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Voi siete qui: Biblioteca » Piero e l’assassino: recensione del libro di Bernd Roeck

18 Giugno 2008 Scritto da Saul Stucchi

Piero e l’assassino: recensione del libro di Bernd Roeck

Il quadro più enigmatico della storia dell’arte occidentale non cessa di ispirare nuove interpretazioni. Al lungo elenco si è recentemente aggiunta quella proposta da Bernd Roeck, professore di storia moderna e contemporanea all’università di Zurigo. Dunque un altro storico si cimenta con questa tavola di pioppo che concentra in una superficie di appena 58×81 centimetri decine di questioni per la maggior parte ancora irrisolte. Diciamo “un altro storico” perché il dipinto è da decenni oggetto di discussioni e divisioni tra due grandi gruppi di studiosi: da una parte gli storici dell’arte, dall’altra, appunto, gli storici tout court. Ci hanno provato in tanti a trovare un nome ai personaggi che campeggiano in primo piano e a quelli che, più defilati nel secondo, animano la scena che dà il nome all’opera. Finora però nessuno ha individuato una chiave di lettura universalmente accettata in grado di svelare il mistero e la Flagellazione di Piero della Francesca conservata alla Galleria di Palazzo Ducale a Urbino rimane un affascinante rompicapo, oltre che naturalmente una bellissima opera d’arte, capolavoro del Rinascimento italiano. Roeck ha messo in campo una ricerca archivistica degna degli agenti della polizia scientifica, con tanto di indizi e prove, interrogando le fonti contemporanee alla ricerca di un testimone affidabile. La tesi da cui parte e che s’impegna a dimostrare nelle oltre duecento pagine del saggio è tanto ardita quanto intrigante: la piccola tavola di pioppo sarebbe “una sorta di accusa di omicidio” che ebbe per vittima Oddantonio da Montefeltro, signore di Urbino. Sarebbe lui il giovane biondo in primo piano, attorniato da due uomini più avanti con l’età. Uno dei due, quello con la barba e lo strano copricapo, sarebbe il suo assassino: Federico da Montefeltro. Colto umanista e appassionato bibliofilo, ma soprattutto abile condottiero e politico privo di scrupoli, tanto da arrivare al potere – questa l’accusa di Roeck – commissionando l’assassinio del fratellastro Oddantonio. Senza questa morte violenta, infatti, a lui sarebbe stato precluso il comando del ducato. Due anni dopo la morte di Oddantonio, ovvero nel 1446, Federico stesso scampa a un attentato organizzato durante le celebrazioni del carnevale. Avvertito in tempo, riesce a sfuggire al complotto (una vera e propria “Rimini connection” per usare l’icastica espressione di Roeck) dietro il quale ci sarebbe stata la mente di Sigismondo Malatesta, suo acerrimo nemico. In base a considerazioni tecniche relative all’utilizzo della pittura a olio, Roeck propone gli anni Sessanta del XV secolo come probabile datazione dell’opera.
A questo punto è fondamentale un breve excursus cronologico: nel 1453 avviene la caduta di Costantinopoli, uno shock per tutto l’Occidente (l’ipotesi “bizantina” è sostenuta da Silvia Ronchey ne L’Enigma di Piero, edito da Rizzoli); l’anno successivo i principali stati italiani stringono tra loro la pace di Lodi, da cui rimane fuori Sigismondo Malatesta. Tre anni dopo, nel 1457, Borso d’Este tenta di pacificare i due eterni rivali, appunto Sigismondo Malatesta e Federico da Montefeltro, convocandoli al castello di Belfiore, vicino a Ferrara. L’incontro ha però esito negativo: dopo essersi provocati a vicenda i due arrivano quasi allo scontro fisico, conclusione impedita dall’intervento dell’ospite che li separa. Sigismondo Malatesta era in rotta anche con il papa e con Alfonso d’Aragona, tanto da finire completamente isolato, privo di alleanze, mentre Federico tesseva la sua tela che gli permetteva di estendere la sua influenza nell’Italia centrale. Quest’ultimo – sostiente Roeck – non può essere stato il committente della Flagellazione che, anche se nascostamente, lo accuserebbe di fratricidio. L’opera del resto non era destinata al Palazzo Ducale d’Urbino, dove oggi è esposta.Ma come arrivò Piero a lavorare per il nemico di un suo committente così importante come il Malatesta? Forse, ipotizza Roeck, ci mise lo zampino anche Pio II, primo responsabile della leggenda nera su Sigismondo, dipinto come “essere diabolico”. Contro di lui – contumace – arrivò addirittura a intentare un processo che si concluse con il rogo del ritratto. Proprio in quegli anni Piero realizzava, secondo Roeck, un altro ritratto del Malatesta, prima che questi venisse definitivamente sconfitto dai suoi rivali e prendesse la via del Peloponneso per combattere i Turchi in una lotta disperata che gli sarebbe costata la vita. Scrive l’autore: “anche la Flagellazione era una «replica». Mentre il mondo del Malatesta e della «legittimità urbinate» veniva ridotto in cenere, il dipinto di Piero rimaneva un’immagine contro il suo tempo, evocando un’”altra visione delle cose” nel mezzo di una caotica realtà”.

Ma torniamo alla Flagellazione. Utilizzando il testo della Leggenda Aurea di Jacopo da Varagine come “mappa del tesoro”, Roeck intraprende un vero e proprio viaggio nella tavola urbinate alla ricerca di indizi e prove. Come anticipato, la chiave per svelare il mistero è l’identificazione in Oddantonio del giovane biondo che compare in primo piano, scalzo, attorniato da due uomini. La veste rossa indicherebbe per il professore la camicia da notte che la vittima indossava la notte in cui venne assassinata dagli sgherri prezzolati da Federico, arrossata dal suo stesso sangue. Gli uomini che gli stanno accanto sarebbero rispettivamente Bernardino Ubaldini, dipinto nelle vesti di Ruben, padre di Giuda, e proprio Federico, raffigurato nei panni del traditore per antonomasia. Federico sarebbe rappresentato anche nella scena della flagellazione, questa volta nei panni di Ponzio Pilato, così come il Cristo alla colonna rimanderebbe al sacrificio di Oddantonio.
Questi sono soltanto i riconoscimenti più clamorosi, ma la tavola è ricchissima di dettagli e Roeck si ingegna a proporre un’esegesi precisa per ciascuno di essi, valida singolarmente e in grado di resistere a una lettura complessiva dell’opera. È il caso per esempio della colonna del supplizio, che rimanderebbe alla omonima famiglia romana che la portava nel proprio stemma gentilizio: Oddantonio era infatti figlio di Caterina Colonna e la tavola sarebbe stata commissionata da Prospero Colonna. La statua d’oro che si erge sopra di essa, non raffigurerebbe il dio del sole, secondo l’interpretazione più diffusa, bensì Paride con il pomo della discordia. Che cosa ci faccia il pastore troiano nella scena della Flagellazione è l’enigma che lasciamo sciogliere ai lettori de Piero della Francesca e l’assassino. Non resteranno delusi.

Bernd Roeck
Piero della Francesca e l’assassino
Bollati Boringhieri
2007, 288 pp.
22,00 €

L’autore discuterà la sua tesi con la professoressa Silvia Ronchey il 23 giugno a Venezia, presso l’Istituto Tedesco di Studi Veneziani, a Palazzo Barberigo.

Centro Tedesco di Studi Veneziani
Palazzo Barbarigo della Terrazza, San Polo 2765/A, Venezia
23 giugno 2008, ore 17.00
Tel. 041.5206355
www.dszv.it

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