire un grandissimo odore con una nuova divozione e letizia, e incontanente cognobbe che era Cristo che veniva; e volgesi d’intorno e nol vede ancora; e lascia istare ogni altra cosa, e guardavasi d’intorno da qual parte venisse; ed era tanta l’allegrezza che mostrava nella faccia sua, che coloro che stavano d’intorno, se n’avvedevano e molto si maravigliavano” [Cavalca, Vita, p. 267].
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La pelle di lince effettivamente dipinta da Leonardo può comunque alludere alle caratteristiche di preveggenza e vista acuta del Battista-Precursore. Tuttavia, grazie all’aiuto delle fonti sulla vita del Battista e al testimoniato interesse di Leonardo per la figura del pittore Apelle, in grado di dipingere l’invisibile, ritengo che egli volesse attribuire alla pelle maculata la caratteristica del profumo di santità. In ogni caso le ambiguità nella tassonomia degli animali maculati e la loro denominazione interscambiabile (lince, pardo, pantera, lupo cerviero, leopardo, oncia, lonza) sono culturalmente e storicamente importanti poiché, per analogia, grazie alle qualità della pelle a macchie, questi animali erano assimilati a un’unica categoria, come ho cercato di spiegare. Quale altro modo avrebbe avuto Leonardo di significare un profumo in un’ immagine se non con la pelle di un animale riconosciuto come fragrante? In tal senso è prezioso l’esempio dato da Mariano Luigi Patrizi, una figura completamente dimenticata della nostra cultura.

Egli si chiese, con i mezzi della sua epoca, e grande lungimiranza, quali fossero i dati sensibili nei dipinti: non solo ciò che si vedeva raffigurato, ma anche ciò che le immagini suggerivano agli altri sensi. Nella sua opera si può ritrovare un approccio alla fisiologia dell’arte, che dovrebbe essere rivalutata alla luce delle conoscenze di oggi, in quanto, come dimostra il dibattito su questo dipinto, la critica si è allontanata dalle istanze fisiologiche per concentrarsi sempre più su quelle stilistiche e psicanalitiche trascurando quelle della ricezione.

I suoi contemporanei sarebbero stati in grado di riconoscere la pelle di lince-pantera e interpretare correttamente il cambiamento?
Secondo Lei? in un mondo senza televisione le cose da sapere erano molto meno, e il mondo naturale era il più indagato e conosciuto perché era la fonte della salvezza (medicine). I simboli possono essere letti a un grado di conoscenza superiore da parte di un iniziato e a un grado di coscienza inferiore da parte del popolo, questo non significa che il popolo non mettesse subito in relazione il concetto di macchia con quello di morte, e, quindi, di sacro.
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La “pantera profumata” mi attiva immediatamente il collegamento con il saggio di Marcel Detienne intitolato nell’edizione italiana (per Laterza) proprio Dioniso e la pantera profumata. Scrive tra l’altro lo studioso francese: “nella sua tecnica di caccia, la pantera combina inganno e seduzione: la trappola che essa tende alle sue prede non è altro che il suo corpo di fiera il cui profumo fa dimenticare la morte vorace che cela in se stesso. Questa seduzione che si opera attraverso l’odorato doveva comportare come conseguenza l’intima associazione della pantera con l’immagine della donna profumata dal corpo desiderabile”. Lo stesso animale caratterizzato da un particolare così originale (direi “identificativo”) può alludere a due significati così distanti come il virgineo nazireo che prefigura il Cristo e la “donna profumata dal corpo desiderabile”??
leonardo_panteraCerto, poiché la pantera di Detienne è dionisiaca, e quella del Battista è sacra. Conosco bene il libro di Detienne, ma quello che Lei fa è applicare una categoria giusta (odore della pantera) a un periodo sbagliato, in questo modo Lei non considera che tra il periodo di cui tratta Detienne e Leonardo c’è di mezzo la Cristianizzazione del mondo europeo.
Che di fatto il Giobatta sia seducente mi può anche andare bene, ma in senso dell’amor divino, poiché si tratta di un dipinto a funzione sacra meditativa e privata. Il profumo è veicolo della purezza. Stesso motivo per cui Giovanni battista fa voto di nazireato, cioè di non tagliare capelli e barba di non commettere atti impuri e di non bere vino.

