Ottenere attenzione non ti guarirà. Quello che ti guarirà è l’adrenalina. Non ho problemi a soffrire. Per me soffrire è come fare colazione. Ma molte persone non capiscono la sofferenza perché la nuova generazione, con tutte queste piattaforme, deve fare poco per ottenere credito. La generazione precedente a questa doveva fare molto per ottenere qualcosa. Sono molto orgoglioso di appartenere alla vecchia generazione”.
Zlatan Ibrahimović
Parlare della vicenda umana di Zlatan da Rosengård senza indulgere alla mitopoiesi è impresa difficile. Jens Sjögren con il suo “Zlatan” ci è riuscito.

Premetto che mi sono avvicinato alla proiezione di questa pellicola con tutte le prevenzioni possibili e, se non fosse stato per l’insistenza di mia figlia (che si è appassionata al numero 11 del Milan dopo averlo visto segnare e giocare nella recente partita contro la Lazio), probabilmente me lo sarei perso.
Il calcio al cinema
Sono un grande appassionato di calcio e ho sempre guardato con sospetto i film che trattano questo argomento. Le uniche eccezioni meritevoli annotate sul mio personalissimo taccuino sono “Fuga per la vittoria”, un film del 1981 con un cast stellare diretto da John Houston (ma si tratta, più che altro, di un film di guerra), “Febbre a 90°” tratto dall’omonimo romanzo di Nick Hornby (film del 1997 in ogni caso inferiore al libro edito da Guanda, e che guarda principalmente alla passione dei tifosi trascurando le vicende sportive degli atleti), e “Il presidente del Borgorosso Football Club” di Luigi Filippo D’Amico con l’istrionico Alberto Sordi, del 1970, anch’esso focalizzato sugli aspetti folkloristici del calcio di provincia e non sul gesto atletico del singolo calciatore.
Questa produzione invece, tratta dall’autobiografia dell’attaccante svedese, percorre lo stesso sentiero tracciato dal drammatico “Maradona” diretto da Emir Kusturica, senza però volerne assumere il carattere documentaristico.
Già il titolo è indicativo: “Io sono Zlatan”. Ovvero, io sono tutto ciò, nel bene e nel male.
È il racconto dell’infanzia e dell’adolescenza di questo ragazzino che la natura ha dotato di un carattere difficile, ulteriormente complicato da una vicenda umana e ambientale di estremo degrado. Figlio di una coppia separata di origini bosniache e croate, cresce dividendosi con un fratello e una sorella fra le umili abitazioni dei due genitori, che faticano a sbarcare il lunario nel quartiere di Rosengård umilissima porzione della squallida periferia di Malmö.
Al ragazzino piace giocare a pallone e sogna di giocare nel Balkan, una squadra locale minore che accoglie tutti i virgulti degli immigrati dalla Yugoslavia. Quando riesce ad esservi ammesso, scopre l’ingovernabile fascino dell’ambizione, sentimento che lo sprona a limare gli innumerevoli spigoli del proprio carattere per dimostrare al mondo di essere il migliore.
Sarà l’inizio di un’ascesa e di un peregrinare di successo che lo porterà a giocare per le migliori squadre d’Europa (Ajax, Juventus, Inter, Barçelona, Milan, Manchester United e ancora Milan), peregrinare che il film segue solo parzialmente fermandosi al momento in cui il giovane Ibra sigla il contratto con la Juventus, entrando nel giro che conta.
Ibra senza filtri
Ciò che questa pellicola ha di pregevole è il taglio narrativo asciutto che ricorda molto quello di Ken Loach. E, come il pluripremiato regista delle Midlands, Sjögren con la scusa di raccontare l’età giovanile di Ibra, investiga le miserie del sottoproletariato urbano di una delle principali città della civilissima Svezia, dove la parola immigrazione si concilia indifferentemente con discriminazione o con degrado, in ogni caso con povertà.
Non si rinviene tentativo, come dicevo all’inizio, di costruzione del mito, né di identificare retoricamente lo sport come una forma di riscatto sociale e individuale, tantomeno di indulgere al pietismo usando le umili origini per giustificare il personaggio controverso. Non vi è un intento moralista, nel racconto.
La cosa sorprendente è che il film è tratto da “Io sono il calcio” (edito da Rizzoli), l’autobiografia in cui il centravanti svedese si racconta senza filtri edulcoranti, senza autoassolversi, senza sorvolare sulla propria pigrizia giovanile, sulle intemperanze in campo e fuori, o sui furtarelli compiuti negli anni difficili.

Come sottolinea il titolo, anche ora che non ruba più le biciclette per muoversi per Malmö e guida una Ferrari, anche ora che non vive più nel ghetto di Rosengård ma ha un attico nel grattacielo di Porta Nuova a Milano, Zlatan resta Zlatan: un uomo con un talento superiore, una personalità robustissima, e un’autostima strabordante; combinazione fatale che nei decenni ha rappresentato la croce e la delizia di tutti gli allenatori che hanno avuto il compito di gestire questo fuoriclasse assoluto, assetato di adrenalina, di visibilità e di successo, che ha tuttavia imparato a faticare e a soffrire per ottenerle.
E che ora sa anche essere d’esempio per i giovani compagni di squadra ai quali fa da chioccia nel Milan. Perché il soggetto è intelligente e anche se non rinnega nulla di sé, ha capito i suoi errori. E Rosengård resta Rosengård, nonostante abbia dato i natali a Zlatan, nonostante le cospicue donazioni di Ibra perché migliorino le condizioni del quartiere, e gli spazi pubblici destinati ai ragazzi.
Resta uno squallido ghetto della terza città di una delle nazioni più ricche d’Europa, dove la gente sopravvive con espedienti e i ragazzini giocano a pallone sognando di emulare il loro idolo.
Simone Cozzi
Zlatan
Nelle sale dall’11 novembre 2021
- Tratto da “Io, Ibra” di David Lagercrantz e Zlatan Ibrahimović
- Regia di Jens Sjögren
- Con Granit Rushiti, Dominic Andersson Bajraktari, Cedomir Glisovic, Merima Dizdarević, Emmanuele Aita, Duccio Camerini
- distribuito da Universal Pictures e Lucky Red in associazione con 3 Marys