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Voi siete qui: Teatro & Cinema » Da Sam Mendes a Francesco Rosi: le mille declinazioni della guerra

23 Settembre 2020 Scritto da Simone Cozzi

Da Sam Mendes a Francesco Rosi: le mille declinazioni della guerra

La visione, colpevolmente tardiva, di “1917”, il film di Sam Mendes che ha imperversato nelle sale cinematografiche prima che la pandemia le costringesse alla chiusura, mi ha indotto una serie di riflessioni sui molteplici punti di vista che il cinema ha assunto nei confronti di quell’articolato fenomeno umano che è la guerra.

George MacKay in 1917

Trascurando per brevità ed efficacia tutti i film che hanno parlato delle guerre dell’antichità, voglio concentrare le mie considerazioni citando alcuni film che hanno trattato l’argomento dei due conflitti mondiali, evitando per brevità di affrontare il filone che parla del Vietnam.

Lo sbarco in Normandia

In questo campo, ovviamente, Hollywood la fa da padrone con un dispiegamento di capitale di attori, di registi e di sceneggiatori da primato.
Solo per elencare alcuni titoli, posso citare “Il giorno più lungo”, che dispiega un cast degno di un kolossal per narrare l’eroismo dei militari che sbarcarono ad Omaha Beach nel corso di Overlord, l’operazione che diede il via alla liberazione della Francia dal Nazismo.

Allo sbarco in Normandia è dedicato anche “Salvate il soldato Ryan”. Qui Steven Spielberg, con l’aiuto di immagini potenti e di numerosi effetti speciali, ha un approccio differente da quello di Ken Annakin. “Il giorno più lungo” ha infatti un’impostazione vecchio stile dalla natura vagamente propagandistica, che mira a sottolineare l’importanza del ruolo giocato dagli Stati Uniti nell’operazione di reconquista che ha riportato libertà e democrazia in Europa; è di fatto un film western dove al posto dei pellerossa ci sono i nazisti, e le truppe alleate sono la cavalleria che li stermina. Non per niente il protagonista è impersonato da John Wayne.

“Save private Ryan” al contrario è quasi un film on the road, in cui vengono esaltati i concetti di eroismo individuale e di spirito di sacrificio per il fratello nelle armi, per citare l’efficace brano dei Dire Straits.

Il caporale Schofield

Volendo cercare un punto di contatto fra il film di Spielberg e “1917”, questo si trova nel racconto itinerante lungo la prima linea del fronte, alla ricerca di un soldato da riportare a casa, o per consegnare un messaggio che salverà un battaglione.



La macchina da presa di Sam Mendes segue infatti il periglioso cammino di William Schofield un giovane fante inviato da un ufficiale attraverso le insidie del fronte occidentale caro a Remarque. Il nemico si vede a tratti e, quando si vede, fa male. Ne sa qualcosa Tom Blake, il compagno di sventura di Schofield, che viene ferito a morte da un militare tedesco al quale lui aveva cristianamente prestato soccorso.

Non credo che Mendes abbia mai ascoltato “La guerra di Piero” di Fabrizio De André, tuttavia la scena in cui il tedesco uccide l’inglese che gli porge la borraccia, mi ricorda quel passaggio della canzone che recita “E mentre gli usi questa premura, quello si volta, ti vede e ha paura; ed imbracciata l’artiglieria non ti ricambia la cortesia”.

C’è la paura ma manca l’anima

La paura è il filo conduttore della pellicola, una paura trasmessa dalle espressioni del protagonista e resa palpabile da alcune scene notturne quasi coreografiche, nelle quali Schofield sfugge alle imboscate tedesche correndo e saltando come una marionetta disarticolata (cosa che ha richiamato alla mia mente le coreografie che Daniel Ezralow ha studiato per “Across the Universe”), in un chiaroscuro rossastro accompagnato da tuoni fragorosi e bagliori accecanti.

Colin Firth in "1917"

Il soldatino giungerà a destinazione appena in tempo per salvare da un massacro il battaglione del quale fa parte anche il fratello del defunto Tom Blake. Non vi è epica nella sua missione, né l’eroismo che guida Tom Hanks alla ricerca di Matt Damon in “Salvate il soldato Ryan”. Tantomeno il disprezzo pacifista verso il concetto di guerra.

Visto come spettacolo d’intrattenimento, “1917” è un bel film d’azione. Mi resta tuttavia la sensazione che si tratti di un’occasione solo parzialmente sfruttata. Mi è parso freddo, senz’anima, in cui la vicenda viene asetticamente narrata in modo cronachistico, senza una partecipazione emotiva da parte del narratore; senza approfondimento sulle emozioni, sui sentimenti, sugli slanci che dovrebbero essere propri di quella grande, drammatica, assurda esperienza umana che è la guerra. Forse il regista vuole dirci che la guerra va combattuta senza pensare troppo, riducendo al minimo lo spazio dell’emotività. Chissà.

Altri film sono riusciti a portare a galla con efficacia questo robusto tema. Mi viene in mente “La sottile linea rossa”, del talentuoso Terrence Malick, capace di rendere in modo vigoroso la complessità dei legami che distingue i soldati al fronte, evidenziandone le sfumature sociali, culturali e caratteriali. E nonostante le esperienze di vita spalanchino un baratro fra ciascuno di loro, il fronte li costringe a legarsi, a sorreggersi, a supportarsi vicendevolmente, a vincere talvolta il cinismo, sentimento legittimo in quel contesto.

Uomini contro

Una pellicola esemplare, molto meno recente visto che si parla di un lavoro di cinquanta anni fa, è “Uomini contro” di Francesco Rosi, film che per me è stato fonte di grande ispirazione.

Si tratta a mio parere di un’opera dal poderoso significato politico. Tratto da “Un anno sull’altipiano” di Emilio Lussu, il film di Rosi ribalta il punto di osservazione che tanto sarebbe piaciuto a Hollywood, ossia il cameratismo fra commilitoni, uniti dal medesimo destino. Il regista italiano, invece, punta il dito sulla crudezza della vita di trincea, sui sentimenti disperati, per nulla nobili, che attanagliano i fanti costretti a saltar fuori dai ripari per correre a conquistare le cime difese dal nemico.

Parlando della prima guerra mondiale, egli racconta l’assurdità di ogni conflitto, concentrandosi sulla lotta di classe inespressa che divide i soldati semplici, fondamentalmente poveri e ignoranti, di estrazione contadina o operaia, dagli ufficiali appartenenti ai ceti elevati, drammaticamente distanti e dal dolore dei sottoposti e dal reale sentire della guerra. Il messaggio che capto è di matrice marxista: il proletariato si immola per il successo delle classi dominanti.

Guardando questo film si sente realmente il fetore dei cadaveri e l’odore bruciante della polvere da sparo, il senso di disperazione cola nel cuore dello spettatore e le urla del nemico, in una lingua sconosciuta, fanno rabbrividire tanto quanto le raffiche di mitragliatrici e i lamenti dei militari agonizzanti.

In questo Rosi distacca di molte misure Mendes, in un crescendo drammatico nel quale spicca un ottimo Gian Maria Volonté, che rappresenta il sottufficiale sensibile con lo sguardo distaccato e critico sugli eventi.

Simone Cozzi

1917

  • Regia: Sam Mendes
  • Sceneggiatura: Sam Mendes e Krysty Wilson-Cairns
  • Interpreti: George MacKay, Dean-Charles Chapman, Mark Strong, Andrew Scott, Richard Madden, Claire Duburcq, Colin Firth, Benedict Cumberbatch

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