Nona puntata del reportage di Laura Baldo sull’Iran.
Oggi finalmente vedremo Persepoli, uno dei luoghi che più aspettavo dall’inizio del viaggio.
Fondata nel VI secolo a.C. da Dario I, fu capitale dell’impero persiano per un paio di secoli, fino alla sua distruzione durante le conquiste di Alessandro Magno. Uno dei primi siti messi sotto tutela dall’UNESCO, per il suo valore storico straordinario.
Dista solo 60 km da Shiraz, e ci arriviamo in circa un’ora. A differenza dei siti poco conosciuti e deserti visti finora, qui c’è un sacco di gente, perfino un’altra comitiva di turisti italiani.
Il palazzo di Dario
Il sito in sé è grandissimo, e siamo stati avvertiti che staremo diverso tempo all’aperto, quindi ci siamo attrezzati con creme, cappelli e anche ombrellini. Saliamo una scalinata che porta alla grande terrazza artificiale, e la spianata con le rovine si apre davanti a noi: la grandiosa Porta di tutte le Nazioni, con due lamassu scolpiti ai suoi lati (figure mitologiche simili a sfingi alate, con funzione di protezione); il palazzo di Dario; i bassorilievi su ogni muro o stipite rimasto, straordinariamente nitidi e ben conservati.
Alcuni temi sono ricorrenti: le sfilate di guerrieri; la lotta tra Ahura Mazda e un demone in forma di toro o leone; un re sulla sua portantina; il simbolo alato del faravahar.
L’attrazione principale però è la scalinata che portava al palazzo dei ricevimenti, decorata per tutta la lunghezza da bassorilievi con rappresentati i popoli che rendevano omaggio al Re dei re: medi, armeni, battriani, ecc., tutti con gli abiti e i doni caratteristici.
Ognuna delle centinaia di figure è diversa, con un’incredibile precisione nei dettagli, e la processione rivela molto non solo sulle usanze, ma anche sull’immagine politica che si voleva trasmettere. Si vede ad esempio che tutti i delegati erano accolti da qualcuno che li accompagnava dal Re tenendoli per mano, in segno di amicizia. La profusione di popoli diversi non rappresenta solo la potenza di un impero enorme, ma anche la pacifica convivenza tra le stesse genti dovuta alla saggezza del sovrano.
Il realismo di alcune scene poi è straordinario. Tra i doni dei delegati ci sono anche animali, non solo quelli da soma come i cammelli o i buoi, ma anche animali esotici, come una leonessa al guinzaglio, con la testa girata indietro per controllare i suoi cuccioli, portati in braccio da altri servitori.
Impieghiamo circa due ore per la visita e le spiegazioni, poi ci viene lasciata un’altra ora per girare da soli, prima di ritrovarci all’ingresso. Sopra il sito, lungo la parete della montagna, ci sono delle tombe, e Alì ci fa notare che da lassù si possono fare belle foto. Così andiamo tutti; la salita è ripida e assolata ma richiede in realtà pochi minuti e il panorama è magnifico.
Facciamo una foto di rito tutti insieme, che diventerà un po’ quella ufficiale del viaggio. Sotto di noi si apre la vasta distesa arida del sito, punteggiata di basamenti di colonna e architravi, con accanto una grande pineta verde, in lontananza le montagne velate dalla calura, e su tutto un cielo azzurro limpido e sconfinato. È talmente spettacolare che trasmette un senso di vaga soggezione.
All’uscita c’è un’area di negozi di souvenir, dove ci sono libri e altri oggetti a tema antico, tra cui la tazza col simbolo del faravahar e il triplice motto zoroastriano (buon pensiero, buone parole, buone azioni). È un po’ pacchiana ma mi piace, però nel bagaglio finirebbe per rompersi, quindi a malincuore rinuncio.
