Dopo il viaggio nella Melanesia, torno in Italia, con una pellicola deliziosa. Deliziosa, perché riesce a mescolare magicamente la parte drammatica con quella più leggera. Parto da lontano. Siamo al festival di Venezia del 1959. Il Leone d’oro va ex aequo a Il generale Della Rovere di Roberto Rossellini e a La grande guerra di Mario Monicelli.
È un passaggio cruciale: il “Neorealismo”, verso la fine della sua parabola artistica, lascia il posto, per così dire, al nuovo movimento. Senza andare troppo a fondo nell’analisi, basti considerare che il Neorealismo (apparso subito dopo la guerra) si era concentrato sull’Italia sofferente e ferita, mentre la nascente commedia all’italiana allarga il suo sguardo al futuro che si prospetta per la nostra nazione.
Così, insieme con il boom economico, questa nuova corrente ci mette davanti agli occhi il cambiamento dei costumi, della mentalità. La stessa parola commedia, dice chiaramente che l’occhio non è drammatico, ma più leggero e, a volte, ironico.
C’eravamo tanto amati di Ettore Scola (1974) è la pellicola perfetta al riguardo: ci sono omaggi al cinema neorealista, con inserti o camei, e c’è un racconto che si dipana per trent’anni e ben illustra i cambiamenti nel Belpaese. Senza tralasciare un pizzico di umorismo, strappando spesso qualche sorriso o qualche risata.
Merito di questo piccolo capolavoro va dato in primo luogo agli sceneggiatori. Oltre a Scola, il duo Age e Scarpelli, di cui ho già fatto l’elogio ne L’armata Brancaleone, che realizzano un’opera complessa, ricca di flashback, di premesse annunciate e poi riprese in un secondo momento, confezionata con un’aria malinconica che avvolge tutta la vicenda.
“Credevamo di cambiare il mondo, invece il mondo ha cambiato noi. Cose tristi, ammoscianti. Per me, e forse anche per lui.” (Nicola)
I protagonisti della pellicola sono antieroi in contrasto con il mondo, spesso schiacciati dalla Storia, quella con la esse maiuscola, che incombe sopra le loro teste.
È una precisa scelta di Scola quella di porsi dalla parte dell’uomo comune, dei suoi problemi, dei suoi fallimenti, soprattutto quando ci sono grandi cambiamenti. D’altro canto, il regista romano sostiene che, comunque avvengano i fatti storici, alla fine chi risulta vincitore è l’uomo normale: per lui non è importante Napoleone, ma l’individuo, che sopravvive a tutto quanto è stato costretto a subire.
“Il futuro è passato, e non ce ne siamo nemmeno accorti.” (Nicola)
Un’analisi più approfondita andrebbe fatta per ognuno dei personaggi del film: a loro modo rappresentano i vari difetti, le varie aspirazioni, i successi o le sconfitte di una generazione cresciuta dai tempi della lotta partigiana fino ad arrivare a ridosso dei difficili anni Settanta.
“Vivere come ci pare e piace è facile e costa poco, perché si paga con una moneta che non esiste: la felicità.” (Nicola)
Sul piano tecnico C’eravamo tanto amati presenta non poche scelte innovative: l’alternarsi tra bianco e nero e colore, la narrazione non lineare, e – in diverse occasioni – gli attori che si rivolgono direttamente al pubblico, rompendo quindi la finzione della quarta parete. Questi esperimenti non alterano l’impianto realista del film che, pur utilizzando spesso l’ironia, conserva in sottofondo toni malinconici.
C’eravamo tanto amati è uno dei maggiori incassi nella stagione 1974/1975 : in totale supera i tre miliardi e mezzo di lire.
Qualche parola su Ettore Scola (1931-2016). Fin dalla più tenera età mostra una particolare predisposizione per il disegno, tanto che, quando nel 1944 il giornale satirico Marc’Aurelio riprende le pubblicazioni, Ettore è uno dei primi collaboratori fissi. Sulla rivista scrivono giornalisti e artisti che diventeranno famosi (uno per tutti, Federico Fellini). Per Scola è anche una palestra utilissima per il suo futuro lavoro di sceneggiatore prima e di regista poi.
“Non fa ridere: è volgare, non popolare. Non si deve confondere le due cose.”
Approdato alla Settima arte, prima della regia, per un lungo periodo, si dedica alla scrittura: molte pellicole italiane dal 1953 in avanti portano anche la sua firma.
“Chi è più infelice: uno sceneggiatore o un critico cinematografico? Le loro mogli.”
Il 1964 è l’anno del debutto dietro la macchina da presa (Se permette parliamo di donne). Da quell’anno sono tante le pellicole che meritano di essere ricordate: ne cito solo qualcuna: Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa?, 1968; Brutti, sporchi e cattivi, 1976; Una giornata particolare, 1977; La terrazza, 1980; Che ora è, 1989.
Della sua poetica, ho già detto prima; aggiungo solo che si è sempre dichiarato di sinistra e ha fatto parte del governo ombra del Partito Comunista Italiano nel 1989 con delega ai beni culturali.
“A che ora è la rivoluzione? Si deve venire già mangiati?”
Note e osservazioni
Il titolo del film, inizialmente, avrebbe dovuto essere Voglio uccidere De Sica, poi Avventura italiana, prima di arrivare alla scelta definitiva.
Ancora a proposito del titolo: si tratta di un verso della canzone Come pioveva! scritta e interpretata da Armando Gill nel 1918. Da allora si sono susseguite le cover e a me piace ricordare (nella mia giovinezza) la versione dei Beans nel 1975. Dalla stessa canzone, ancora nel 1975, il regista Piero Schivazappa ricavò il titolo del film Una sera c’incontrammo.
Visto che prima citavo Vittorio De Sica, nelle ultime sequenze del film, compare la dedica al grande regista. Nel lavoro di Scola sono inserite alcune immagini di un vero incontro pubblico di De Sica, alla sua ultima uscita prima della scomparsa (novembre 1974). C’eravamo tanto amati era ancora in fase di missaggio, ma Vittorio aveva fatto in tempo a vederlo.
Aggiungo qui che, nella parte di loro stessi, nel film compaiono anche Marcello Mastroianni, Federico Fellini e Mike Bongiorno.
Tornando poi alla canzone, un ruolo importante nell’economia della pellicola, lo hanno le musiche di Armando Trovajoli, storico collaboratore di Scola. La curiosità è data da una delle canzoni popolari che vengono cantate e suonate da dei ragazzi davanti alla scuola in una delle ultime scene. Ebbene, questa spesso viene scambiata per un vero canto della Resistenza, ma si tratta di una canzone inventata dalla figlia del regista, Paola.
Altra curiosità potrebbe essere una delle location del film: “Dal re della mezza porzione”. Lì si incontrano più volte nel corso della storia i tre amici protagonisti, dal 1948 agli anni Settanta. Il ristorante esisteva davvero, al tempo, e si trovava in piazza della Consolazione.
Ettore Scola, prima di approdare alla Settima arte, è stato giornalista e ha lavorato per la pubblicità: per chi riesce ancora a ricordarlo, è l’inventore del cane a sei zampe, logo distintivo della benzina Agip.
L S D
C’eravamo tanto amati
- Regia: Ettore Scola
- Soggetto e sceneggiatura: Age & Scarpelli, Ettore Scola
- Fotografia: Claudio Cirillo
- Montaggio: Raimondo Crociani
- Interpreti: Nino Manfredi, Vittorio Gassman, Stefania Sandrelli, Stefano Satta Flores, Giovanna Ralli, Aldo Fabrizi