Non è una mostra “facile” quella intitolata Gli arazzi dei Gonzaga nel Rinascimento, in corso fino al prossimo 27 giugno a Palazzo Te e in altre due prestigiose sedi mantovane.
Per essere apprezzata come merita, infatti, va affrontata con un minimo di preparazione storica sulle intricate vicende dinastiche dei Gonzaga e con un breve ripasso sulla tecnica di realizzazione di queste splendide opere d’arte che ancora oggi patiscono ingiustamente l’insensato confronto con la pittura.
Molte informazioni, in realtà, vengono fornite nel percorso espositivo, attraverso pannelli e filmati, tuttavia è consigliabile arrivare già preparati per non confondere tra loro, per esempio, le figure dei tre protagonisti a cui si devono molte delle opere esposte.
Parliamo dei figli di Francesco II e Isabella d’Este: Federico II, primo duca di Mantova e fondatore di Palazzo Te; il cardinale Ercole, che aspirava apertamente al soglio pontificio, come testimonia l’erezione della basilica di Santa Barbara, una piccola “San Pietro”; e il generale Ferrante, capostipite del ramo Gonzaga di Guastalla.
I Gonzaga seguirono la moda rinascimentale di collezionare arazzi per abbellire le sale di palazzi e dimore: i sontuosi panni decorati da elaborati motivi di tema spesso mitico o storico erano non soltanto splendidi manufatti che dicevano il gusto e la raffinatezza del committente, ma anche ammonivano ospiti e sudditi indirettamente attraverso l’allegoria.
La casata acquistò arazzi fin dal Quattrocento, ma fu soprattutto nel secolo successivo che la collezione si ampliò. Due cifre sono sufficienti a suggerire un’idea delle dimensioni che avevano queste raccolte e della perdita che ha patito il patrimonio artistico italiano ed europeo con la loro dispersione e distruzione: l’inventario dei signori di Guastalla, stilato nel 1590, elencava 172 arazzi. Un secolo e mezzo dopo, quando il ramo si estinse, ne rimanevano appena cinquantotto.
Il visitatore deve però mettere da parte il rimpianto per quanto è andato perduto e concentrarsi nel godimento di quello che si è conservato e della selezione presentata in mostra. Uno dei pezzi più belli è stato significativamente scelto per aprire l’esposizione. Si tratta del paliotto d’altare con la rappresentazione dell’Annunciazione, arrivato in prestito dall’Art Institute di Chicago.
Un provvisorio ritorno a casa per questo arazzo in lana, seta e oro tessuto probabilmente attorno al 1470. Tra il 1465 e il 1474 Andrea Mantegna dipingeva la Camera degli Sposi a Palazzo Ducale e una lettera inviata nel luglio del 1469 dal marchese Ludovico II all’artista menziona la richiesta “de ritrarre due galine de India al naturale, una maschio et una femina (…) per che le volessimo per metter suxo la tappezzeria nostra”. Gli storici dell’arte hanno voluto identificare i due animali nella coppia di pavoni rappresentati ai piedi dell’angelo annunciante e desumerne che il cartone fosse approntato da Mantegna.
Sulla scorta di considerazioni stilistiche, l’esperto di arazzi Nello Forti Grazzini (che ha collaborato con Guy Delmarcel alla curatela della mostra), propone invece di assegnare la realizzazione del cartone non al grande Andrea, ma a un suo collaboratore “che poté però usufruire di buoni consigli da parte del maestro e magari di suoi disegni preparatori utili per qualche dettaglio”.
Si ammira subito dopo la serie dei Giochi dei putti, commissionata a metà del Cinquecento da Ferrante I, impreziosita da fili d’oro, particolare che la rendeva unica nel corpus della sua collezione privata. L’arazziere fu Willem de Pannemaker, fornitore niente di meno che dell’imperatore Carlo V e di suo figlio Filippo II.
Molto importante è la serie intitolata Fructus Belli (I frutti della guerra), riconducibile al soggiorno di Ferrante nelle Fiandre. Gli arazzi erano esposti nella residenza milanese del generale e lì poté vederli il principe Filippo quando venne in visita a Milano. Non sappiamo se il futuro re di Spagna ne apprezzò il messaggio “pacifista”, scelto da un uomo d’armi che aveva avuto tutto modo di sperimentare, durante la sua carriera, non solo le asprezze della battaglia, ma soprattutto le conseguenze sul territorio e sugli abitanti (non sine fastidio è la litote espressa nel cartiglio che impreziosisce il bordo destro della scena “Un convito alla militare”).