Sono sollevata quando infine ripartiamo; per quanto il sito fosse interessante, il caldo comincia a essere pesante. Ci fermiamo poco dopo per il pranzo, in un posto molto carino con giardino e tavoli all’aperto e un piccolo specchio d’acqua con fontane, i cui spruzzi rinfrescano piacevolmente l’aria. Si mangia a buffet, così posso prendere solo quel che riesco a mangiare. C’è molta scelta di piatti caldi e freddi, riso, stufato, verdure, frittate.
Naqsh-e Rostam
Dopo pranzo sosta a Naqsh-e Rajab, dove ci sono dei bassorilievi e iscrizioni di epoca sasanide (III secolo d.C.), con raffigurate le investiture di alcuni re, tra cui Shapur I, che abbiamo già incontrato, in un bassorilievo pressoché identico, giorni fa a Bishapur. Piccolo il mondo.
Lì vicino, tanto che formano quasi un unico sito, ci sono invece le gigantesche e spettacolari tombe rupestri di Naqsh-e Rostam. Le tombe sono all’interno di grotte scavate nella roccia al centro di una singolare forma di croce, dove il braccio orizzontale è decorato con colonne che affiancano l’ingresso, e quello verticale superiore con dei bassorilievi.
Riempiono l’intera parete di una montagna e sono le sepolture dei re achemenidi (Dario I e II, Serse, Artaserse). Ai loro piedi c’è anche un edificio quadrato, che sembra fosse un antico Tempio del fuoco, ma non si può visitare l’interno, quindi dopo aver sentito le spiegazioni e ammirato la magnificenza del luogo ripartiamo.
Ritorno a Shiraz
Rientriamo a Shiraz che è ancora presto, quindi ci fermiamo a fare spese in un negozio di dolci grande come un supermercato. Ci sono cesti di bastoncini di zucchero per mescolare il tè, di ben quattro gusti, frutta secca di ogni varietà, alcune mai viste, cinque o sei tipi di pistacchi, altrettanti di uvetta, caramelle, frutta candita, un mare di datteri e scaffali di biscotti in scatola.
Mi pento all’improvviso di non aver portato una valigia più grande, con lo spazio per gli acquisti. Così prendo solo poche cose (e, di nuovo, me ne pentirò poi): una scatola di datteri, alcuni bastoncini di zucchero, un sacchetto di pistacchi e uno di uvetta (la più buona mai assaggiata, dolce quasi quanto i datteri).
La sera ceniamo al ristorante Shapouri, che è piuttosto famoso, perché si trova in una splendida residenza nobiliare restaurata, tutta colonne bianche, vetri colorati e stucchi, con un grande giardino e fontane davanti. L’interno è altrettanto lussuoso, e mentre aspetto la cena faccio diverse foto alle scale, agli affreschi e alla veranda.
La sala dove siamo è al secondo piano ed era una di quelle di rappresentanza, con grandi vetrate che danno sulla terrazza esterna e sul giardino. Fuori, sulla terrazza, ci sono dei tavolini, troppo piccoli per noi, ma ideali per una cena romantica a due in un posto davvero magico.
Prendo un piatto tipico di qui: Kalam Polò Shirazi, ossia riso con cavolo, polpettine di carne ed erbe aromatiche. È uno dei più buoni assaggiati finora, peccato solo che la porzione è come sempre esagerata.
Finita la cena, l’occupazione della serata è trovare un paio di pantaloni per uno di noi. Girare per negozi è divertente, ma i marciapiedi come al solito sono un caos di passanti, venditori e moto. Dopo un po’ è stressante e la giornata è stata piena, quindi è un sollievo tornare in hotel.
È l’ultima notte qui, domani si parte per visitare Pasargade e raggiungere la meta che sono più ansiosa di vedere: Yazd, centro spirituale del culto zoroastriano.
Laura Baldo
Nona puntata – segue.
Di Laura Baldo è appena uscito da Alcheringa Edizioni il romanzo giallo “La salvatrice di libri orfani”.
Didascalie:
- Persepoli, il palazzo di Dario
- Architravi e bassorilievi
- La grande scalinata
- Vista del sito dall’alto
- Le tombe rupestri di Naqsh-e Rostam
- Supermarket dei dolci, Shiraz
- Ristorante Shapouri