“L’ALIBI” della domenica è dedicato allo spettacolo “Lear e il suo matto”.
Si chiuderà stasera, domenica 4 settembre 2022, la venticinquesima edizione de L’ultima luna d’estate, “Festival teatrale nelle ville e nei parchi più belli della Brianza”. A suggellare il programma, ricco di spettacoli e incontri, sarà “Lear e il suo matto” di e con Luca Radaelli e Walter Broggini.
Recensendone la messa in scena vista a Il Giardino delle Esperidi Festival due mesi fa avevo scritto: “Un “Lear” come non l’avete mai visto: un mix sapientemente misurato di “robe da Pro Loco, mica tragedie” a cui sono abituati i burattini Brighella e Pirù e puro Shakespeare (ovvero puro teatro)”.
Per capire come siano riusciti Radaelli e Broggini a ottenere questo gustoso cocktail, un paio di settimane fa sono andato al Teatro Invito di Lecco per una chiacchierata con loro.
Dopo i saluti ci siamo seduti al tavolo al centro del foyer del teatro. Broggini ha preparato i caffè, mentre io chiedevo a Radaelli se la “Salita dei Bravi” che avevo intravisto poco prima parcheggiando fosse proprio quella, di manzoniana memoria. Certo! Luca mi stava illustrando i cambiamenti che con il tempo ha subito quell’area di Arquate, quand’ecco che è entrato scodinzolando il cane del vicino. “Un cane in teatro dà sempre la stura a battute…”, ha scherzato il regista e attore.
Amleto, per iniziare
La chiacchierata ha preso avvio da uno spunto curioso. Prima di pranzare sul lungolago di Lecco avevo acquistato il Carteggio tra Hermann Hesse e Thomas Mann, pubblicato da SE. Nello scambio di lettere tra i due c’è una sola menzione a Shakespeare. Compare nella missiva che Mann inviò al collega e amico da Pacific Palisades (California) l’8 aprile del 1945. È la citazione “The readiness is all”, dalla seconda scena del quinto atto dell’Amleto, poche parole dopo la celebre sentenza “C’è una speciale provvidenza anche nella caduta di un passero”.
Lear dice invece che “la maturità è tutto”, ha osservato Radaelli, aggiungendo con un sorriso “Shakespeare dovrebbe mettersi d’accordo con se stesso”. Dopo aver visto – e apprezzato – i suoi spettacoli shakespeariani “Macbeth Banquet” e “Lear e il suo matto”, gli ho chiesto se non pensasse di coronare un’ipotetica trilogia con un Amleto. “Chissà…”, ha risposto Luca, spiegandomi che il suo Macbeth era in qualche modo un avvicinamento al mondo di Broggini che lo ha sempre affascinato. La passione per Shakespeare risale molto indietro nel tempo. La sua tesi fu sul Sogno di una notte di mezz’estate, di cui fece una versione itinerante nei parchi, con diversi attori.
Gli piace cucinare e ha notato che nel testo del Macbeth ci sono molti riferimenti ala cucina: i due banchetti, le streghe che preparano la pozione e naturalmente il coltello del regicidio. Muovendosi su questa suggestione ha trovato via via altre cose, alcune delle quali gli sono state suggerite da Paola Manfredi, regista dello spettacolo. Il punto era trovare connessioni tra un oggetto utilizzato e il suo significato, il suo senso drammaturgico. Individuata la via, il gioco consisteva nel mantenere coerenza attorno a questo spunto.
Lear e il suo matto
Questo nuovo spettacolo è nato appositamente per Re Lear, non per un generico Shakespeare. Non è un format che si può adattare ad altre opere del Bardo.
Ma come sono intervenuti – chiedo – su un testo che è un classico, per re-inventarlo, in equilibrio tra filologia e stravolgimento? Gli confermo quanto ho scritto nella recensione. È uno spettacolo che mi ha sorpreso per le trovate di cui è ricco e perché viene “restituito” agli spettatori fedele ma non pedissequo.
È una cosa che ha stupito anche loro – ha risposto Radaelli – sopratutto nel vedere la reazione della gente. La formula che hanno trovato è l’osmosi di due linguaggi. La chiave è stata la scelta di partenza di fare teatro popolare.
A questo punto è intervenuto Broggini per spiegarmi che nel teatro di figura è più facile vedere questo tipo di commistione e mi ha citato qualche esempio. Il Teatro del Drago ha fatto una Tempesta ma in modo completamente diverso dal loro: molto rarefatta, giocata più sulle atmosfere che sulla parola.
Quanto ai personaggi burattini, Pirù ha una saggezza popolare che va di controcanto alla retorica ufficiale, mentre “il buon Brighella si è preso la scena mica male, per la sua personalità prorompente”. Luca ha lavorato principalmente sul testo, Walter invece si è concentrato soprattutto sull’aspetto visuale. “Lui è più abituato a rivedersi, io invece sono sempre un po’ restio a rivedermi in video”, ha detto Radaelli, aggiungendo di essersi affidato allo sguardo di Broggini.
