Undicesima e ultima puntata del reportage di Marco Grassano sul suo soggiorno pasquale a Creta.
La mattinata dell’addio [Nota 1]. Ce la faccio a infilare tutto in valigia. Esco a congedarmi dalla città. Dato il permanere delle condizioni climatiche instabili, indosso di nuovo il mio giubbino provinciale. Arrivato alla fontana, constato che l’intera folla gira bardata in modo analogo.
Nella piazza tra il Centro di Architettura e il teatro Theodorakis stanno allestendo i chioschetti per una fiera delle specialità regionali.
La darsena è più increspata del solito. Le onde biancheggiano contro gli scogli esterni e al piede della banchina. Malgrado ciò, alcuni temerari percorrono la diga foranea. Non mi va proprio di imitarli.
Torno a rivedere, dal ponticello, i giardini pubblici nel fossato, quelli della prima notte. Passo dalla Sinagoga; come tutti i luoghi di culto, inalbera sulla facciata la bandiera nazionale. Ripercorro l’intera, articolata Odós Skoufon. I tavolini, malinconicamente vuoti, della taverna Argo.
Pochi metri dopo, al civico 20, superato uno zigzag, l’esposizione – a cielo aperto – di ceramiche del Kéntro Laïkís Téchnis & Politismú (“Centro di arte & cultura popolare” – come bere un bicchier d’acqua!). Procedendo ancora, di fronte al dehors di un’altra taverna si allunga il suggestivo vicolo sopra il quale sporge l’insegna della residenza Vaggeli’s house.
Esco nella Zampeliou e la risalgo in parte, fino al primo varco sulla darsena. Scatto qui, inconsapevolmente, una foto “alla maniera di Vittore Fossati”, in cui il palo del lampione coincide, prospetticamente, con l’estremità del pontile proteso dalla diga, creando l’illusione ottica che la scena sullo sfondo sia scissa in due parti sfasate. In direzione dell’acqua sta guardando pure una micia bianca con la testa tricolore e il collarino azzurro.
Al negozio di abbigliamento c’è solo il gattone biancorosso, che sonnecchia col muso affondato nel cuscino. Passo in Cattedrale, piena di visitatori. Saluto anche, col pensiero, gli scavi recenti della Kanevarou e la parte di terreno non ancora oggetto di sondaggi, in cui si ergono, a dozzine, infiorescenze ibride di digitale rossa [2].
Ma il commiato vero e proprio da quel che è stata per me Chanià avviene quando, dirigendomi verso la stazione degli autobus col trolley a rimorchio, mi fermo per accarezzare il coniglio e offrirgli l’ultimo obolo.
Anche l’aeroporto è gremito. Ricordo i quattro gatti (metaforici, in questo caso) del dicembre 2021: non pare più lo stesso luogo. Evidentemente, la stagione turistica è in pieno corso.
Mangio un piatto vegano al buffet. Con un po’ di ritardo, partiamo. Le hostess, porgendo biscotti e acqua, dicono in effetti “Chorítse“. Continuo a non sapere cosa significhi. Potrebbe corrispondere all’inglese “Enjoy!“. Intuisco facilmente, invece, cosa siano l’aeroscáphos (fusoliera), le photákia (lucette) e il trapezáki (tavolino).
Sulla superficie del mare fluttua qualcosa che sembra sporcizia. Forse è la schiuma che generano, nei punti di incontro, onde perpendicolari, come un reticolo.
Appena prima dell’atterraggio ad Atene, noto verso destra un grande impianto di depurazione: quattro sedimentatori da un lato e due dall’altro, con in mezzo le vasche di ossigenazione. Ecco che torno, di fatto, al mio mestiere, pur se lontano dall’ufficio…
La miglior sintesi delle cerimonie pasquali cui ho partecipato può stare in una celebre poesia del mio collega (in qualità di funzionario del servizio irrigazioni, non di scrittore…) Konstantinos Kavafis:
IN CHIESA
Amo la chiesa – con i suoi labari,
l’argento degli arredi, i candelabri,
e le luci, le immagini, l’ambone.
Quando entro là, nella chiesa dei Greci,
tra gli aromi dell’incenso,
con l’armonia dei canti della liturgia,
i sacerdoti dall’incedere solenne,
e il ritmo grave d’ogni loro gesto –
splendidi nei paramenti che li adornano –
va la mia mente ai grandi onori della stirpe,
alla nostra gloriosa epoca bizantina. [3]
Marco Grassano
Undicesima puntata. Fine
Note:
- [1] “Ho appreso la scienza degli addii” scriveva, identificandosi con Ovidio, Osip Mandel’štam.
- [2] Digitalis purpurea.
- [3] Traduzione di Renata Lavagnini.
Didascalie:
- La folla bardata come me
- Tempo poco invitante sulla darsena
- Un vicolo suggestivo
- Fotografando “alla Vittore Fossati”
- Addio al coniglio