Con la seconda parte della settima tappa si conclude il nostro intenso viaggio lungo il fiume Ebro: 900 chilometri in una settimana.
Casa Cusa
Come punto di riferimento e “rifugio” per il pernottamento abbiamo scelto Casa Cusa a Sant Jaume d’Enveja, una ventina di chilometri da Amposta, dove in tarda mattinata abbiamo visitato il Museo delle Terre dell’Ebro.
L’acqua che ristagna nei campi rivela che la casetta bianca, ai bordi della strada TV-3403, è circondata da risaie. Ce lo conferma Lucía che arriva a consegnarci le chiavi e mostrarci l’abitazione: cucina e ampio soggiorno al piano terra, due camere da letto e bagno al primo piano. Alle finestre zanzariere per tenere fuori gli insetti che alla sera si manifestano in massa.
Di norma la casa viene affittata a famiglie o a piccoli gruppi per un minimo di due notti, ma per noi è stata fatta un’eccezione, considerata la natura del nostro viaggio.
Quando racconto a Lucía che abbiamo appuntamento a Riumar, la sua risposta mi lascia incredulo: per arrivarci occorrerà circa mezz’ora. Pur essendo a una manciata di chilometri in linea d’aria, si raggiunge con un percorso molto più lungo perché è dall’altra parte dell’Ebro…
Impieghiamo il poco tempo a disposizione per sistemare i bagagli, darci una rinfrescata e curiosare per casa. Ad attirare la mia attenzione sono soprattutto i libri esposti su tre mensole, in un angolo del soggiorno, tutti dedicati al delta dell’Ebro. Spettacolari le fotografie di Mariano Cebolla che illustrano il volume “El delta de l’Ebre”, con testi scritti – in catalano – da Gerard Vergés (l’editore è Viena).
A una parete è appeso un poster con l’elenco e la raffigurazione di ben 164 specie di uccelli presenti nelle zone umide e nei dintorni. Il loro nomi sono indicati in catalano, latino, spagnolo, francese, tedesco e inglese. Manca solo l’italiano. Ma la cosa più curiosa è la fotocopia di una lettera riguardante… un’anatra!
Riporta i dati del ritrovamento di un esemplare di mestolone comune o anas clypeata che, “inanellato” a Rostock il 29 giugno 1987 in quella che era ancora la Repubblica Democratica Tedesca è stato ritrovato a Sant Jaume d’Enveja il 2 gennaio 1988. In 188 giorni l’animale ha coperto 1618 chilometri! Questo documento mi ha fatto pensare al libro “La passeggiata da Rostock a Siracusa” di Friedrich Christian Delius, edito in Italia da Sellerio: ve lo consiglio caldamente. Uomini e uccelli non conoscono barriere nella loro ricerca di un altrove…
Fernweh Delta de l’Ebre
Abbiamo appuntamento con Sergi Guillén, CEO di Fernweh Delta de l’Ebre, alle ore 17 al bar del porticciolo di Riumar.
Fernweh è una società di recente costituzione che propone un ricco pacchetto di esperienze nell’area della riserva della biosfera che abbraccia il delta dell’Ebro: dal soggiorno a Villa Fernweh al volo in mongolfiera (ammirare dall’alto l’ultimo tratto dell’Ebro, dorato dai raggi del sole al tramonto, dev’essere un’emozione incredibile!), passando per il kitesurfing, il volo su un piccolo aereo da 4 posti – compreso il pilota – e la gita in motoscafo.
Proprio quest’ultima è l’esperienza con cui decidiamo di suggellare il nostro viaggio. Il sito internet della società è molto bello, ma come il poster degli uccelli a Casa Cusa, è disponibile in tante lingue tranne l’italiano. Più avanti, chissà…
Prima della gita ho cercato in rete il significato della parola tedesca Fernweh – confesso di non averla mai sentita prima – e ho letto la breve pagina che dedica Wikipedia a questa “nostalgia della lontananza”. A colazione, in un bar di Tortosa, ho invece letto l’articolo che la rivista “L’Estel” ha dedicato al progetto di Sergi, laureato in International Business & Marketing a Barcellona.
“Fernweh nasce per avvicinare il Delta dell’Ebro alle migliaia di persone che lo visitano, inspirandoli a condurre una vita positiva e che lasci il segno (“impactant” è il termine catalano usato), una vita di conoscenza e amore” spiega – in toni un po’ elegiaci – l’articolista. Questa filosofia di vita, apprezzabile di per sé, esposta con passione mentre si naviga sull’Ebro, immersi nella natura, diventa più che condivisibile: verrebbe voglia di fermarsi qui, per viverci.
Sergi è un bel ragazzo, alto e sportivo. Arriva accompagnato dal padre, imprenditore di lungo corso. Sarà soprattutto con lui che chiacchiererò durante le due ore della gita, mentre Sergi sarà impegnato a manovrare con disinvoltura la piccola imbarcazione.
