Gianni Celati scrittore multiverso – ottant’anni ben portati anche, chissà, per una sorta di giovinezza perpetua dell’immaginazione che nel tempo lo ha portato su strade diverse, non solo stricto sensu letterarie.
Nel recente, volume “Animazioni e incantamenti” (uscito nella collana fuoriformato de L’Orma Editore) due lavori iniziali, “Il chiodo in testa” e “La bottega dei mimi” sono cofirmati con Carlo Gajani, artista a cavallo fra pittura e fotografia (1929-2009).
Le fotografie di Gajani agiscono in un rapporto non mimetico con i testi (annota la curatrice Nunzia Palmieri che mentre lo scrittore resta sul versante privilegiato del comico, Gajani lavora sul perturbante).
Il primo è un micro-romanzo epistolare in cui il protagonista, Z., un tizio assai verbigerante come i keatoniani protagonisti dei romanzi celatiani degli anni Settanta, scrive lettere deliranti a una concupiscibile Giovannina (“Qua devi sapere cara signorina Giovannina che le voci vanno e vengono da questa mia testa come se fossero a casa sua, e io non ci posso”).
La fotografia appare una delle ossessioni dominanti dell’esperienza critico-estetica di Celati. “I narratori – scrive – hanno imparato dalla fotografia che la percezione è l’avventura che riguarda la nostra vita in ogni momento”.
Ma se nel volume tornano le riflessioni sull’amico Luigi Ghirri, nel connubio con le immagini ha un ruolo importante anche il cinema e l’idea di farlo in proprio (a un certo punto Celati pensò persino di andarsene in America a fare lo sceneggiatore).
Infine, nel secondo dei testi introduttivi entra in scena, il caso di dire, il teatro. E con esso, non ultimo, il motivo della maschera:
La maschera è per esempio una vecchia turista americana che incontro all’aeroporto, col cappellino in testa, la macchina fotografica, gli occhiali con le perline. È fatta di poliestere dipinto, ma mi accorgo subito che non c’è nessuna differenza tra lei e la sua copia.
Nei rimanenti “testi dispersi sul teatro e sulle immagini” vengono riproposte riflessioni che hanno accompagnato mezzo secolo dell’attività di Celati – alcune già presenti in “Finzioni Occidentali” – che poi coincidono con alcuni tratti strutturali (parola che nello specifico può risultare paradossale o persino incongrua) della sua prima narrativa.
La centralità del corpo, una certa declinazione del comico (assai avverso allo humour nero di stampo romantico-surrealista) attratto dal paradosso, dalla sospensione del logo-centrismo: così l’attenzione al mimo, al parodico e al carnevalesco (da cui pure la narrativa dei “Parlamenti buffi” almeno parzialmente si discosta).
Voce, ritmo, respiro. Lo slapstick e Beckett (l’acquisto nel 1976 di una macchina da presa fu sollecitato dal proposito di fare un film da Molloy). In Céline, e questo forse era più noto, Celati vedeva l’esempio chiarissimo di una “parola parlata come elemento spettacolare (…), mimica, intonazioni emotive, pause”.
Lì voce e gesto nella sua disamina parrebbero richiamare (per rimanere alla lingua di quegli anni) una sorta di Es primario, preideologico – che per lo scrittore dell’epoca non si limitava a una “finzione”: pochi ricorderanno la polemica con gli insegnanti di lettere delle scuole secondarie, a suo dire colpevoli di non cogliere l’espressività di anacoluti, solecismi etc (sarebbe interessante sentirlo oggi, Celati, in un contesto storico-sociale assai diverso, e una recente polemica).
Attraverso il bel repertorio fotografico del volume è possibile constatare come lo stesso Celati nella sua opera abbia sempre guardato a un’idea di scrittura non ancorata alla sacralità del testo scritto ma piuttosto prossima alla performance. Bellissimo libro.
Michele Lupo
- Gianni Celati
Animazioni e incantamenti
a cura di Nunzia Palmieri
con le fotografie di Carlo Gajani
con una nota di Pasquale Fameli
L’Orma Editore
2017, 456 pagine, 26 €