Secondo la definizione di Num. 6, 2-21 [De voto nazaraeatus]; cfr.:“Quando un uomo o una donna farà un voto speciale, il voto di nazireato, per consacrarsi al Signore, si asterrà dal vino e dalle bevande inebrianti [et omni quod inebriare potest]; non berrà aceto fatto di vino né aceto fatto di bevanda inebriante; non berrà liquori tratti dall’uva e non mangerà uva, né fresca né secca. Per tutto il tempo del suo nazireato non mangerà alcun prodotto della vigna, dai chicchi acerbi alle vinacce.Per tutto il tempo del suo voto di nazireato il rasoio non passerà sul suo capo [novacula non transibit per caput eius]; finché non siano compiuti i giorni per i quali si è consacrato al Signore, sarà santo; si lascerà crescere la capigliatura [crescente caesarie capitis eius]. Per tutto il tempo in cui rimane consacrato al Signore, non si avvicinerà a un cadavere; si trattasse anche di suo padre, di sua madre, di suo fratello e di sua sorella, non si contaminerà per loro alla loro morte, perché porta sul capo il segno della sua consacrazione a Dio [quia consecratio Dei sui super caput eius est ]. Per tutto il tempo del suo nazireato egli è consacrato al Signore.” [trad. C.E.I.]. In un certo senso la chioma funge qui da aureola, poiché è il simbolo della sua santità.

Ecco perché il San Giovanni Battista di Leonardo è dipinto come un angelo, per simboleggiare la sua doppia castità: in primo luogo perché è giovane e quindi vergine, in secondo luogo perché ha i capelli lunghi, quindi ha fatto voto di nazireato (e cioè di castità).

Questo serve a renderlo puro, cioè degno di portare la parola divina e di togliere la macchia del peccato originale. Questo poi non toglie che essendo la pantera una lince, si alludesse alla sua vista acuta come a una livrea simbolica per significare la previsione della venuta di Cristo da parte del Battista.

Mi è parso originale (e innovativo) il suo invito – lanciato nelle note al saggio – a continuare il dialogo su Facebook. Perché questa scelta e come è stata accolta da colleghi e lettori?
divito_1Per ora si sono aggiunti tra i miei amici, sul libro della faccia, oltre a Lei, anche altri ragazzi e ragazze. Ma anche studiosi di chiara fama, o leonardisti invidiosi. L’add è aperto a tutti! In realtà grazie a Facebook ho a disposizione una piazza di discussione pubblica, che amplifica il pubblico della mostra e seleziona il target degli interessati, per un confronto che oggi sempre più l’accademia rifugge, attraverso gli specialismi, e il depauperamento delle giovani menti con programmi sintetici e punitivi dell’intelligenza e del pensiero. Nel mio dottorato dopo due anni ho potuto tenere solo due ore di lezione. Una tristezza. Secondo le menti più sagge che conosco, lo stato deprecabile in cui versa l’accademia in Italia è dovuto allo scoglio antropologico del ’68, e comincio a pensarlo anche io. La censura è molto forte, soprattutto quella che si sente nei confronti di discipline come la mia che in Italia non hanno radici a casua di Croce e dei suoi seguaci. L’iconologia è praticamente inesistente.

Il catalogo della mostra Leonardo a Milano è invece (io trovo) un ottimo esempio di lavoro interdisciplinare. Mi sembra giusto approfittare di simili occasioni per allargare il nucleo delle mie conoscenze e argomentare meglio con chi dimostra interesse per il mio articolo, tanto da arrivare alla fine. Se ci sono idee nuove, l’unico modo per capire se sono buone o no è proprio quello di discuterle, dare loro forma scritta in modo da poter essere testimoniate e recuperate. Nella peggiore delle ipotesi facciamo esercizio di gusto, ma nella migliore coadiuviamo i futuri lettori nella più corretta e filologica percezione del significato del dipinto.
A cura di Saul Stucchi
Le foto dell’allestimento sono tratte dalla pagina di Facebook di Mauro Di Vito

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