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Voi siete qui: Musica & Danza » 1970 – 2020: Fifty Years with(out) The Beatles

5 Maggio 2020 Scritto da Simone Cozzi

1970 – 2020: Fifty Years with(out) The Beatles

È difficile individuare il momento esatto in cui ebbe fine la vertiginosa parabola che in un solo decennio trasformò quattro ragazzi di Liverpool in un gruppo dalla popolarità planetaria, The Beatles.

Certo è che cinquant’anni fa, nel gennaio del 1970, Paul McCartney, John Lennon, George Harrison e Ringo Starr scrissero le ultime parole della propria storia comune: l’evento conclusivo vuole farsi coincidere con il concerto, quasi un flash mob, tenutosi sul tetto del palazzo dove aveva sede l’Apple Records, la casa discografica che produceva i dischi del quartetto. Le immagini di quell’evento, riprese da Michael Lindsay-Hogg, che tutti ormai possono vedere su Youtube, fecero parte del documentario “Let it be, un giorno con i Beatles”.

Concerto sul tetto dei Beatles

Tale documentario era stato ideato come prodotto di accompagnamento all’uscita del disco omonimo. Il disco avrebbe dovuto chiamarsi Get back, un titolo che recava in sé l’auspicio di tutti affinché il gruppo riuscisse a trovare l’ispirazione e la coesione delle origini e riuscisse a ricomporre la miriade di fratture che avevano allontanato i quattro.

All’ultimo il disco prese il titolo della canzone più rappresentativa dell’album. Tuttavia era tardi: troppi fattori indicavano che per i Fab Four la parola fine era scritta e il ritorno alle origini era un miraggio.

Teorie sullo scioglimento dei Beatles

Molti studiosi di questo fulminante fenomeno musicale, formatosi nel 1960 ma che di fatto pubblicò il suo primo disco nel 1962, hanno proposto teorie plausibili a giustificazione dello scioglimento del gruppo.

Chi parla dell’ingombrante presenza di Yoko Ono e dell’influenza centripeta da lei esercitata su John Lennon; chi adduce le difficoltà finanziarie della Apple Records che portò disaccordo fra i componenti del complesso; qualcun altro sostiene che alla base della separazione ci fossero invece ragioni contrattuali e infantili gelosie fra i quattro.

Infine, la teoria che a me pare la più ragionevole parla di un diverso orientamento musicale che aveva allontanato i due leader carismatici del quartetto, ossia Lennon e McCartney. Semplicemente i due non s’intendevano più, avevano in mente due modi diversi di concepire il pop e ciò inceppò il meccanismo creativo che tanto aveva dato alla musica di quel decennio. In particolare Paul si trovò distante dalla visione degli altri tre.

A dimostrazione dell’abisso che li allontanava, la canzone Let it be, di fatto concepita dal solo McCartney, fu accolta con atteggiamento schizzinoso da Lennon e incisa separatamente dai quattro, che registrarono, ciascuno per proprio conto e in ore diverse della stessa giornata, le tracce dei relativi strumenti che furono poi unite solo in fase di mixaggio. Quindi, al di là di tutte le congetture, John, Paul, Ringo e George si erano semplicemente stancati di stare insieme. Càpita.

Successo planetario

Tuttavia, nonostante la loro produzione sia stata tutto sommato esigua e abbia coperto a fatica il solo magico decennio dei Sixties, oggi a 58 anni da quell’11 settembre del 1962, quando venne realizzata la registrazione finale di Love me do (il loro primo singolo), e a cinquant’anni dal loro scioglimento, la musica dei Beatles continua a permanere nelle playlist di gran parte degli individui di tutto il pianeta, indifferentemente dall’età e delle tradizioni culturali.

Tanto per dire, la pubblicità della Vodafone realizzata per il lockdown utilizza le note e la strofa di Come together. Soprattutto, le figure dei Fab Four, persistono nell’immaginario collettivo come simbolo immarcescibile dei cambiamenti intercorsi negli anni Sessanta.

Eppure i Beatles hanno condiviso la scena con musicisti altrettanto validi: basti pensare a Hendrix, ai Rolling Stones, ai Cream, a Janis Joplin o a Neil Young.

E, rispetto agli eterni Stones o ai Pink Floyd (formatisi pochi anni dopo), sono stati di gran lunga meno produttivi e meno longevi. Allora, cos’ha fatto sì che il quartetto partito dall’oratorio della St. Peter’s Church di Liverpool venisse proiettato nell’empireo della musica pop? Provo ad azzardare alcuni fattori, che pure esulano dal mero aspetto musicale.

Una pistola fumante

A differenza e prima di altri gruppi coevi, i Beatles hanno capito l’importanza del marketing come leva per aumentare in modo esponenziale la propria popolarità e diventare mainstream. A partire dalla foggia delle zazzere e dei loro abiti con il collo di velluto, hanno impresso sistematiche svolte alla propria immagine in modo da tenere sempre desta l’attenzione del pubblico.

Inoltre, hanno contribuito ad alimentare una specie di storytelling privato che ha creato un’altalena fra mistero e rivelazione. L’esempio del P.I.D. (Paul is dead) è lampante. Nessuno sa come sia nata la leggenda secondo cui Paul McCartney sia morto in un incidente stradale nel pieno apogeo della loro carriera. Certo è che nessuno dei quattro abbia fatto nulla per smorzare l’eco di questa leggenda che ha scatenato i fans alla ricerca di elementi a riprova della morte del bassista e della sua sostituzione con un poliziotto canadese di nome William Campbell.

George Martin e Brian Epstein, intanto, muovevano le leve di questa macchina, spingendo forte sull’acceleratore della popolarità che cresceva tanto da far dire a Lennon “Siamo più famosi della Regina [che li nominò baronetti, n.d.r.] e di Gesù Cristo”.

E, a proposito di morte, anche quella violenta che pose fine (questa volta per davvero, purtroppo) alla vita di John, per mano di Marc Chapman che gli sparò davanti alla sua casa con vista Central Park, a dieci anni esatti dallo scioglimento del gruppo, contribuì tristemente ad alimentare il clamore intorno a loro, soprattutto considerato il fatto che Lennon aveva in precedenza scritto una canzone dal titolo premonitore: Happiness is a warm gun [contenuto in The Beatles, del 1968, n.d.r.], la felicità è una rivoltella fumante.

Oggi, a mezzo secolo di distanza, non si contano le cover delle loro canzoni eseguite da mostri sacri della musica (da Joe Cocker a Aretha Franklin), i dischi tributo prodotti, i concerti commemorativi e perfino un film musical diretto dal genio visionario di Julie Taymor con le suggestive coreografie di Daniel Ezralow, all’interno del quale i feticisti del gruppo di Liverpool possono trovare una miriade di citazioni.

Quanto alle influenze musicali che essi hanno avuto sulla maggior parte dei gruppi britannici, dai Duran Duran agli Oasis e mille altri ancora, suggerisco di ascoltare i coretti in falsetto dei Queen in Bohemian Rhapsody, o dei Pink Floyd in The show must go on, per riconoscere un richiamo a Because. Tanto per fare un esempio.

Quindi possiamo dire senza tema di smentita che c’è traccia dei Beatles qui, là e in ogni luogo. Here, there and everywhere.

Simone Cozzi

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Info Simone Cozzi

Una laurea in Economia e Commercio, una passione per la scrittura, la fotografia, la musica. Ha pubblicato con Panda Edizioni: La pace inquieta, Doppio strato, Lo spazio torbido e Il buio è prossimo. Informazioni sull'autore Simone Cozzi.

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