
Lo scorso 2 maggio Madrid ha celebrato il bicentenario della sollevazione popolare contro le truppe napoleoniche. L’anniversario è stato occasione per organizzare numerose iniziative: mostre, convegni, incontri, studi e una cascata di prodotti editoriali. Il Museo del Prado, invece, un po’ controcorrente, ha preferito indirizzare la luce dei riflettori non tanto sugli avvenimenti bellici e politici che portarono all’indipendenza della Spagna, quanto piuttosto su Goya, uno dei sommi pittori della storia dell’arte, non solo iberica, al quale non dedicava una grande mostra dal 1996.
Un’epoca crucialeGià il titolo dell’esposizione – che resterà aperta fino al prossimo 13 luglio – Goya en tiempos de guerra – testimonia la preminenza dell’artista rispetto agli avvenimenti che sconvolsero la Spagna agli inizi del XIX secolo. Gli organizzatori hanno selezionato e raccolto quasi duecento opere, tra cui oltre una sessantina di dipinti, alcuni prestati da collezioni private, che insieme raccontano un quarto di secolo di storia spagnola. Anni cruciali e particolarmente drammatici, segnati da sconvolgimenti istituzionali e violenze inaudite (da entrambi i fronti). La mostra vuole essere, dichiaratamente, il diario di un’epoca, non di una guerra. Il diario tenuto da un artista geniale che sentì profondamente i drammi del tempo.
Durante la conferenza stampa di presentazione Manuela Mena, curatrice capo del dipartimento dedicato alla pittura del XVIII secolo e a Goya, si è commossa ricordando la risurrezione del pittore che tornò alla vita in uno stato di infermità dopo la seconda delle due gravissime malattie che rischiarono di essergli fatali. Goya rimase infatti sordo e debole, ma ne uscì con una straordinaria forza morale e intellettuale.
La dottoressa Mena ha tenuto a sottolineare la vasta cultura di Goya. E la complessità della sua figura, tanto complessa da essere difficile da trasmettere alle nuove generazioni. Serve infatti una buona conoscenza della scienza, della letteratura non solo spagnola, ma dei principali paesi europei e una cultura classica per comprendere l’opera dell’artista.
Quattro sezioniLa mostra è organizzata in quattro sezioni, dedicate rispettivamente al periodo in cui Goya fu “primer pintor de cámara” (1795-1800); all’inizio del nuovo secolo (1800-1808); agli anni della guerra d’indipendenza (1808-1814) e infine alle conseguenze della Guerra di Spagna (1814-1819).
I quadri posti al principio del percorso espositivo sono stati scelti perché rappresentano la scintilla che diede fuoco all’evoluzione dell’artista. Nelle prime sale sono esposte le opere eseguite per l’aristocrazia e per i gli amici intimi: ci sono i ritratti di Martín Zapater y Clavería, amico dall’infanzia, di Gaspar Melchor de Jovellanos, tra i principali esponenti dell’elite illuminata, di Juan Agustín Cean Bermudez, uno dei primi protettori dell’artista. Ed eccolo, Goya, in un intenso autoritratto datato attorno al 1796. Il pittore si rappresenta secondo i canoni dell’allora imperante Romanticismo: capigliatura leonina, sguardo deciso e fronte corrugata dell’uomo di genio (alla Beethoven). Ma, quasi a stemperare l’intensità dell’auto-rappresentazione, inserisce ironicamente il proprio nome rovesciato nella decorazione sul petto.
Nella stessa saletta c’è il celeberrimo disegno intitolato El sueño de la razón produce monstruos, emblematico delle convinzioni dell’artista riguardo la ragione e i pericoli generati dalla sua latitanza.
Già nella prima sala si avverte il passaggio dal mondo ordinato dell’Ancien Regime, rappresentato dal ritratto della Duchessa d’Alba, a quello instabile della nuova età, ben simboleggiato dalla tela La Cattura di Cristo: qui le colline verdi e dolci vengono rimpiazzate da uno sfondo buio che suscita angoscia nello spettatore.
Merita un’attenzione particolare il ritratto di María Rosario Fernández, detta La Tirana. Su questa attrice e sul rapporto che Goya ebbe col mondo del teatro è interessante leggere le parole che il filosofo José Ortega y Gasset vi ha dedicato nel saggio sul pittore spagnolo, edito in italiano nella collana Miniature da Abscondita: “A partire dal 1787, Goya inizia a considerare la vita della nazione dal punto di vista dei due gruppi sociali nei quali è entrato, e in cui rimarrà immerso sino alla morte. Essendo però tale punto di vista duplice e contraddittorio – un gusto per il popolaresco contemplato dall’alto e una ripulsa nei suoi confronti motivata dall’«idea» – l’opera di Goya ad esso informata non può che risultare ambivalente ed equivoca. Sovente non riusciamo a capire se glorifichi o condanni i suoi temi, se li dipinga pro oppure contra”.
