Per la prima recensione dell’anno, ho pensato di essere generoso ed ottimista. Generoso perché parlerò non di uno, ma di due film; ottimista perché con Mario Monicelli entriamo nel vivo della cosiddetta “commedia all’italiana”. Questa locuzione definisce un genere di cinema comico-satirico sviluppatosi in Italia a partire dagli anni Cinquanta e che ha raggiunto il suo massimo splendore negli anni Sessanta e Settanta.
In origine è una continuazione del Neorealismo in chiave più leggera. Il Neorealismo aveva privilegiato la verità sulla ricostruzione (la strada invece del teatro di posa), gli attori non professionisti su quelli di formazione accademica, il dialetto sulla lingua generalista.
Tuttavia, ad onta dell’ampio riconoscimento critico e del successo fuori dai confini nazionali, nel nostro paese questo tipo di cinema non aveva avuto un grandissimo consenso: il pubblico chiedeva opere meno impegnate, più d’evasione.

Così nascono pellicole che, partendo dall’attualità, scherzano su una materia che spesso è piuttosto tragica. Tornano in auge attori provenienti dal varietà o dal teatro, spesso legati al loro dialetto. Delle prime commedie all’italiana, i principali rappresentanti sono Macario, Totò, Aldo Fabrizi.
A questi si aggiungono nei decenni successivi Alberto Sordi, Ugo Tognazzi, Vittorio Gassman, Marcello Mastroianni e Nino Manfredi, solo per citare i più famosi. Fiorisce una nuova schiera di sceneggiatori e di registi, tanto folta che preferisco non citarla, riservandomi di parlarne man mano che racconterò delle loro opere.
La triade di Brancaleone
Ed arrivo così alla magica triade di Brancaleone. Dico triade perché, oltre a Monicelli, di cui racconterò fra poco, è indispensabile citare Agenore Incrocci e Furio Scarpelli (conosciuti come Age & Scarpelli) tra i massimi sceneggiatori del nostro cinema.
Dei tre è l’idea di un personaggio cialtronesco (impareggiabile, nel ruolo, Vittorio Gassman) che portasse a rivisitare il Medioevo come non si era ancora visto.
“E voaltri, voaltri ignominiosi, come osaste restar vivi tra cotanti morti? Chi vi dette tanto infame coraggio?”.
Per quanto riguarda la parte storica, cito direttamente il regista: “La verità è che noi non volevamo far vedere l’Alto Medioevo che si raccontava a scuola, nei romanzi di Re Artù, della Tavola Rotonda… tutti belli, nei loro castelli. Un Medioevo fatto di cortigiani, di dame, di duelli e tornei, insomma: un Medioevo molto raffinato, colto, dove tutti stavano bene. Tutto questo non era vero: la verità è che il Medioevo era una epoca selvaggia, ignorante, priva di cultura. Dopo il film sono stato chiamato da diverse università perché gli studenti contestavano i professori che gli raccontavano un Medioevo che non esisteva e c’erano delle discussioni dove ognuno difendeva la propria visione.”
Linguaggio, fotografia e musica
L’altra grande invenzione dei tre sceneggiatori è quella del linguaggio. Secondo loro, era molto difficile ricostruire come davvero si parlasse intorno all’anno Mille. Per cui si sono ispirati a san Francesco, a Jacopone da Todi e a un latino maccheronico, con parole inventate e mescolato con il dialetto. Il risultato è quanto meno esilarante.
Non posso chiudere, però, queste righe, senza citare la fotografia (Carlo Di Palma per il primo e Aldo Tonti nel secondo); la musica di Carlo Rustichelli (“Branca, Branca, Branca…Leon, Leon, Leon…”); il montaggio di Ruggero Mastroianni; i titoli di testa e le animazioni realizzati da Emanuele Luzzati.
I due film ebbero un grandissimo successo al botteghino, a tal punto che “armata Brancaleone” è entrato nel linguaggio comune (riportato anche da diversi dizionari). Per fare una citazione molto contemporanea, nella quasi crisi di governo del 18/19 corrente mese uno dei nostri senatori ha paragonato il governo di Conte all’armata Brancaleone.
Poco spazio mi resta per parlare di Mario Monicelli. Nasce nel 1915 a Roma (ma c’è qualche dubbio sul luogo) e muore a Roma nel 2010; la sua è una famiglia della media borghesia (padre giornalista, madre casalinga).
