A proposito de “La strada” di Federico Fellini (1954).
Non posso lasciare passare il 2020 senza celebrare il centesimo anniversario dalla nascita di Federico Fellini. Nonostante la sua acclamata grandezza, molti storcono il naso, quando si parla dei suoi film. Per troppi spettatori i film del maestro riminese risultano difficili da seguire, perché sono costruiti a partire dalle sue fantasie e dai suoi sogni.
Questa tendenza si è andata accentuando nel tempo. Nei primi lavori, almeno fino a “La dolce vita”, prevale un aspetto che definirei documentaristico/sociale; invece, da “8 e 1/2” fino agli ultimi lavori, Federico racconta prevalentemente le sue visioni personali, oniriche, i suoi ricordi giovanili.

Fellini nasce a Rimini il 20 gennaio del 1920, da una famiglia di modesta condizione (padre rappresentante di liquori e dolciumi, madre casalinga).
Dopo il liceo classico nella sua città, si trasferisce a Roma per gli studi universitari. In realtà, nella capitale cerca di realizzare il suo desiderio: diventare giornalista.
Fin dall’adolescenza aveva rivelato un talento per il disegno, tanto che, già prima di terminare la scuola, erano state pubblicate sue vignette su diverse riviste, anche prestigiose. A Roma, collabora al più famoso giornale satirico dell’epoca (il “Marc’Aurelio”) e comincia a farsi conoscere nel mondo artistico. Scrive copioni per la radio, per il teatro e il cinema, ha rapporti di lavoro (e spesso anche di amicizia) con diversi attori e registi.
Nel 1942, durante la sua collaborazione con l’EIAR (così si chiamava la RAI allora: Ente Italiano Audizioni Radiofoniche) conosce Giulietta Masina che rimarrà sua fedele compagna per tutta la vita (di entrambi: muoiono a distanza di cinque mesi l’uno dall’altra). Sulla loro storia molto è stato raccontato (anche recentemente, si veda “Giulietta e Federico”: sogno d’amore da Camelozampa, ndr).
A me piace ricordare che nel 1943, con i Tedeschi che seminano sgomento tra la popolazione romana, i due si sposano un po’ alla chetichella e rimangono rinchiusi in casa nell’appartamento degli zii di Giulietta per otto giorni senza mai uscire. Nel marzo del 1945 hanno anche un figlio (Pier Federico, detto Federichino) che muore un mese dopo la nascita.
Il loro sodalizio artistico e affettivo resiste per più di cinquant’anni, pur essendo a conoscenza Giulietta delle scappatelle del marito. A chi le chiedeva il segreto di questo lungo matrimonio, dava una spiegazione semplice: “Credo sia questo. Non avendo figli, noi non siamo una famiglia. Siamo una coppia, siamo compagni, amici, collaboratori”.
Nel frattempo, Fellini diventa celebre; basti pensare che i titoli di alcuni dei suoi film sono passati a modo di dire (e non solo in Italia): “La dolce vita”, “I vitelloni”, “Amarcord”. Inutile citare i tanti capolavori che ci ha lasciato, anche perché vengono riproposti in continuazione anche dalle televisioni generaliste.
A corollario di quanto dicevo prima, posso soltanto aggiungere che, oltre che rileggere nei suoi lavori il proprio passato, Fellini è stato capace di guardare al mondo contemporaneo in modo molto personale, usando la sua lucida fantasia per darci visioni originali e di straordinaria qualità.
La strada
Veniamo alla pellicola che ho scelto.
«Io sono ignorante, ma ho letto qualche libro. Tu non ci crederai, ma tutto quello che c’è a questo mondo serve a qualcosa. Ecco, prendi quel sasso lì, per esempio.» «Quale?» «Questo. Uno qualunque. Be’, anche questo serve a qualcosa: anche questo sassetto.» «E a cosa serve?» «Serve… Ma che ne so io? Se lo sapessi, sai chi sarei?» «Chi?» «Il Padreterno, che sa tutto: quando nasci, quando muori. E chi può saperlo? No, non so a cosa serve questo sasso io, ma a qualcosa deve servire. Perché se questo è inutile, allora è inutile tutto: anche le stelle. E anche tu, anche tu servi a qualcosa, con la tu’ testa di carciofo».