La famiglia realeLa seconda sezione ruota attorno a uno dei capolavori più famosi di Goya: il ritratto della Famiglia di Carlo IV. È l’istantanea di un mondo destinato a crollare a breve, per poi ricomporsi come un vetro andato in mille pezzi, ormai nell’impossibilità di tornare come prima. Le differenti posture e le diverse direzioni degli sguardi danno alla grande tela un’idea di movimento e di profondità spaziale. Goya si è raffigurato alle spalle del gruppo, a sinistra, ovvero nella stessa posizione che si è riservato Velázquez nella celeberrima Famiglia di Filippo IV (Las Meninas), quadro al quale il pittore di Saragozza si ispira apertamente, rendendogli allo stesso tempo omaggio.
Molto intensi sono i ritratti del Conte e della Contessa de Fernán Núñez e quello del Marchese di San Adrián, immortalato in una posa plastica che ricorda la statua dell’Apollo Sauroctono di Prassitele. Il Marchese è vestito all’ultima moda francese con il cilindro appoggiato a un’improbabile roccia. Impugna un frustino nella mano destra, mentre con l’indice della sinistra tiene il segno al libro che sta leggendo, quasi fosse stato interrotto dal pittore.
La guerra
I bei tempi (per l’aristocrazia e l’alta borghesia) sono però finiti. Napoleone ha sconvolto la geografia dell’Europa modificando a suo piacere l’organigramma di regni secolari, compreso quello dei Borboni. L’imperatore francese impone a Carlo IV l’abdicazione a favore del figlio Fernando VII e a quest’ultimo l’abdicazione in suo favore, per poi “girare” al proprio fratello Giuseppe il titolo di re di Spagna. Il 2 maggio del 1808 il popolo madrileno si era sollevato contro le truppe comandate da Murat che soffocò la ribellione in modo particolarmente feroce. Il vecchio re non aveva la forza per opporsi ai Francesi, ma desta imbarazzo soprattutto il comportamento pusillanime di Fernando, sul quale puntavano tutte le proprie speranze i resistenti spagnoli. Il suo ritratto a cavallo ne rivela l’assenza di carattere, con il bastone del potere impugnato in modo assai blando, quasi a confessare di essere prontissimo a passare la consegna a chi dimostri maggior spirito di intraprendenza (e, sotto questo aspetto, Napoleone non aveva bisogno dell’invito di nessuno: si prendeva da sé tutto quello a cui aspirava). Goya aveva avuto pochissimo tempo per ritratte Fernando in posa perché quest’ultimo era fuggito quando la situazione era precipitata.

Al periodo a cui è dedicata questa terza sezione (ovvero agli anni tra il 1808 e il 1814) risale anche la serie di bodegones, nature morte, nella quale Goya esprime la propria attenzione verso il mondo naturale. Gli animali ormai privi di vita non vengono raffigurati come trofei di caccia, ma come vittime che meritano compassione. Significativo è la rappresentazione dell’agnello, firmata dal pittore in una macchia di sangue, come fece Caravaggio con la grande tela della Decollazione di San Giovanni. Il simbolismo del sacrificio è evidentissimo.
Sempre in questa sezione meritano particolare attenzione la serie dei Disastri della guerra, nei cui disegni Goya concentra al massimo la sua critica alla violenza, da qualunque parte provenga, e alcuni ritratti particolarmente intensi, come quello del nipotino Mariano, del generale napoleonico Nicolas-Philippe Guye e di suo nipote Victor. La curatrice ha tenuto a sottolineare la massima naturalezza e sensibilità nei ritratti eseguiti da Goya, sia in quelli degli amici, che in quelli dei “nemici”, senza distinzione tra connazionali e francesi.
Il ritratto del Duca di Wellington (1812) è collocato di fronte a quello di Ferdinando VII. La posizione invita al confronto tra gli sguardi dei due uomini: anche se contemporanei, sembrano esprimere epoche, atteggiamenti e addirittura filosofie di vita differenti. Lo schizzo del ritratto del Duca rivela invece un uomo più vecchio, quasi dubbioso, in un atteggiamento meno impettito.
