Ma chi l’ha detto che in momenti difficili bisogna avere qualcosa con cui tirarsi un po’ su? Io credo (da buon masochista) che, invece, sia meglio crogiolarsi nella tristezza più assoluta e sprofondare nell’angoscia più cupa. Così, ho pensato che per passare “al meglio” questi giorni di quarantena, sia una buona scelta farsi prendere da paure e pessimismo come accade nei film di David Cronenberg.
Lasciamo da parte la poesia e l’incanto di Miyazaki e tuffiamoci nell’inferno dell’autore canadese. Come già per “Porco rosso”, anche in questa occasione, il film è poco più di un pretesto per raccontare l’evoluzione di uno dei pochi maestri che sono rimasti.

E non parlo a caso di evoluzione, perché “La mosca” (1986) (più o meno a metà del percorso di Cronenberg), ha in nuce quello che diventerà la magnifica ossessione del regista: la mutazione del corpo, la contaminazione della carne. I suoi lavori sono stati, a volte, etichettati come film horror, ma i “mostri” da lui creati nascono sempre dentro di noi, dal nostro organismo malato.
Procediamo con ordine. David Paul Cronenberg nasce a Toronto (Canada) nel 1943. Fin da giovane nutre una duplice vocazione per l’entomologia (guarda che caso: “La mosca”) e la letteratura. Si laurea in lingua e letteratura inglese. Compone una gran quantità di racconti fantascientifici e si appassiona agli scrittori della beat generation (William Burroughs su tutti).
Passato dietro la macchina da presa, qualche cortometraggio e subito pellicole con cui farsi notare. Mi riferisco a “Un demone sotto la pelle” (1975), “Videodrome” (1983) e “La zona morta” (1983), tutti lavori anteriori al film di cui sto parlando.
Ma dal 1986 inanella una serie di opere memorabili: solo per chi volesse approfondire il discorso, cito “Inseparabili”, “Il pasto nudo” , “Crash” (premio speciale della giuria a Cannes 1996); e poi “Spider”, “A History of Violence”, fino ad arrivare a “A Dangerous Method” e a “Maps to the Stars”.
Negli ultimi lavori le sue tematiche si sono allargate alla psicoanalisi o al discorso sociale, ma non sono cambiati gli oggetti della sua osservazione: il corpo, la mutazione, la morte. Questa sua coerenza ha fatto sì che il pubblico lo abbia eletto regista di culto e persino la critica, in principio piuttosto scettica, lo abbia rivalutato, conferendogli anche diversi premi: il maggiore, senza dubbio, il Leone d’oro alla carriera, a Venezia nel 2018.
Vorrei aggiungere, anche se non l’ho trovato in nessuna delle pagine che ho consultato, che – a mio parere – la scarnificazione del corpo umano, la sua patologica dissezione anatomica hanno in sé qualcosa di mistico, mi portano a pensare più a qualcosa di spirituale che non di reale.
Ma, parliamo de “La mosca”.
“Sto dicendo che sono un insetto che aveva sognato di essere un uomo e gli era piaciuto. Ma adesso il sogno è finito e l’insetto è sveglio…” (frase pronunciata dal protagonista Brundle, ma chiaramente ispirata al sogno della farfalle del filosofo e mistico cinese Zhuangzi)
La Brooksfilm (studio di produzione fondato da Mel Brooks) propone a Cronenberg il remake di un vecchio film di fantascienza: “The Fly” (1958, regia di Kurt Neumann, a sua volta tratto dal racconto omonimo di George Langelaan, del 1957), in Italia uscito con il titolo de “L’esperimento del dottor K.”.
La sceneggiatura di Charles Edward Pogue viene rivista dal regista canadese, con diverse aggiunte e con la riscrittura completa dei dialoghi. Così, “La mosca” diventa uno dei “soliti” film di Cronenberg. C’è anche una storia d’amore, ma – guarda caso – è una storia al limite: al limite dell’umano, del lecito, al limite della follia.
E, naturalmente, aleggia su tutta la storia il pessimismo tipico dei lavori del nostro, con un finale che non lascia scampo alla speranza.
Questo film è stato anche un grosso successo al botteghino: 60 milioni di incasso, a fronte dei 15 del budget.
Molte le interpretazioni che sono state date riguardo questa pellicola. La più frequente da parte della critica, anche se Cronenberg l’ha sempre ricusata, è quella che vede nella trasformazione dello scienziato Brundle la metafora dell’AIDS che – siamo nel 1986 – stava diffondendosi negli USA e nel mondo.
Per concludere il discorso, provo a spiegare con un esempio, in cosa consista lo stile cinematografico di Cronenberg. Se nel film del 1958, lo scienziato esce dalla sua cabina già trasformato, ne “La mosca” gli spettatori assistono alla mutazione del corpo umano, osservandone la progressiva distruzione e la sua metamorfosi in qualcosa che è sempre più rivoltante e disturbante.
Visto che sto parlando degli effetti speciali del film, devo citare Chris Walas (che si era fatto le ossa nel campo, in “Piraña” di Joe Dante e ne “I predatori dell’arca perduta” di Steven Spielberg), il quale, insieme con Stephan Dupuis, ha ottenuto l’Oscar, nel 1987, per il miglior trucco.
Note e curiosità
Resto su Walas, perché, nel 1989, è il regista del sequel: “La mosca 2”.
Del film di Neumann, sono stati girati invece due sequel: “La vendetta del dottor K.” (1959) e “La maledizione della mosca” (1965).
David Cronenberg nella sua carriera, oltre che scrittore e regista è stato sceneggiatore, produttore, direttore della fotografia e montatore. A me piace ricordarlo anche come attore, in film non suoi, come in “Tutto in una notte” di John Landis, “Cabal” di Clive Barker o “Da morire” di Gus Van Sant. Detto per inciso, fa anche una breve apparizione ne “La mosca”, nei panni del ginecologo.
Ho detto prima della sua passione per gli insetti, passione che, curiosamente, lo accomuna al suo idolo William Seward Burroughs.
La frase “Be afraid… be very afraid” viene suggerita a Cronenberg da Mel Brooks durante le prove e viene utilizzata come tag-line del film.
Nota della nota: il tag-line è una frase breve che riassume la vocazione di una marca, di un prodotto o di un’azienda. È usata soprattutto in pubblicità.
L S D
La mosca
Regia: David Cronenberg
Sceneggiatura: Charles Edward Pogue, David Cronenberg
Interpreti: Jeff Goldblum, Geena Davis, John Getz