Lo scorso 10 agosto, nella piccola chiesa di Santa Maria di Costantinopoli di Cisternino (BR), si è tenuta una presentazione del libro “Otranto 1480. Il sultano, la strage, la conquista” di Vito Bianchi, edito da Laterza. Organizzata dal Gruppo Archeologico Valle d’Itria e da Calib – Libreria Caffè in collaborazione con l’Amministrazione Comunale di Cisternino (a portarne i saluti c’era l’Assessore alla Cultura Giovanna Curci), si è aperta con una lunga lettura da parte di Massimo Zaccaria che con “grande partecipazione” (parole dello stesso Bianchi) ha “interpretato” un brano centrale del libro. L’11 agosto del 1480 i Turchi facevano il loro ingresso a Otranto…
Poi ha preso la parola l’autore, archeologo, scrittore e professore universitario, originario della vicina Fasano. Ha iniziato il suo intervento richiamando l’attenzione sulla deterrenza terroristica ricercata dai Turchi con l’attacco a Otranto. Con una precisazione importante: da parte loro non venne agli assediati alcuna richiesta di abiura, particolare che contrasta con quella che poi sarà l’eroizzazione dei martiri di Otranto.
Lo scopo del libro è quello di ribaltare e stravolgere alcuni cliché che si sono cristallizzati nella storiografia. Ma chi furono le vittime? Nel Duomo di Otranto i loro resti riposano in una cappella ottagonale, come quella del Santo Sepolcro a Gerusalemme. Sono le ossa di “poveri cristi”, ha detto Bianchi. Furono uccisi coloro che non poterono pagare il riscatto. Si salvarono invece i ricchi, quelli di bell’aspetto e molti giovani che, certo, sarebbero diventati schiavi ma poi, forse, si sarebbero affrancati e avrebbero potuto fare carriera nelle terre del sultano.
Il sultanato era molto più avanzato del mondo meridionale, bloccato a livello sociale nell’epoca medievale. La monarchia aragonese che vi dominava era infatti ferma a sistemi vecchi di secoli. Sembra un’eresia dirlo, ma i cittadini di Otranto avrebbero tratto giovamento dal passare sotto il dominio del sultano. Non avrebbero nemmeno dovuto cambiare religione. Avrebbero avuto più diritti e pagato meno tasse. Ma nessuno li informò e loro non poterono scegliere. Furono scientemente abbandonati all’attacco dei Turchi, sacrificati.
Dei 16 capitoli in cui è suddiviso il libro la presa di Otranto ne occupa solo uno o due, ha precisato l’autore che ha continuato dicendo: “nessuno ci ha mai detto le cause dell’attacco dei Turchi. Perché arrivarono?” (e meno male che non ha detto “cosa li spingeva?”… Altrimenti sarebbe venuta in mente la presentatrice Vulvia di Guzzanti con l’irresistibile annuncio “Spingitori di Turchi!”). Ma torniamo seri. Dietro l’episodio di Otranto c’è prima di tutto un grande sultano, Maometto II, il conquistatore di Costantinopoli (1453).
È utile un breve inquadramento cronologico. Venezia aveva combattuto da sola una lunga e onerosa guerra contro i Turchi. Nel 1478 a Firenze c’era stata la fallimentare congiura dei Pazzi. Bernardo Bandini, l’assassino di Giuliano de’ Medici, era scappato a Costantinopoli ormai Istanbul. Maometto II lo consegnerà a Lorenzo de’ Medici per mantenere buoni rapporti con Firenze, da cui importava lana in cambio di seta.
Quello attorno alla presa di Otranto è un mosaico geopolitico interessante e complesso come quello che riveste il pavimento del Duomo della città salentina. A una penisola suddivisa in tanti piccoli stati in contrasto tra loro si opponeva un impero turco coeso e in forte espansione. Ma Maometto II non era più il giovane conquistatore della Seconda Roma. A causa della gotta aveva una gamba grossa come un bambino che gli impediva di cavalcare e di guidare personalmente le spedizioni militari.
Dei tre figli il prediletto era il secondo che però morì prima di potergli succedere. Degli altri due invece non si fidava. Il comando fu affidato al Gran Visir Gedik Ahmed Pascià, detto “lo sdentato” (anche negli imperi in espansione la salute è un bene prezioso…).
In realtà anche di lui Maometto II non si fidava troppo, tanto che qualche tempo prima l’aveva fatto sbattere in prigione, temendo che volesse prendere il suo posto. Per Ahmed la missione di Otranto fu l’occasione per riabilitarsi agli occhi del sultano. Sua fu la strategia del terrore che adottò in Puglia. Ma la diffusione della peste costrinse i Turchi a uno stallo di tredici mesi. La peste colpì anche l’esercito cristiano arrivato in soccorso della città.
Il re di Napoli Ferrante voleva che anche in Otranto si scatenasse la pestilenza e per ottenere l’obiettivo non ebbe remore a ricorrere alla guerra batteriologica, facendo scaraventare cadaveri infetti oltre le mura della città in cui ora stavano i Turchi. Fece anche introdurre alcune meretrici che a loro insaputa indossavano vestiti portati da malati di peste.
Bianchi ha concluso l’intervento invitando il pubblico a non fermarsi davanti alle apparenze, alle “versioni ufficiali”, mettendo in guardia contro il “brodo di superficialità e pressapochismo” che alimenta l’odio. Come gli Otrantini del 1480, anche noi oggi sappiamo quello che vogliono farci sapere. E ha ricordato le parole di papa Francesco: Dio è nelle vittime e di sicuro quella in corso non è una guerra di religione. Parole sante!
Saul Stucchi
- Vito Bianchi
Otranto 1480. Il sultano, la strage, la conquista
Laterza
310 pagine, 20 €