Appena saliti a bordo mi mostra il percorso che faremo, indicandolo con il dito sulla mappa che mi regala. La cartina è davvero ben fatta: riporta anche le coordinate GPS dei luoghi più interessanti, come il Mirador presso la Gola de Migjorn e il faro che fronteggia Illa de Sant Antoni, l’Isola di Sant’Antonio.
Gita in motoscafo
La giornata è splendida, degno coronamento di un viaggio che ci ha portato da Santander sull’Oceano Atlantico al Mar Mediterraneo, in una discesa parallela ai Pirenei. La brezza marina rinfresca l’aria arroventata dal sole di giugno. Il figliolo viene invitato a prendere posto sulla poltroncina accanto a Sergi e non se lo fa ripetere due volte, mentre io e il signor Guillén siamo comodamente seduti sul divanetto di poppa.
Cullati dai leggeri movimenti del motoscafo parliamo di nostalgia. Con il mio stentato spagnolo mi arrischio addirittura in una riflessione sulla parola stessa “nostalgia”, così importante per la cultura greca, fondata sui poemi omerici, che però – paradossalmente – non ha un nome per definire quella forza irresistibile che spinge Ulisse a tornare a Itaca. E proprio all’isola di Itaca Kavafis ha dedicato la sua poesia più bella e giustamente più celebre. Kavafis: un altro che pativa il “dolore del ritorno”.
Mentre navighiamo sulle acque del fiume e poi in quelle del Mediterraneo parliamo di terre, di Spagna e di Catalogna. Non sono tanto le questioni di identità a destare il mio interesse, quanto invece le storie degli uomini. A ben vedere, ho compiuto un viaggio di migliaia di chilometri per ascoltare storie di altre persone e per raccontare la mia (almeno una parte di essa).
All’occhio del cittadino di pianura che sono i segni di attività umana nel delta dell’Ebro appaiono discreti, difficili da individuare. I più evidenti sono i cartelli didattici. La presenza di questi cartelli è stata una costante, molto apprezzata, del nostro viaggio. Uno dei primi che incontriamo è dedicato alla reintroduzione della testuggine palustre europea (Emys Orbicularis). Ogni anno vengono liberati dai 20 ai 30 esemplari, dopo che hanno trascorso 7 mesi in un luogo chiuso di acclimatazione. Ciascuno di essi viene marchiato e dotato di un microchip che consente lo studio del suo comportamento, una volta rimesso in libertà.
Più avanti incontriamo un cartello con la segnalazione degli uccelli “da spiaggia”, come il gabbiano corso, il cui stato di conservazione viene indicato come “prossimo alla minaccia”, e il gabbiano reale che invece vive tranquillo: lui è a “rischio minimo”.
Padre e figlio mi raccontano il progetto Fernweh, nato con lo scopo di preservare il paradiso (la definizione è mia, ma entrambi sono d’accordo con me) in cui ci troviamo in quel momento, tra fenicotteri rosa (flamencos), cavalli selvatici e uccelli di palude. Non è certo il turismo di massa, invadente, superficiale e distratto, il destinatario delle proposte turistiche di Fernweh. Sono piuttosto rivolte a chi ama la natura e sa apprezzare con consapevolezza l’eccezionalità di questo luogo, in perenne mutamento e in delicatissimo equilibrio. Un posto così va goduto con esperienze speciali che regalino momenti magici, da ricordare per sempre.
Il delta dell’Ebro è decisamente diverso dalle foci degli altri fiumi che ho percorso nella loro interezza. Non assomiglia infatti all’estuario del Tevere nei pressi di Ostia o a quello dell’Arno a Marina di Pisa, né al maestoso abbraccio del Tago con l’Oceano poco dopo Lisbona.
Probabilmente presenta alcune somiglianze con il delta del Po, estrema propaggine del Polesine. E proprio quest’area confesso al signor Guillén di non aver ancora visitato. Il desiderio di viaggiare spinge lontano, spesso facendo trascurare quanto abbiamo più vicino.
Quando siamo ormai in mare aperto, con un gesto un po’ teatrale estraggo dalla sacca il piccolo contenitore di plastica riempito a Fontibre con il timido getto dell’Ebro appena nato. Il figliolo svita il tappo e libera l’acqua nel Mediterraneo: le abbiamo risparmiato un viaggio di 900 chilometri.
Mentre ammiro il paesaggio che ci circonda, mi tornano in mente, senza alcun ordine, i posti che abbiamo visitato, i ponti da cui abbiamo osservato scorrere il fiume, le anse presso le quali ci siamo soffermati. E mi ritrovo a pensare che – davvero – il tempo è un fiume.
Saul Stucchi
- Casa Cusa
Carretera de Buda, km7
Sant Jaume d’Enveja (Tarragona)
Informazioni:
www.casacusa.com - Fernweh Delta de l’Ebre
Pol. Ind. Les Molines, Parcel·la 3, 2 A
Deltebre (Tarragona)
Informazioni:
https://fernwehdeltadelebre.com