Ho già avuto occasione di raccontare su ALIBI la genesi della mia passione per il Giulio Cesare di Shakespeare (leggete qui). Negli ultimi anni ho potuto alimentarla assistendo in varie città italiane, con un paio di puntate all’estero, a rappresentazioni teatrali di quest’opera molto diverse tra loro per impostazione, scelte stilistiche ed esito: alcune mi sono piaciute molto, altre invece mi hanno lasciato un po’ perplesso, ma le ricordo tutte con piacere, come momenti di un’unica, intensa, esperienza culturale. E proprio la passione per il Giulio Cesare, nata ormai tanti anni fa grazie a una simpatica striscia di Peanuts in cui Snoopy veniva raffigurato in piedi sulla sua cuccia nell’atto di recitare il celebre incipit dell’orazione di Marco Antonio, mi ha condotto l’estate scorsa al teatro romano di Mérida, per vedere l’allestimento curato da Paco Azorín, giovane regista spagnolo (classe 1974). La recensione potete leggerla qui. Poco prima dello spettacolo l’ho intervistato in uno dei camerini.
“Perché il Giulio Cesare?” gli chiedo come esordio, cercando di nascondere la vergogna per l’infima qualità di quel poco di spagnolo che ho imparato da solo. Approfittando della risata del regista, gli svelo la profonda passione che nutro per l’opera e Azorín risponde che già dieci anni fa voleva montare il Giulio Cesare, al tempo in cui organizzava il Festival Shakespeare di Santa Susana, in Catalogna (fu il direttore delle prime quattro edizioni, dal 2003 al 2006). Allora però subentrarono altri lavori e altri progetti e dovette “parcheggiare” il Giulio Cesare perché voleva che il protagonista fosse il celebre attore Mario Gas che negli ultimi anni è stato impegnato come direttore del Teatro Español di Madrid. Nel 2013 è arrivato finalmente il momento giusto per farlo e il progetto è subito piaciuto al Festival Internacional de Teatro Clásico de Mérida e ad altri teatri.
“Sono un fanatico di Shakespeare e soprattutto delle sue opere storiche”, mi dice, aggiungendo che le considera le opere migliori del Bardo, anche se non hanno ancora ricevuto il giusto riconoscimento, come i più famosi Re Lear, Amleto e Macbeth. Shakespeare scrisse le opere di tema storico in un’epoca di profondi cambiamenti politici e sociali e ora quei lavori dimostrano di avere un’attualità insuperabile. “Almeno in Spagna”, aggiunge, “dove abbiamo un governo che sta governando dando le spalle ai cittadini: la storia del Giulio Cesare sembra scritta ieri a Madrid”.
Gli chiedo come abbia affrontato quello che ritengo il tema centrale dell’opera, ovvero il potere della parola. Azorín risponde che in realtà i temi sono diversi e che la grandezza di Shakespeare sta nella complessità delle sue opere, aperte a molteplici livelli di lettura. C’è ovviamente il tema della forza della parola, in grado di mutare gli animi, ma anche quelli dell’accumulazione di potere, del comportamento del popolo, del potere che cambia di mano, della verità e della menzogna, della distorsione della realtà. Nel Giulio Cesare il linguaggio è specialmente importante per prima cosa perché si dice che Shakespeare utilizzò un linguaggio “romano”, grezzo, molto solido e diretto. E attraverso le due celeberrime orazioni di Bruto e Marco Antonio si manifesta la capacità del politico di convincere il popolo.
