Fino al 6 maggio l’Antikenmuseum (Museo di Antichità) di Basilea, in Svizzera, ospiterà la mostra “Scanning Seti. The Regeneration of a Pharaonic Tomb”. Tutti gli appassionati dell’antico Egitto (e chi non lo è?!) sono invitati a visitarla: è un’occasione imperdibile per ammirare reperti archeologici e frammenti di pitture parietali originali oltre alla riproduzione di due intere camere della tomba di Seti I, uno dei faraoni più importanti del Nuovo Regno, non soltanto della XIX dinastia.
Nella saletta introduttiva, il cui pavimento traballa al passare dei tram lungo St. Alban-Graben, vengono presentati i protagonisti dell’avventura archeologica che portò alla riscoperta del sepolcro di Seti I: il wali (viceré) Mehmet Ali, il console di Francia (ma piemontese) Bernardino Drovetti (la cui ricchissima collezione è alla base del Museo Egizio di Torino) e Henry Salt, il suo omologo britannico. Ma su tutti emerge lui, Giovanni Battista Belzoni, e non solo fisicamente! Nella riproduzione di una vignetta lo vediamo all’opera come “Sansone di Patagonia”. Sollevava 12 persone contemporaneamente, ma non sarebbe passato alla storia per imprese di questo genere…
Era arrivato in Egitto nel 1815 per proporre un sistema rivoluzionario di pompe idrauliche, ma la sua presentazione fallì clamorosamente. Gli venne però proposto di trovare nel paese antichità da inviare in Inghilterra. E fu questa missione a farlo entrare negli annali dell’egittologia. Nel 1817 scoprì appunto la tomba di Seti I nella Valle dei Re a Luxor. Sarebbe morto di dissenteria in Benin nel 1823 all’età di 45 anni, l’anno dopo che Champollion aveva annunciato di aver decifrato i geroglifici.
Belzoni fu tra i protagonisti della corsa alle antichità, la sfida che vedeva in primo piano Francia e Inghilterra, anche se non mancavano altri giocatori, a cominciare dallo svizzero (di Basilea) Johann Ludwig Burckhardt, lo “scopritore” di Petra.
Subito dopo è esposto un modellino della tomba di Seti I che consente al visitatore di farsi un’idea della struttura del sepolcro, completamente scavato nella roccia per una lunghezza di oltre 130 metri. Mentre mi aggiravo attorno al modellino ho visto una signora del personale del museo con in mano alcuni ceri accesi. La sorpresa è durata poco: appena varcata la tenda che ricopre l’ingresso della “Sala delle Bellezze” ho visto sul pavimento le candele, messe per lì illuminare la riproduzione del vestibolo della tomba. Che effetto!
L’intenso percorso espositivo prosegue con le tappe che sintetizzo qui sotto:
- La tomba “di Belzoni” ovvero la scoperta della tomba di Seti I
- Le tecniche di riproduzione delle pitture parietali
- Soane e Belzoni
- Il sarcofago di Seti I e il Libro delle Porte
- I reperti della tomba
- I primi restauri della tomba
- Le tecniche di riproduzione dei facsimile
- La riproduzione della camera funeraria con il soffitto sorretto da 6 pilastri
Nelle varie sale sono esposti stampe, disegni, libri, reperti archeologici, stele e statue, mentre sulle pareti corrono citazioni pertinenti, come le parole usate dal Principe von Pückler-Muskau che definiva una barbarie sconsiderata l’atto di distruggere intere colonne e dipinti per asportare una singola testa dipinta…
Appena scoperta la tomba, infatti, prese il via il costume di staccare dalle pareti porzioni dei dipinti, ritagliandone le parti ritenute più appetibili. Come per esempio il rilievo con la dea Maat, prestato dal Museo Archeologico di Firenze. Nel 1829 Champollion e Ippolito Rosellini, nel corso della spedizione franco-toscana staccarono diversi rilievi, finiti appunto a Firenze e al Museo del Louvre di Parigi.
Una gigantografia appesa in una sala mostra i danni provocati dalle tecniche utilizzate per creare copie delle pitture parietali. La camera M, quella con la rappresentazione della Vacca Celeste (Mehetueret), è stata completamente “spremuta” (squeezed!).
Ma Champollion, Rosellini e il tedesco Karl Richard Lepsius vanno considerati razziatori o salvatori? È la domanda posta nel testo del box didattico riprodotto sulla parete. Ed è la stessa domanda che in qualche modo si pone la mostra “Anche le statue muoiono” articolata nelle tre sedi del Museo Egizio, della Fondazione Sandretto Re Rabaudengo e dei Musei Reali di Torino (ne parleremo a breve).
