Ai piedi della scalinata del Campidoglio si trovano due leoni accucciati in granito grigio, collocati in quella posizione nel 1588, quando vennero trasformati in fontane. Riferibili all’età saitica – tolemaica, ne è ignota la provenienza originaria. Costituiscono un assaggio della collezione egizia dei Musei Capitolini.

Difficile orientarsi in essi senza una mappa. In realtà anche con l’ausilio di una piantina è piuttosto complicato, considerata la struttura composita degli edifici che formano i Musei. La Sala Egizia affaccia sul cortile interno del Palazzo Nuovo, quello a sinistra per chi osserva il Marco Aurelio a cavallo al centro della piazza: la copia, naturalmente!
L’originale campeggia al primo piano del Palazzo dei Conservatori. Prima di trovare definitiva sistemazione nell’esedra realizzata ad hoc, la statua equestre di Marco Aurelio rimase parcheggiata per quindici anni (dal 1990 al 2005) nella piccola sala, segnalata con il numero 42 sulla piantina disponibile in biglietteria, in cui è esposta la collezione egizia.
L’Iseo Campense
A differenza delle collezioni egizie dei musei europei e americani, fondate su reperti arrivati dall’Egitto in epoca moderna (in seguito a scavi, acquisti, doni, scambi e furti…), questa presenta pezzi portati a Roma in epoca antica. La maggior parte dei reperti è stata recuperata durante gli scavi ottocenteschi condotti dalla Commissione Archeologica Comunale nell’area dell’Iseo Campense (1883). Secondo l’archeologo Rodolfo Lanciani il tempio venne abbattuto da fanatici cristiani che nella loro azione distrussero musi, nasi e zampe delle statue di animali.
Nel cortile antistante la sala ci sono tre colonne in granito (alte quasi 5 metri) con rilievi egittizzanti, datate alla fine del I sec. d.C.
All’interno per prime attraggono l’attenzione del visitatore le due sfingi. Una è in granito rosa di Assuan, di età tolemaica o romana. È stata ritrovata in via di S. Ignazio (negli scavi del 1856), nell’area dell’Iseo Campense.
L’altra, invece, è in basanite. Proviene da via del Beato Angelico, presso l’abside della chiesa di Santa Maria sopra Minerva, anch’essa area dell’Iseo del Campo Marzio. Buona parte dell’iscrizione sul petto è stata scalpellata. Gli unici geroglifici rimasti si riferiscono ai nomi delle divinità presenti nella titolatura del faraone Amasi della XXVI dinastia (detto anche Amasi II per distinguerlo dal fondatore della XVIII dinastia). L’abrasione può essere stata causata dalla volontà dei Persiani di Cambise, che conquistarono l’Egitto nel 525 a.C., di eliminare qualsiasi menzione del faraone: damnatio memoriae, dunque.
I cinocefali

Stessa provenienza per il coccodrillo in granito rosa di Assuan, di età romana e per due cinocefali in granito grigio dell’età di Nectanebo II, XXX dinastia (359-341 a.C.). Un terzo cinocefalo, invece, in marmo grigio databile all’età imperiale è di provenienza ignota.
Interessante lo sparviero in granito nero datato alla prima età tolemaica, rinvenuto nella Villa Casali sul Celio nel 1885. Uno simile, ma dal collo più tozzo, è esposto al Museo Civico Archeologico di Bologna.
Scrive Maria Pamela Toti nella scheda pubblicata ne “Le antichità egiziane di Roma imperiale” a cura di Olga Lollio Barberi, Gabriele Paroli e della stessa Toti, per l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato (1995):
Sui plinti di entrambi gli animali l’iscrizione geroglifica riporta la titolatura del faraone Nectanebo II, definito “l’amato di Thot”. In base all’epiteto con cui viene designata questa divinità, “il toro nella Grande Dimora”, GALLO 1991 (Paolo Gallo, “I babbuini di Thot il Toro da Busiri al Campidoglio”, in Revue d’Egypte 42, 1991, pp. 256.260, ndr) ipotizza che le statue fossero collocate in un tempio di Thot situato a Busiri, Delta Occidentale”.
Cinquant’anni dopo gli scavi dell’Iseo Campense, ovvero nel 1930, fu invece rinvenuto in via dei Fori Imperiali il frammento architettonico decorato con uno scarabeo alato, in marmo lunense, datato all’ultimo quarto del I secolo d.C., fissato alla parete.
Provenienza del tutto differente, infine, quella del cratere a campana in granito grigio scuro: viene dal Canopo di Villa Adriana a Tivoli ed è entrato nella collezione dei Musei come dono dell’orafo e collezionista Augusto Castellani (1876).
Sull’Iseo Campense consiglio la lettura del saggio “I santuari di Iside e Serapide a Roma e la resistenza pagana in età tardoantica” di Serena Ensoli, pubblicato in “Aurea Roma. Dalla città pagana alla città cristiana”, L’Erma di Bretschneider, 2000, pp. 267-287.
Saul Stucchi
Musei Capitolini
Piazza del Campidoglio 1
Roma
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