Dopo una breve visita all’Aula Ottagona (è così affascinante che meritava una seconda visita), entro a Palazzo Massimo, una delle sedi del Museo Nazionale Romano.
Tra i reperti più interessanti meritano almeno una segnalazione i ritratti della famiglia Giulio-Claudia, gli affreschi della villa della Farnesina, la mummia di Grottarossa (una bambina di otto anni morta di tubercolosi; l’unica mummia romana giunta fino a noi); gli intarsi provenienti dalla basilica di Giunio Basso. Pranzo con vista sul Colosseo, poi salgo sul Palatino, proprio quando il sole dardeggia i suoi raggi implacabile e la temperatura è sahariana. Ammiro i fori dall’alto e guardo i visitatori muoversi tra i ruderi come formiche.
Entro al Colosseo saltando una fila lunghissima, grazie al biglietto cumulativo. Vedo la mostra “Musa pensosa” che giudico senza lode né infamia: è molto suggestiva la cornice, ma il materiale esposto non è eccezionale, al di là di un paio di vasi apuli e di qualche statua.
Riattraverso i fori, arrivo a San Luigi dei Francesi e mi soffermo a guardare le tre tele del Caravaggio che sono custodite nell’ultima cappella nel transetto di sinistra. Dedico più tempo alla ricerca di lapidi riconducibili al periodo napoleonico, ma non ne trovo. Nella libreria francese compro Le grand voyage de l’obélisque, di Robert Solé, un saggio dedicato al trasporto a Parigi dell’obelisco egizio che ancora campeggia a Place de la Concorde. Entro al Pantheon – noto che hanno tolto i registri per scrivere dediche e commenti in onore dei Savoia – e poi ordino una coppa di gelato da Giolitti. Mi rifaccio a piedi la lunga strada fino a via Flavia, passando a fianco del Quirinale. Dopo la doccia e un po’ di relax, scendo a cenare in uno dei due ristoranti sotto l’albergo. La scelta è infelice perché le costolette di agnello sono insapori e i fagiolini sono bolliti; con acqua e caffè spendo 19,00 euro. Fare il turista in Italia è sempre più costoso. Verso la fine della cena ha segnato l’Italia e si è levato un boato d’entusiasmo.
Saul Stucchi