In una saletta vengono alternativamente proiettati due filmati con la serie dei Disastri della guerra e la spiegazione delle varie fasi del restauro del 2 e del 3 Maggio.
Il 2 e il 3 Maggio

La mostra è stata l’occasione per restaurare le tele del 2 Maggio e del 3 Maggio, danneggiate durante la guerra civile del secolo scorso. Sono opere molto elaborate e curate, come si può notare osservando attentamente il muso dei cavalli nella tela del Dos de Mayo, realizzato dall’artista con una precisione da miniatore. Sono proprio gli animali a esprimere qui l’orrore per quanto sta accadendo, più umani degli uomini che danno sfogo alla violenza. Quelli in seconda fila si pongono in rapporto diretto con lo spettatore, innovando un espediente che il Rinascimento italiano aveva introdotto nell’arte.
Il quadro rappresenta l’assalto del popolo contro i mamelucchi della guardia napoleonica, mentre il secondo episodio immortala la tragica conseguenza della ribellione: i soldati fucilano i patrioti spagnoli catturati. I gesti di disperazione e l’annullamento della distanza tra vittime e carnefici esalta la drammaticità della scena e pare suggerire che tra le due parti non c’è che una piccolissima differenza, essendo tutti accomunati dalla stessa natura di uomini. Rappresenta un grido contro la morte, la denuncia del massacro di innocenti, come poi sarà Guernica di Picasso.

I curatori hanno scoperto che le due grandi tele, quando la pittura era ancora fresca, furono poste l’una attaccata all’altra dalla parte della pittura: il restauro ha infatti rivelato che nelle parti centrali ci sono frammenti di colore provenienti dall’altra tela.
I due capolavori sono anche il centro fisico dell’esposizione, non soltanto le opere più simboliche di Goya, tanto da diventare una sorta di mito, a partire dal XX secolo.
Ritorno al passato
L’ultima sezione racconta la Spagna vista da Goya negli anni successivi alla restaurazione di Fernando VII che impose un brusco ritorno alla più retrograda politica assolutistica, dichiarando nulla la costituzione di Cadice del 1812. Nei disegni di tauromachia Goya esprime la violenza degli uomini sugli animali, contrapposta alla fierezza del toro di fronte alla canaglia, senza dimenticare fatti di cronaca come la morte del sindaco di Torrejon, infilzato da un toro che aveva invaso le tribune. L’artista insiste sul tema della brutalità e negli anni tra il 1814 e il 1816 realizza una serie di opere incentrate su quello della follia umana che tanto lo fa pensare. C’è ancora spazio per ritratti significativi, ma la speranza che Goya aveva riposto nel riformismo illuminato appare ormai abbandonata e archiviata nel passato.
Le caratteristiche del voluminoso catalogo (edito solo in spagnolo) sono state riassunte così in conferenza stampa: bello, di qualità, sobrio. Senza tema di smentita si possono estendere all’intera esposizione che merita senza dubbio un viaggio a Madrid.
Info e dida
Goya en tiempos de guerra
Museo del Prado
Madrid
Fino al 13 luglio 2008
Orario: da martedì a domenica e festivi : 9.00-20.00; lunedì chiuso
Biglietto: comprende la visita alla collezione permanente. In vendita anticipata costa 9,00 €, alla cassa 6,00 €; ingresso gratuito: da martedì a sabato 18.00-20.00 e domenica 17.00-20.00

José Ortega y Gasset
Goya
Abscondita
(collana Miniature)
2007
110 pp.
€ 12,00
Didascalie delle immagini:
Retrato de la Marquesa de Montehermoso
Francisco de Goya
Olio su tela, 171.2 x 103.3 cm
Collezione privata
Fraile Pedro aporreando a Maragato con la culata de la pistola
Francisco de Goya
Olio su tavola, 29.2 x 38.5 cm
Chicago, The Art Institute of Chicago, Mr. And Mrs. Martin A, Ryerson Collection
Retrato del Marqués de San Adrián
Francisco de Goya
Olio su tela, 209 x 127 cm
Museo de Navarra
Fusilamiento en un campamento militar
Francisco de Goya
Olio su tela, 58 x 71 cm
Colección Marqués de la Romana
El 2 de mayo de 1808 en Madrid: la lucha con los mamelucos
Francisco de Goya
Olio su tela, 268 x 347 cm
Madrid, Museo Nacional del Prado
(dopo il restauro)
El 3 de mayo de 1808 en Madrid: los fusilamientos en la montaña del Príncipe Pío
Francisco de Goya
Olio su tela, 268 x 347
Madrid, Museo Nacional del Prado
(dopo il restauro)