Ne hanno scritto già in tanti. Si spera che però tutti lo abbiano letto, e davvero, non solo il libro che hanno recensito, il Proust a Grjazovec di Jozef Czapski, ma l’immenso capo d’opera che ne costituisce l’oggetto. Il racconto del quale un ufficiale polacco, saggista, pittore e critico d’arte, utilizzò come farmaco riviviscente per svernare in un gulag sovietico cui ebbe la fortuna di sopravvivere. Perché leggere la Recherche – o almeno saggiarne anche per frammenti la grandezza che non consente a nessun’altra opera dai tempi di Shakespeare di guardarla dall’alto, – può essere la misura per intendere lo stato dell’arte e dei suoi attendenti.
Scrittori engagà di un qualche successo oggi si vantano di non averlo letto, o di non volerlo leggere, che sarebbe come dire che un calciatore si rifiutasse di avere una qualche contezza di Maradona – ovviamente, al solito, il problema è loro, nonché di chi li legge e li intervista.
Cosa sia la Recherche nessuno può dirlo sufficientemente bene perché l’opera, quando è tale – e nessuna lo è come la creazione dell’asmatico parigino che, visto l’uso che ne fece, seppe meritarsi la ricchezza ereditata – si traduce solo con l’opera; ma una piccola impresa (e umanamente grande) a suo modo fu quella compiuta da Czapski.
Nei mesi della prigionia, fra il ’40 e il ’41, per non soccombere al fatalismo di un destino che pare senza speranza, Czapski e i compagni si raccontano quello che sanno: chi la storia dell’alpinismo, chi quella dell’Inghilterra. Lui parla del più grande romanzo di tutti i tempi e del fragilissimo-mostruoso uomo che lo ha scritto (caso estremo peraltro – i lettori fedeli di Marcel lo sanno – di una debolezza, di una paresse paralizzante trasformata in una volontà disumana).
A Grjazocev, nel freddo siberiano, il polacco ripercorre la storia dell’opera, dei suoi sviluppi tematici (vanità, amore, illusioni, orgoglio aristocratico, bellezza…) dei personaggi, dell’arte proustiana (la frase…), della “volontà di svelare i meccanismi segreti dell’essere”, della parola chiave che tutto sottende (memoria) facendo ricorso alla propria. Perché l’opera Czapski l’aveva letta in anni precedenti, non ha i testi sotto mano, e se qualche resoconto può essere impreciso, qualche scena mal ricordata, più puntuali sono i riferimenti ai singoli volumi nei quali Proust fu costretto da ragioni editoriali a dividerla, o alla segnaletica riguardante alcune delle figure principali, da Swann a Odette a Bergotte alla duchessa di Guermantes).
Un viaggio nel viaggio dunque, che consente ai suoi compagni-ascoltatori di avere un’idea sommaria ma non infedele di cosa fosse la Recherche. Czapski passa dall’aneddotica biografica ai contesti storico-estetici: la metabolizzazione compiuta e il vertiginoso superamento dei moduli balzacchiani, l’accostamento al simbolismo coevo, la trasversale ricognizione proustiana delle nuove vie artistiche e musicali, l’influsso bergsoniano (forse sovradimensionato).
Per chi dell’opera non fosse un neofita, nessuna novità, ma una testimonianza ulteriore della straordinaria potenza della letteratura: un’opera di tragica terribilità (che non lascia scampo alcuno all’insensatezza del mondo) che tiene in vita alcune centinaia di miracolati. Sono i salvati di Katyn’ (ne morirono 4.500). Come furono salvate le lezioni di Czapski, costretto a farle trascrivere dal controllo censorio dei sovietici. Questa nuova edizione (dopo quella dell’Ancora del Mediterraneo di una decina di ani fa) è curata da Giuseppe Girimonti Greco per Adelphi.
Michele Lupo
Józef Czapski
PROUST A GRJAZOVEC
Adelphi
125 pagine, 18 €