Laureato in Lettere e Filosofia a Pisa, comincia la sua avventura nel cinema come sceneggiatore e poi aiuto regista, prima di firmare pellicole sue. Dopo alcuni lavori che incontrarono resistenze da parte del regime fascista, trova il successo con “I soliti ignoti” (1958, una delle pietre miliari della commedia all’italiana). Da allora, inanella una serie di successi di critica e di pubblico.
Nel 1959, “La grande guerra” vince il Leone d’oro a Venezia, ex aequo con “Il generale Della Rovere” di Roberto Rossellini. Per citare solo qualche titolo “Amici miei” (i primi due), “Il marchese del Grillo”, “Speriamo che sia femmina”, “Parenti serpenti”, “Facciamo Paradiso”.
Nel 1991 gli è stato conferito il Leone d’oro alla carriera.
Note e curiosità
- La “Commedia all’italiana” negli anni Settanta ha sviluppato al suo interno un sottogenere più disimpegnato, con frequenti scene erotiche, quasi senza nessun tipo di critica alla società: la “Commedia sexy”. Non credo che ne tratterò in futuro, ma se qualcuno dei miei lettori volesse conoscerla, c’è almeno una televisione generalista (“Cine34” di Mediaset) che programma questo tipo di pellicole in continuazione.
- Più sfumato è il discorso sulla “Commedia all’italiana” dagli anni Ottanta in poi: alcuni critici sostengono che Verdone, Salvatores, Virzì o altri siano i nuovi Monicelli o Risi; per molti, invece si tratta di una stagione ormai conclusa.
- Nella Disfida di Barletta (1503), uno dei cavalieri italiani porta il nome di Brancaleone.
- “L’armata Brancaleone” (1966) e “Brancaleone alle crociate” (1970) sono stati girati in Italia: Lazio, Toscana, provincia di Viterbo. Numerose sono le incongruenze storiche sia nel primo che nel secondo capitolo. Invece di farne un elenco, preferisco rimettermi alle parole del regista, quando diceva di volere evidenziare anche l’altra faccia del Medioevo, quella volgare, ignorante e piena di superstizioni.
La vitalità di Monicelli
Torno sulla vita di Monicelli. Non è strano il fatto che abbia vissuto 95 anni, quanto il fatto che abbia deciso di sua spontanea volontà (gettandosi dal quinto piano dell’ospedale San Giovanni Addolorata) di lasciare questo mondo (in realtà gli era stato diagnosticato un cancro alla prostata). Voglio però ricordare la sua straordinaria vitalità: a 59 anni ha conosciuto la sua ultima compagna (Chiara Rapaccini), con la quale ha avuto una figlia (Rosa) alla tenera età di 74 anni.
Inoltre, mi piace riprendere quanto diceva in un’intervista a “Vanity Fair” del giugno 2007. Alla domanda perché vivesse da solo a 92 anni, rispose: “Per rimanere vivo il più a lungo possibile. L’amore delle donne, parenti, figlie, mogli, amanti, è molto pericoloso. La donna è infermiera nell’animo, e, se ha vicino un vecchio, è sempre pronta ad interpretare ogni suo desiderio, a correre a portargli quello di cui ha bisogno. Così piano piano questo vecchio non fa più niente, rimane in poltrona, non si muove più e diventa un vecchio rincoglionito. Se invece il vecchio è costretto a farsi le cose da solo, rifarsi il letto, uscire, accendere dei fornelli, qualche volta bruciarsi, va avanti dieci anni di più”.
Perfetto. Prendo le due ultime annotazioni come un auspicio per la mia vita (quella che mi resta).
L S D
L’armata Brancaleone
Regia: Mario Monicelli
Sceneggiatura: Age & Scarpelli, Mario Monicelli
Interpreti: Vittorio Gassman, Gian Maria Volonté, Carlo Pisacane, Gianluigi Crescenzi, Ugo Fangareggi, Catherine Spaak, Folco Lulli, Barbara Steele
Brancaleone alle crociate
Regia: Mario Monicelli
Sceneggiatura: Age & Scarpelli, Mario Monicelli
Interpreti: Vittorio Gassman, Adolfo Celi, Sandro Dori, Beba Loncar, Gigi Proietti, Gianrico Tedeschi, Paolo Villaggio, Lino Toffolo, Stefania Sandrelli