Se è innegabile infatti che questi egittologi fecero scempio della tomba, è anche vero che i reperti da loro prelevati sono sopravvissuti nei musei di approdo molto meglio delle pitture rimaste in situ, danneggiate non soltanto dal tempo ma anche dalle piogge torrenziali, tanto rare quanto catastrofiche (le più recenti si sono verificate nel 1991 e nel 1994).
Nel 1825 James Burton (la sua collezione è finita al British Museum) tentò senza grande successo di impedire le infiltrazioni d’acqua nella tomba. Sono invece di un altro Burton, Harry, le foto realizzate un secolo dopo. Tra le altre cose, raccontano anche la storia di Sheikh Ali Abdel Rassoul, discendente di un clan di razziatori di tombe, a cui l’Egyptian Supreme Council of Antiquities concesse il permesso di scavare un corridoio fino ad allora inesplorato. L’uomo scavò per quasi 140 metri senza trovare nulla e si arrese, deluso per non aver ottenuto né fama né ricchezza. Una foto mostra Ali esausto che risale dal corridoio reggendosi a una fune.
Una piccola teca custodisce il cartiglio con il nome che Seti prese al momento dell’ascesa al trono, Men Maat Ra, ovvero “Eterna è la giustizia di Ra”. I reperti esposti nelle teche sono i pezzi originali, mentre quelli al di fuori sono riproduzioni realizzate da Factum Arte, una società specializzata nella riproduzione di opere storiche. Praticamente impossibile distinguere gli originali dalle copie!
Ci sono acquerelli dipinti da Salt prestati dal British Museum, il travelogue di Belzoni composto da due parti: un breve volume di testo accompagnato da un volume ricco di tavole colorate, e altri libroni di Rosellini e Lepsius, tutti epigoni dei Savants che accompagnarono Napoleone in Egitto, tutti figli della Description de l’Égypte di Vivant Denon (che potrebbe gloriarsi dell’oraziano Exegi monumentum aere perennius perché il suo lavoro editoriale è davvero regalique situ pyramidum altius).
In una sala è ricostruito il gabinetto di antichità di Sir John Soane a Londra. Il primo maggio 1821 Belzoni aprì nella capitale inglese una mostra dedicata alla tomba di Seti I: fu un successo incredibile (notiamo di passaggio che di lì a pochi giorni sarebbe morto Napoleone – eh sì, il 5 maggio “Ei fu. Siccome immobile” – l’uomo che aveva reso possibile, in qualche modo, quella mostra…). L’anno dopo Belzoni la porterà a Parigi, ma lì l’esposizione riscuoterà un’attenzione decisamente più contenuta. A testimoniare la tappa parigina è esposta una brochure della mostra.
Poco più avanti ecco la riproduzione del sarcofago di Seti I: l’originale (rifiutato a suo tempo dal British Museum) è rimasto al Sir John Soane’s Museum di cui costituisce il pezzo forte della collezione egizia, nonché il nucleo attorno a cui ruota la mostra “Egypt Uncovered: Belzoni and the Tomb of Pharaoh Seti I” che chiuderà i battenti il prossimo 15 aprile.
Qui a Basilea sono arrivati prestiti da vari musei internazionali (e qualche raccolta privata) come quelli di Hannover, Hildesheim, Firenze e Torino che ha prestato una stele con ritratto di Seti I davanti al faraone Amenhotep I, considerato insieme alla moglie patrono della necropoli tebana, con una particolare venerazione nel villaggio operaio di Deir el Medina.
Dopo la saletta con un film documentario sulla costruzione della riproduzione della tomba di Tutankhamon il percorso espositivo si conclude con la camera funeraria della tomba di Seti I con tutti e sei i pilastri: qui si rimane a bocca aperta. Chissà come sarà stata intensa l’emozione di Belzoni! Soltanto Howard Carter, un secolo dopo, avrebbe provato qualcosa di simile, mentre ammirava “cose meravigliose”.
Saul Stucchi
Didascalie:
- Alcune vedute delle sale della mostra
© Ruedi Habegger, Antikenmuseum Basel und Sammlung Ludwig - © Oak Taylor Smith for Factum Foundation for Digital Technology in Conservation
Dal 29 ottobre 2017 al 6 maggio 2018
Scanning Seti. The Regeneration of a Pharaonic Tomb
Orari: martedì, mercoledì, sabato e domenica 11:00 – 17:00
Giovedì e venerdì 11:00 – 22:00
Chiuso il lunedì
Biglietti: intero 20 CHF, ridotto 5 CHF
Antikenmuseum Basel und Sammlung Ludwig
St. Alban-Graben 5
Basilea (Svizzera)
Informazioni sulla Svizzera: