È piuttosto noto il paradosso del mentitore, quello che mette in crisi l’ascoltatore con una frase come: “Un Cretese dice: tutti i Cretesi mentono”. Fin qui tutto bene. Facciamo un passo in avanti e immaginiamo un attore (cretese, se vogliamo strafare) che recita la parte di un Cretese che dice… Ma andiamo ancora oltre e ipotizziamo un drammaturgo che scrive un’opera teatrale su un personaggio che dice di essere un attore che…
È più o meno a questo punto – o forse addirittura oltre – che s’inserisce Liv Ferracchiati con il suo spettacolo “Hedda. Gabler. Come una pistola carica” (con tanto di punto dopo il nome e il cognome) “con scene tratte da Hedda Gabler di Henrik Ibsen”, come recita – è il caso di dire – la locandina. Dunque non “di Ibsen” e nemmeno semplicemente “da Ibsen”.
Quello di Ferracchiati – su una nuova traduzione di “Hedda Gabler” realizzata da Andrea Meregalli, ricercatore di Lingue e Letterature Nordiche all’Università degli Studi di Milano, con lo stesso Ferracchiati – non è una riscrittura né un adattamento, quanto piuttosto un affiancamento. Così ha detto il regista e interprete nella presentazione alla stampa un paio di settimane fa (l’evento si può rivedere sul canale YouTube del Piccolo Teatro).

Lo spettacolo rimarrà in scena al Piccolo Teatro Studio Melato di Milano fino al 22 dicembre. Prima di vederlo – o dopo averlo visto – può essere utile leggere una delle due traduzioni in italiano al momento disponibili (quella di Meregalli e Ferracchiati uscirà nella collana che vede la collaborazione del Piccolo con l’editore il Saggiatore), la versione di Anita Rho per Einaudi e quella di Roberto Alonge per la BUR.
Può essere utile, certo, ma in parte anche fuorviante: lo spettacolo, infatti, gioca con (e in parte tradisce) il dramma di Ibsen, anche perché nel prologo e nel finale lo contamina – volendo si possono mettere le virgolette a tutti i verbi della frase – con un’altra opera del drammaturgo norvegese, ovvero “Quando noi morti ci destiamo”.
Lo spettatore, chi con maggiore chi con minore familiarità con Ibsen, si trova di fronte sette attori in cerca di personaggi. E in principio ne rimane un poco scombussolato. Non che poi la faccenda si chiarisca del tutto… anzi, proprio nell’irrisolvibile dicotomia tra reale e finzione (e autofinzione), tra vita e arte (e nessuno dice che la vita sia reale e la finzione arte: né il drammaturgo, né il regista-interprete, né chi scrive queste righe) si gioca tutta la pièce.

Così ci si domanda se Ferracchiati stia interpretando il personaggio di Ejlert Løvborg o invece se stesso che interpreta Ejlert Løvborg e via di questo passo, in un gioco di specchi che neppure i colpi di pistola (siamo tutti pistole cariche, secondo Ferracchiati) possono infrangere. Tanto da rischiare il cortocircuito. Sono quasi sicuro – ma come esserlo, in un’opera così metateatrale?! – che all’attore Antonio Zavatteri è scappato un lapsus quando verso la fine ha nominato Løvborg mentre sul display si leggeva il nome di Tesman (soltanto le recite del primo dicembre, di giovedì 15 e sabato 17, sono sovratitolate in inglese, a cura di Prescott Studio).
Per questa prima prova come artista associato del Piccolo Ferracchiati si è affidato a Giuseppe Stellato per le scene, a Gianluca Sbicca per i costumi, mentre le luci sono di Emiliano Austeri. Insieme a lui in scena ci sono, in ordine alfabetico, Francesco Alberici, Giulia Mazzarino, Renata Palminiello, Alice Spisa, Petra Valentini e Antonio Zavatteri.
Da leggere – anche qui prima o dopo lo spettacolo – il programma di sala, scaricabile dal sito del Piccolo Teatro. Ne riporto una delle domande a Ferracchiati, con la prima parte della sua risposta:
Cosa ti piacerebbe che il pubblico ricevesse da questo spettacolo e come vorresti che lo approcciasse?
Mi piacerebbe che si lasciasse sorprendere da un modo di raccontare un testo di Ibsen in maniera non canonica, ma soprattutto che condividesse una riflessione intorno alla domanda “che cosa significa fare arte oggi?”. Quale forma scegliamo per comunicare noi stessi nella vita di tutti i giorni? L’arte e la comunicazione identitaria hanno in comune il non poter prescindere dalla scelta di una forma.
Ecco: si esce dalla rappresentazione di “Hedda. Gabler.” con più domande che risposte. Di per sé non è un bene né un male, dice un Cretese.
Saul Stucchi
Foto di Masiar Pasquali
Aggiornamento: per un caso di positività nel cast della compagnia sono state annullate le recite dal 6 al 10 dicembre compreso.
Hedda. Gabler.
Come una pistola carica
uno spettacolo di Liv Ferracchiaticon scene tratte da ‘Hedda Gabler’ di Henrik Ibsen
traduzione di Andrea Meregalli e Liv Ferracchiati
dramaturg di scena Piera Mungiguerra
aiuto regia Anna Zanetti
assistente volontario alla regia Riccardo Vicardi
scene Giuseppe Stellato
costumi Gianluca Sbicca
luci Emiliano Austeri
suono spallarossa
consulenza letteraria Andrea Meregalli
lettore collaboratore Emilia Soldati
con (in ordine alfabetico) Francesco Alberici, Liv Ferracchiati, Giulia Mazzarino, Renata Palminiello, Alice Spisa, Petra Valentini, Antonio Zavatteri
produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
Informazioni sullo spettacolo
Dove
Piccolo Teatro Studio MelatoVia Rivoli 6, Milano
Quando
Dal 1° al 22 dicembre 2022Orari e prezzi
Orari: martedì, giovedì e sabato 19.30mercoledì e venerdì 20.30
domenica e festivi 16.00
lunedì riposo
Durata: 130 minuti senza intervallo
Biglietti: platea intero 40 €; ridotto 23 €
balconata intero 32 €; ridotto 20 €