Fuori pioveva un mondo freddo, ma un caldo applauso ha accolto Paolo Conte al suo ingresso nella chiesa di San Gottardo in Corte a Milano, come ospite d’onore della nuova stagione della Scuola della Cattedrale.
Uscire dagli schemi
Armando Torno, organizzatore del ciclo di incontri, ha esordito annunciando la volontà di uscire un po’ dagli schemi in questa nuova stagione. Nel prossimo appuntamento del 29 ottobre, per esempio, due professori della Sorbona dialogheranno sul tema “Perché non dimenticare il mondo antico”.
Ieri sera, invece, il tema sarebbe potuto essere “Perché non dimenticare la musica”. Torno ha riepilogato la lunga carriera di Paolo Conte, uno dei grandi personaggi italiani che hanno conquistato il mondo: chansonnier, poeta, pittore, pianista, compositore…
“Ma io non mi sono preparato…”, ha messo le mani avanti il musicista. “Meno male!”, gli ha risposto Torno ridendo, per poi passare la parola a Monsignor Gianantonio Borgonovo a cui sarebbe spettato il compito di dialogare con Conte.
“Caro maestro, cominciamo dall’inizio” ha cominciato Borgonovo, ricordando le tre lauree honoris causa conferite a Paolo Conte, leggendo in particolare un brano della motivazione di quella in Musicologia conferitagli dall’Università di Pavia: “Conte non ha mai smesso di sperimentare nuove soluzioni formali ed espressive contribuendo forse più di ogni altro autore a elevare la qualità poetico-musicale della canzone italiana”.
Da dove gli è venuta la passione per la musica? Conte ha ricordato che i suoi genitori, purtroppo morti giovani, in casa suonavano musica americana, nonostante le proibizioni del fascismo. Quello è stato l’inizio di tutto. E lì si è formato il suo gusto e il suo stile. Più avanti dirà che da giovane si è nutrito più di cinema che di libri.
Lavoro di matita e di gomma
“Io sono un cantautore”, ha affermato. I Francesi non hanno questo termine nel loro dizionario, così per farsi capire da loro ha definito il suo stile “Confusion mentale fin de siècle” e ai critici d’Oltralpe la definizione è piaciuta molto.
Borgonovo ha ricordato i due concerti di Conte alle Terme di Caracalla per celebrare i 50 anni di “Azzurro” e ha canticchiato “Neanche un prete per chiacchierar”, ricevendo l’applauso del pubblico. In quest’occasione Conte ha davanti a sé un monsignore per chiacchierare e una chiesa gremita di pubblico che ascolta…
La sua arte di compositore è fatta di molto lavoro di matita e ancora più di gomma. “Ma se vado fuori tema, me lo dica, Monsignore” ha aggiunto con candore.
Che cosa lo stimola di più? Quale dei sensi è più allertato nella composizione? “Non è facilissimo rispondere”. L’olfatto è prevalente se c’è di mezzo la memoria. Per il resto lui ha sempre cercato di abbinare alle note dei colori, anche se – ha riconosciuto – è una questione molto soggettiva. Si tratta di giocare a nascondino con elementi della propria memoria. Come il gioco degli Shangai, basta un piccolo gesto, una parola sbagliata, per rovinare tutto. È un lavoro molto delicato.
Tra letteratura e pittura
Monsignor Borgonovo ha ricordato un altro aforisma di Conte: “Si nasce soli, si muore soli, ma nel mezzo, certo, c’è un bel traffico!”. “L’ho notato oggi attraversando il centro di Milano. Ci ho messo un’ora e mezza”, ha scherzato il musicista.
E il suo rapporto con la cultura del Novecento? Non è stato uno studente brillante, ha confessato Conte, tuttavia ritiene che i classici italiani del Novecento siano meravigliosi: da Campana a Montale, da Sbarbaro a Gozzano.
Si è parlato di pomeriggio (l’argomento della sua lectio magistralis a Pavia), del colore azzurro e di Kandinskij, anch’egli avvocato… Conte ha iniziato a disegnare da bambino, attratto dai trattori che lavoravano nei campi. Ad affascinarlo erano soprattutto i rumori, diversi a seconda della distanza delle macchine dalla sua postazione. Erano come musica per le sue orecchie di bambino.
“Poi c’è stato il periodo delle donne nude, mi scusi…”, si è schermito Conte, mentre il pubblico scoppiava in una risata che ha contagiato monsignore. “Ma mai il paesaggio. Perché il paesaggio è troppo sacro”, ha aggiunto il musicista.
A suggello della piacevole chiacchierata monsignor Borgonovo ha raccontato la fiaba della giovane promessa in sposa al re che però fugge per tornare dal suo amato pastorello, citando in ebraico il passo del Cantico dei Cantici “Io sono per il mio diletto e il mio diletto è per me”.
Uno dei passi più poetici della Bibbia, scelto come invito di riflessione sulla bellezza e sulla sua fragilità, soprattutto in un’epoca volgare come la nostra. Ma le parole più emozionanti (ed emozionate) sono state quelle con cui Mariella Di Filippi, ispiratrice dell’invito a Paolo Conte, ha ringraziato il maestro.
Saul Stucchi
Informazioni:
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