Come capiscono se una soluzione e, più in generale l’intero spettacolo, funziona? – ho domandato. Hanno fatto un paio di prove aperte con colleghi del cui giudizio si fidano. Sono state molto utili: alcune cose funzionavano bene, altre invece andavano corrette.
Teatro popolare
Il primo intervento operato è stato approntare una nuova traduzione del testo. Che una frase stia bene in bocca all’attore è il primo criterio con cui lavora Radaelli in quella fase. Procede con l’attualizzare il linguaggio, ma senza perdere il gusto, l’allure delle parole di Shakespeare. Poi si dedica a escogitare delle trovate. Come narratore ha utilizzato una metodologia simile a quella impiegata in Macbeth Banquet, con il narratore onnisciente che commenta quello che succede. Broggini invece ha lavorato maggiormente sul dialogo e sull’a parte, tipico della commedia. “È funzionale, è popolare ed è coerente”: da questo hanno capito che la ricetta poteva funzionare.
“Il bambino è stato voluto, non è nato per caso”, ha detto Broggini. Ma perché proprio Re Lear? – gli ho chiesto. Perché, rileggendolo, è rimasto folgorato dalla sentenza “sono tristi i tempi in cui i pazzi guidano i ciechi”. Sono almeno trent’anni (prima era troppo giovane per rendersene conto) che pensa che siamo dei pazzi che si fanno guidare da ciechi.
È uno spettacolo nato bene anche perché i due si sono detti: “se non ci piace, non lo facciamo, anche se siamo a tre quarti del percorso”. Non l’hanno fatto per esigenze di mercato. Il punto di partenza era sano. Il percorso è stato dunque “facile” perché le promesse erano buone. È pur vero che lui, Broggini, ha fatto fatica a far parlare alcuni personaggi nella lingua aulica di Shakespeare. È abituato a far parlare i burattini classici con un linguaggio più semplice.
Classici e crisi
A questo punto l’ho interrotto per chiedergli cosa intendesse con “burattini classici”. Mi ha spiegato che esiste un’infinità di mondi, di tecniche (ne sono state censite oltre quattrocentocinquanta), di manipolazione, di costruzione… “Burattini classici” è un modo per definire i burattini della tradizione, i giupitt. A queste parole tutti pensano immediatamente al teatro per bambini, ma la realtà è molto diversa.
Si è inserito Radaelli per suggerire una definizione che poi Broggini ha completato: “burattino a guanto scolpito nel legno, animato dentro a uno spazio scenico che si chiama baracca e che può essere classica o contemporanea, un teatro in miniatura”.
Questa ricchezza – ha proseguito Walter – ce l’abbiamo soltanto noi. Abbiamo trenta/quaranta personaggi o caratteri italiani, mentre all’estero ne hanno uno per paese. La Francia ha Guignol, la Spagna don Cristóbal, il Portogallo dom Roberto e la Germania Kasperl.
Vantiamo un patrimonio unico in tutto il mondo occidentale, ma noi non lo teniamo in considerazione, anche se lui e i suoi colleghi stanno facendo un grande lavoro per dare dignità a questa ricchezza che gli altri ci invidiano.
Far parlare Brighella prima in modo colloquiale, poi con il linguaggio aulico shakespeariano, è stata una bella sfida ma divertente. Al complesso di inferiorità che provano i burattinai allude la battuta sulla Pro Loco che ho menzionato in apertura.
Burattini e marionette, due mondi opposti o paralleli? “Siamo cugini, come Inter e Milan”, ha risposto Broggini con una battuta. E mi accorgo oggi, all’indomani di un derby che ha scatenato l’euforia di mezza Milano gettando l’altra nello sconforto, che non gli ho chiesto per quale delle due squadre tifi.
Storicamente erano due mondi diversi, quello dei burattini e delle marionette, non dell’Inter e del Milan: popolare quello dei burattini, nobile quello delle marionette.
Qui ho voluto aprire una parentesi sulla crisi del teatro che secondo Radaelli va piuttosto letta come una crisi della classicità. L’importante è non perdere di vista il pubblico, ha detto Broggini. A volte si ha l’impressione che uno faccia uno spettacolo soltanto per se stesso, per “piacere onanistico”, o per soddisfare il gusto dei critici a cui scatta la “libidine” di riconoscere – essi soli – le battute di sottintesi sparse qua e là proprio per loro.
In realtà si dovrebbe fare uno spettacolo per incontrare chi viene a vederlo. Uno spettacolo veramente popolare, nel senso più nobile del termine. Com’è “Lear e il suo matto” di Luca Radaelli e Walter Broggini. Venite stasera alla Cascina Butto di Montevecchia a incontrarli.
Saul Stucchi
Lear e il suo matto
- Teatro Invito/Compagnia Walter Broggini
- da William Shakespeare
- con Luca Radaelli e Walter Broggini
- traduzione e drammaturgia Luca Radaelli
- testo e regia Luca Radaelli e Walter Broggini
- figure e scene Walter Broggini
- costumi figure Elide Bolognini e Graziella Bonaldo
- musiche PAD trio (Profeta, Aliffi, D’Auria)
Ultima luna d’estate
XXV edizione
Dal 26 agosto al 4 settembre 2022
Informazioni e programma