Parole che rendono tutto il senso del film.
La storia, sceneggiata oltre che da Fellini, dai fidati Tullio Pinelli ed Ennio Flaiano, è quella di una giovanetta di umili origini che accompagna Zampanò nelle sue esibizioni di forza, nelle piazze dei paesi o in qualche circo. Gelsomina (questo è il suo nome) è un’anima semplice che si chiede quale sia il suo posto nel mondo e – nonostante le disavventure – mantiene sempre uno spirito pieno di fiducia e speranza.
Dopo aver scartato altre possibili interpreti, per la parte di Gelsomina, viene scelta Giuliana Masina (anche per l’ostinazione del marito), la quale conferisce al personaggio quel tocco di leggerezza e di poesia che sottolineano il contrasto con un’Italia mostrata nella sua veste più umile e povera.
“La strada” è il terzo lungometraggio con la regia del solo Fellini. Oltre agli sceneggiatori che lo accompagneranno anche negli anni successivi, ricordo Nino Rota, che sarà l’autore di quasi tutte le colonne sonore del maestro, almeno fino al 1979, anno della sua morte.
Così come i collaboratori che ho appena citato, nel film compaiono alcuni dei temi destinati a caratterizzare le opere di Fellini: il circo (con tutte le sue varianti), lo sguardo sognante e poetico sulla realtà, anche su quella più dura, e i personaggi – diciamo così – fuori dagli schemi (l’universo immaginativo di Fellini era il tema di una bella mostra allestita qualche anno fa a Losanna, ndr).
“La strada” viene presentato al 15° festival di Venezia (1954). Al Lido nasce una polemica tra i fautori del neorealismo [si vedano “Rocco e i suoi fratelli” e “Ladri di biciclette”] che inneggiano a Luchino Visconti e al suo “Senso”, e appunto il film di Fellini (che, comunque ottiene il Leone d’argento). Il produttore (Dino De Laurentiis) decide allora di far uscire il film in Francia , ove ottiene un enorme successo. Successo che viene poi confermato nel 1957 con l’Oscar al miglior film in lingua straniera, istituito in quell’edizione per la prima volta.
Note e curiosità
Il film fu girato in parte nel famoso circo Saltanò. Fellini pensò di cambiare il nome del personaggio interpretato da Anthony Quinn in Zampanò (mescolandolo con Zamperla, altra famiglia di circensi). Nel 1967 da questo film fu tratto un balletto omonimo con coreografie di Mario Pistoni e musiche – ovviamente – di Nino Rota. C’è stata anche una rivisitazione a fumetti de “La strada”, su Topolino, disegnata da Giorgio Cavazzano.
Si racconta che Alexander Korda abbia proposto a Fellini un seguito, intitolato “Le avventure di Gelsomina”; il maestro riminese rifiutò sorridendo.
Una parentesi dedicata ai fumetti. Quando si esercitava nel disegno, il suo autore preferito era Windsor McCay (statunitense, autore di “Little Nemo”). Anche negli anni successivi, è sempre stato vicino al mondo delle “nuvole parlanti”: ad esempio, toccante è il ricordo che fa di lui, uno dei grandi maestri italiani di quest’arte, Milo Manara.
A proposito di spirito natalizio… Nel Natale scorso, parlando di “Harold e Maude”, dicevo che quel film sarebbe piaciuto a papa Francesco. Riguardo a “La strada”, invece, è certo: è uno dei film preferiti dall’attuale pontefice.
L S D
La strada
Regia: Federico Fellini
Sceneggiatura: Federico Fellini, Tullio Pinelli, Ennio Flaiano
Interpreti: Giulietta Masina, Anthony Quinn, Richard Basehart, Aldo Silvani