Nel suo allestimento ha potenziato molto l’uso della parola. Come? “Molto semplice: semplificando tutto il resto!”, risponde. E ha tagliato molto… “Sì – conferma -, secondo gli esperti i testi giunti fino a noi non sono esattamente quelli che andavano in scena ai tempi di Shakespeare”. Un regista moderno si trova a dover selezionare quali parti di quel materiale accumulatosi nel tempo vuole mettere in scena. Gli dico che a Lisbona ho assistito a un Giulio Cesare (ovviamente in portoghese!) che è durato quattro ore… “Non ti passano più!” – risponde – “qui invece dura un’ora e trentasei minuti”. Ha mantenuto la parte che a lui più interessava, quella politica e della parola; ha eliminato i personaggi femminili, un po’ perché Calpurnia e Porcia hanno ruoli tutto sommato secondari, un po’ perché voleva criticare soprattutto il comportamento maschile, come gli uomini si sono spartiti il potere negli ultimi venti secoli trascurando le donne. E mentre le donne hanno portato avanti con successo il nucleo sociale più ristretto, ovvero la famiglia, gli uomini hanno dato pessime prove di gestione del nucleo sociale più ampio, ovvero la società.
Curiosamente ha notato la stessa critica nel film Cesare deve morire dei fratelli Taviani, dove ci sono parti esclusivamente maschili per ovvie ragioni imposte dal regolamento carcerario. Come secondo passo ha semplificato tutto, lasciando sulla scena gli attori soli con la parola, spogliati di tutti gli effetti, scenografia, luci. È uno spettacolo di attori che ci danno dentro, che dal decimo minuto sudano come maiali e finiscono senza voce perché lavorano molto. È un lavoro molto fisico.
“Mi sembra che noi Europei siamo come i cittadini della Roma al tramonto della repubblica, ovvero pecore, ma non mi pare che ci sia un lupo come Cesare…”, provoco: “Sì che l’abbiamo: è Angela Merkel!”, risponde ridendo. “Loro ci mangiano e noi ci facciamo mangiare senza reagire”, aggiunge (e per “loro” intende i governanti europei). Azorín intravede un’unica, possibile, soluzione per scampare alla sorte da pecore: l’educazione. Loro lo sanno e proprio per questo la tagliano. Un paese senza educazione è un paese destinato al fallimento, alla morte. Serviranno però due o tre generazioni per vedere i risultati di un investimento nell’educazione.
Nel secondo atto Bruto dice che la soluzione è la morte di Cesare, spiega, ma si tratta di uno dei tanti errori commessi da Bruto. E nella storia in generale. La soluzione invece, ripete, è nell’educazione.
“Come sta il teatro in Spagna?” gli chiedo. È moribondo a causa di molti fattori. L’aumento dell’IVA (schizzata dal 4 al 21% nel 2012) è stato soltanto la goccia che ha fatto traboccare il vaso, ma il teatro si trovava già da tempo in cattivo stato per mancanza di investimenti, di idee, di pianificazione, per accomodamento degli stessi artisti, per la loro incapacità di pensare in modo imprenditoriale alla cultura. La crisi però ha anche un aspetto positivo: costringe le persone ad avere una maggiore consapevolezza. Ripete: un paese senza cultura è una mandria di pecore. Più cultura avremo, meno pecore saremo.
E progetti a cui sta lavorando per il futuro? Ne ha moltissimi, ma nessuno in Italia, dove però è stato in passato (al Piccolo di Milano e al Teatro Libero di Palermo). Ha molti progetti in Spagna e in Francia e persino uno in Cina. Ma nessuno al momento riguarda Shakespeare. E l’opera che preferisce del Bardo? Gli piacciono tutte le opere storiche e vorrebbe rappresentare insieme Giulio Cesare e Antonio e Cleopatra in un unico spettacolo di tre ore, per lavorare sul ruolo di Ottaviano che nella prima opera appare come salvatore della patria e nella seconda invece si rivela come il male peggiore. Ma non prima del 2017 perché l’agenda è fitta di impegni.
Intanto il suo Giulio Cesare, dopo essere stato in cartellone per oltre un mese al Teatro Bellas Artes di Madrid, continua a girare per la Spagna: sarà in scena dal 2 al 6 aprile a Bilbao, poi passerà ad Almería e Murcia, prima di tornare nella capitale.
E leggendo El País di questa mattina ho fatto una piacevole scoperta: Azorín inaugurerà la 60esima edizione del Festival Internacional de Teatro Clásico de Mérida dirigendo l’opera Salomè di Richard Strauss. ¡Enhorabuena, Paco!
Saul Stucchi
http://pacoazorin.com