Principiamo il 2018 nel modo più migliore (direbbe il ministro della pubblica istruzione, Valeria Fedeli), con il capolavoro di Luchino Visconti: “Rocco e i suoi fratelli” (1960).
Quando ho rivisto questo film, ho capito perché mi aveva tanto affascinato. Perché sembra, trasposto in immagini, un romanzo di Fëdor Dostoevskij. La stessa ambientazione e gli stessi protagonisti: quello che in termini marxisti potremmo chiamare il sottoproletariato. La stessa speranza di un riscatto morale e sociale. L’analisi impietosa dell’animo umano.
Ed è, anche, molto simile, nella sua cadenza, a una tragedia greca: sin dalle prime scene incombe sull’intera vicenda, una sorta di “fato”. Lo spettatore percepisce immediatamente che, nonostante gli sforzi e i tentativi, tutti e cinque i fratelli, pagheranno un prezzo molto alto per entrare nel “nuovo” mondo.
Che cosa pensi di trovare di diverso laggiù? Anche il nostro paese diventerà una grande città, dove gli uomini impareranno a fare valere i loro diritti e a imporre dei doveri. Io non so se un mondo così fatto sia bello. Ma è così, e noi che ne facciamo parte dobbiamo accettare le sue regole.
In queste poche parole c’è il film tutto intero. La storia è nota: una famiglia (mamma e quattro figli maschi), dopo la morte del capofamiglia, decide di lasciare la Lucania e di raggiungere a Milano, il figlio maggiore. Naturalmente, senza troppo filosofare, è facile rapportare questa vicenda di immigrazione interna del 1960, con quanto sta accadendo in Italia da alcuni anni, con gli odierni immigrati.
E lo sguardo di Visconti (ma anche degli altri sceneggiatori: Suso Cecchi D’Amico, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa ed Enrico Medioli) impietosamente ci mostra le sofferenze e i sacrifici di una umanità costretta ad abbandonare il luogo d’origine per essere accettata (quando viene accettata) con molte difficoltà nella nuova società.
Protagonisti sono, una volta di più i “vinti”; tuttavia, in “Rocco e i suoi fratelli” non sono solo le persone a essere annientate, ma un’intera civiltà. Hanno discettato sociologi e storici sulla visione che il maestro milanese avrebbe avuto riguardo al futuro che ci attendeva. A me è sufficiente ricordare come più di cinquant’anni fa, avesse previsto già la disumanizzazione e la mancanza di valori a cui stava andando incontro la cosiddetta società del benessere.
Il titolo del film è una combinazione tra Rocco Scotellaro, poeta che raccontava delle condizioni difficili dei contadini del nostro meridione, di cui Visconti era un grande estimatore, e “Giuseppe e suoi fratelli”, opera di Thomas Mann. La pellicola prende anche spunto dal romanzo di Giovanni Testori “Il ponte della Ghisolfa”.
Oltre il notevole valore sociologico e morale, “Rocco e i suoi fratelli” porta con sé anche delle eccellenze tecniche. Il bianco e nero di Giuseppe Rotunno riesce a presentarci una Milano mai così grigia e fredda. La musica di Nino Rota accompagna sommessamente i vari atti della tragedia. Ma la vera grandezza del film è data dalla bravura straordinaria del regista milanese nel tenere insieme un gruppo di attori mai così capaci e nel dirigere il film proprio come una sinfonia.
A proposito di Luchino Visconti ( 1903 – 1976) ci sarebbe da dire molto, e sul suo lavoro e sulla sua vita. Cominciando da quest’ultima, basti ricordare che era un vero nobile (quando aderì al Partito Comunista fu etichettato come “il conte rosso”); che durante la Resistenza fu partigiano (col nome di Alfredo); che rimasero famosi nel mondo del gossip i suoi amori, con donne affascinanti e con uomini altrettanto attraenti.
Nel cinema, cominciò la sua carriera nel 1936, come assistente di Jean Renoir. Anticipò, nel 1943 con “Ossessione”, molte delle tematiche del nascente Neo-Realismo (sull’argomento vedi la recensione de “Il generale Della Rovere”). Passarono alla storia le sue regie anche nel teatro di prosa e nell’allestimento di opere liriche.
Note e curiosità:
Come particolarità, riporto i vari titoli nobiliari di Luchino Visconti: Duca di Grazzano Visconti, Conte di Lonate Pozzolo, Signore di Corgeno, Consignore di Somma, Consignore di Agnadello e Patrizio milanese.
È rimasta celebre la maniacalità di Visconti quando si procedeva all’allestimento di un set, cinematografico o teatrale che fosse: persino all’interno di cassetti che non sarebbero stati aperti, pretendeva che si trovassero in bell’ordine quegli oggetti o quella biancheria che avrebbe dovuta essere al loro interno.
“Rocco e i suoi fratelli” ebbe molti guai con la legge (ricordiamo che siamo nell’Italia democristiana del 1960). Dopo che in un primo tempo ne era stata sospesa la lavorazione e che la pellicola era stata oscurata di quindici minuti (“opera non molto morale e denigratoria”), venne presentata nella sua integrità, al Festival di Venezia. Fu osteggiata da politici e bersagliata dalla censura, al punto che Visconti dovette affrontare un processo che lo assolse in modo definitivo solo sei anni dopo.
L S D
- Le immagini sono prese da Wikipedia Italia e Wikipedia Francia
Rocco e i suoi fratelli
- regia: Luchino Visconti
- interpreti: Alain Delon, Renato Salvatori, Annie Girardot, Katina Paxinou, Alessandra Panaro, Spiros Focás