Degli otto arazzi realizzati sono sopravvissuti sei e la metà sono presenti in mostra; sono arrivati fino a noi anche tre cartoni forse su modelli dell’ultimo Giulio Romano, ma purtroppo non hanno potuto lasciare il Louvre per ragioni di conservazione. Uno degli arazzi ha ancora il bordo originale che reca al centro del tratto superiore le armi araldiche di Ferrante, entro l’onorificenza del Toson d’oro.
Il percorso espositivo si snoda presentando altre opere magnifiche, come la serie con le storie di Enea e Didone, quella con il mito di Fetonte, e la serie con le Storie di Alessandro Magno, acquistata nella prima parte del Seicento da Ferdinando o da Vincenzo II. Era composta da tredici panni e quattro di quelli sopravvissuti, ora proprietà della Regione Veneto, fanno bella mostra di sé nell’esposizione mantovana. Sono caratterizzati da una “sorprendente vivacità dei paesaggi, ricolmi di decine di piccole ma ben caratterizzate comparse frammiste a vedute di città, boschi e colline”, come scrive l’agile e utile guida alla mostra, edita da Skira.
In quello dedicato alla battaglia di Isso si può notare il particolare del cavaliere che fugge con una fanciulla, incongruente perché non ha un corrispondente riferimento nella vicenda storica: l’arazziere ha utilizzato un cartone relativo a un altro ciclo! (Forti Grazzini ipotizza la fuga di Antonio e Cleopatra da Alessandria o di Zenobia da Emesa). Va poi menzionato il confronto diretto tra due arazzi raffiguranti lo stessa tema, ovvero l’innalzamento del serpente di bronzo, tratto da un episodio delle storie di Mosè. Il primo arriva in prestito da Châteaudun, il secondo dal Museo del Duomo di Milano.
Oggi a Mantova si conservano soltanto due serie complete di tutte quelle fatte realizzare o acquistate dai Gonzaga ed è per questo motivo che la mostra prosegue nelle altre due sedi di Palazzo Ducale, che ospita gli arazzi con scene degli Atti degli Apostoli, e del Museo Diocesano, con quelli raffiguranti storie di Cristo e dei santi mantovani. Non è una mostra “facile”, ma senza dubbio gli appassionati d’arte non devono perdersela.
Gli arazzi dei Gonzaga nel Rinascimento
Palazzo Te, Viale Te 13 – Mantova
Museo Diocesano Francesco Gonzaga
Piazza Virgiliana 55
Museo di Palazzo Ducale
Piazza Sordello 40
Dal 14 marzo al 27 giugno 2010
Informazioni e prenotazioni:
Tel. 199 199 111 – www.centropalazzote.it
Orari:
Palazzo Te
lunedì 13.00-18.00; dal martedì alla domenica 9.00-18.00 (chiusura biglietteria 17.30)
Museo Diocesano Francesco Gonzaga
lunedì 15.00-17.30; dal martedì alla domenica 9.30-12.00; 15.00-17.30
Museo di Palazzo Ducale
Dal martedì alla domenica 8.15-19.15
Biglietto:
cumulativo tre sedi 13 €; mostra e Palazzo Te (con ingresso gratuito al Museo Diocesano Francesco Gonzaga) intero 10 €; ridotto 8 €
Museo di Palazzo Ducale: intero 6,50 €; ridotto 3,25 €
Didascalie:
- Manifattura di Cornelis Mattens
Storie di Alessandro Magno: Alessandro Magno assale Tiro (part.)
Arazzo, 360 x 526 cm
Monselice (Padova), Castello Rocca di Monselice - Bottega di Willem de Pannemaker
Puttini: Il caprone (part.)
Arazzo, 390 x 473 cm
Trissino (Vicenza), Fondazione Progetto Marzotto - Artista Nord Italia
Annunciazione
Arazzo, 113,7 x 179,4 cm
Chicago, The Art Institute - Bottega di Jehan Baudouyn
Fructus Belli: Il carro del trionfo
Arazzo, 495 x 890 cm
Bruxelles, Musées royaux d’Art e d’Histoire - Manifattura di Cornelis Mattens
Storie di Alessandro Magno: Battaglia di Isso (part.)
Arazzo, 360 x 471 cm
Monselice (Padova), Castello Rocca di Monselice - Bottega di Willem Dermoyen
Mosè: L’innalzamento del serpente di bronzo
Arazzo, 352 x 447 cm
Châteaudun, château de Châteaudun, Centre des Monuments Nationaux