L’editoriale “L’ALIBI della domenica” è dedicato di nuovo alle didascalie. Ecco perché.
Ho dedicato i precedenti editoriali rispettivamente all’elogio delle didascalie e alla critica dei cartellini che accompagnano le opere esposte nelle mostre e nei musei. Vorrei chiudere il ciclo con un terzo capitolo, più breve.
Come frequentatore assiduo di esposizioni e collezioni museali mi imbatto piuttosto spesso in didascalie “emendate a mano”. Mi riferisco a quei cartelli che recano scritte aggiunte da mani anonime, a volte – c’è da immaginarlo – dagli stessi curatori, altre invece dai visitatori.
San Girolamo avanti Cristo
Ci pensavo qualche giorno fa, mentre visitavo la mostra “Una città ideale. Dürer, Altdorfer e i maestri nordici della Collezione Spannocchi a Siena”. È ospitata nel complesso di Santa Maria della Scala, proprio di fronte al Duomo. Avrebbe dovuto chiudere i battenti il 5 maggio 2019, ma è stata prorogata fino al 18 aprile 2020.

Il pannello che illustra la sezione dei ritratti è aperto dal “San Girolamo” di Dürer, senza dubbio uno dei pezzi più interessanti della mostra. La scritta in alto a destra è così riportata “Albertus Durer Nurbergensis faciebat pro Virginis partum 1514 A.D.”.
Qualcuno ha pensato bene di correggere a biro quel “pro” in “post”, riportando all’inizio del XVI secolo la datazione di un’opera che altrimenti sarebbe stata contemporanea di Amenofi I, faraone della XVIII dinastia. Scherzi a parte, basta fare una veloce ricerca su un motore di ricerca per verificare i danni di questa imprecisione…
Di passaggio ricordiamo che San Girolamo è il patrono di archeologi e traduttori, bibliotecari e studiosi…
El Greco e Picasso
Non ci sono naturalmente soltanto le correzioni. Gli interventi possono avere altre funzioni. Possono esprimere, per esempio, critiche. Due sfregi polemici erano tracciati sulla frase conclusiva della didascalia della “Sacra Famiglia con Santa Maddalena” di El Greco, esposta alla splendida mostra al Grand Palais di Parigi. Pare che qualcuno non abbia gradito il giudizio sullo stile del pittore cretese come antesignano del Cubismo di Picasso.

Altri segni sono più ambigui. Il Museo del Louvre è una miniera di curiosità, non solo per le migliaia di opere che custodisce, ma anche per i cartellini messi lì per identificarle e darne una sintetica descrizione.
Una testa di faraone del Medio Regno, esposta nella Sala 626 dell’Ala Sully, reca nella didascalia l’annotazione “senza dubbio Sesotri III” (1862-1843, XII dinastia). La sicurezza nell’identificazione si spiega con le orecchie a sventola del sovrano: una caratteristica fisiognomica inconfondibile.

Ma come spiegare la vigorosa cancellatura che copre la scritta “sans doute Séthi Ier” (senza dubbio Seti I) nella didascalia di una bella statuetta in argento parzialmente dorato? Rappresenta un sovrano che reca nella mano Maat, dea della Verità.
Il mistero è sciolto dalla scheda che si può leggere sul sito del museo. La statuetta è stata a lungo attribuita a Seti I, faraone della XIX dinastia, mentre “oggi una datazione alla XXI dinastia sembra più probabile”.
Peccato che la didascalia dell’immagine pubblicata sul sito riporti ancora la dicitura “Un roi, sans doute Séthi Ier”…
Non ci si può fidare neanche del Louvre!
Saul Stucchi
Didascalia:
Albrecht Dürer
San Girolamo (1514)
Olio su tavola, 33,2 x 25,6 cm
Pinacoteca Nazionale, Siena