“L’ALIBI della domenica” è dedicato questa settimana al Museo Archeologico Nazionale di Aquileia.
Prometto che non lascerò passare altri venti anni prima di tornare ad Aquileia. Mi è bastato intravedere i resti del foro dal finestrino dell’auto, mentre attraversavo la cittadina lungo la Via Iulia Augusta, per sentirmi a casa. Non che sia friulano, ma da brianzolo sento di appartenere a quel Mediterraneo più grande amato e descritto da Fernand Braudel. Dopo duemila anni le “columnas asombradas” cantate da Rafael Alberti nel suo esilio romano svettano ancora qua e là, nel cuore come nelle periferie dell’impero.
Nessun anelito né rigurgito imperialista, sia chiaro, ma il forte sentire di appartenere a una comunità molto più ampia di quella – sempre più limitata e limitante – in cui veniamo spinti a riconoscerci da chi ha interesse a non vedere più in là del proprio naso. “La Plus Grande Méditerranée” dello storico francese è il “Paese mio”. Non uso questa definizione per caso: mi serve infatti per riferirmi alla omonima trasmissione di RAI RadioLive condotta da Joe Violanti (ma più avanti queste parole ritorneranno in un altro contesto…).

La puntata dello scorso 10 febbraio – riascoltabile in podcast sulla piattaforma di Rai Play Radio – era dedicata proprio ad Aquileia. Tra gli ospiti, insieme al sindaco, la direttrice del Museo Archeologico Nazionale di Aquileia, Marta Novello. Nel presentare il “suo” Museo la dottoressa Novello menziona la suggestione come prima e più evidente caratteristica. Che abbia perfettamente ragione lo si comprende appena si entra nella prima sala e lo sguardo si slancia nella fuga di sale, invitato dalla sapiente disposizione delle statue ai lati delle aperture.
Il percorso espositivo
Le collezioni sono esposte su tre piani della villa Cassis Faraone, dal 1882 sede del Museo. Il secondo piano, che ospita il “tesoro” di ambre, gemme e monete, è attualmente in fase di ristrutturazione e riallestimento, a cui invece sono già stati sottoposti il piano terra e il primo, tra l’autunno del 2016 e l’estate del 2018.
La ristrutturazione riguarderà anche i magazzini e le gallerie lapidarie esterne, al momento solo parzialmente visitabili. Beh, intendo quando il Museo riaprirà i battenti al pubblico, visto che da domani (15 marzo 2021, ndr) il Friuli Venezia Giulia sarà in “zona rossa” e di conseguenza i musei rimarranno chiusi.

Il percorso espositivo si srotola per i primi due piani in sette tappe che raccontano, rispettivamente, la presentazione della città e del territorio di Aquileia; gli scavi, gli studi e la storia del Museo; lo spazio pubblico; le necropoli; la Domus; Aquileia “Porta del Mediterraneo”; le attività produttive.
Impossibile rendere conto, anche solo superficialmente, dei pezzi esposti, ciascuno custode di una storia, anche il mattone sesquipedale in terracotta che porta incisa l’iscrizione “Fai attenzione se non avrai lisciato 600 mattoni, se ne avrai lisciati di meno, correrai dei guai seri” e il frammento di piatto – anch’esso in terracotta – con la raffigurazione dell’episodio biblico del paralitico… Ho quindi selezionato i dieci pezzi che più mi hanno colpito.
La mia selezione
Corredo da tomba femminile
Rischiano di passare inosservati, tanto sono minuscoli e poco appariscenti. Eppure basta sfiorarli con lo sguardo, attraverso il vetro della teca che li conserva, per provare un brivido e sentire che la vita – quella vissuta – è passata anche di lì, da questi oggetti che tanto tempo fa sono stati cari a qualcuno.
Piccole conchiglie, figurine mitologiche in ambra, una retina per acconciatura in oro, un porta aghi in argento e un ago in avorio… Costituiscono il corredo di una tomba femminile a incinerazione, datata al II secolo d.C., e provengono dalla necropoli in località Belvedere.
Urna con scena di banchetto

Di provenienza ignota, è realizzata in calcare. Recita la didascalia: “Tipici monumenti funebri aquileiesi sono le urne e i cippi che imitano ceste in vimini, arricchiti da scene figurate e animali accovacciati sul coperchio, a protezione della tomba. L’urna con scena di banchetto mostra il defunto rappresentato di spalle, al quale un commensale e un servitore rivolgono un gesto scaramantico di scongiuro: è forse un riferimento al banchetto celebrato dalla famiglia nel nono giorno successivo alla sepoltura, a conclusione del periodo di lutto”.
Lo spazio all’interno del cartiglio rettangolare è vuoto, probabile indizio che l’urna non sia stata utilizzata, anche se è possibile che l’iscrizione fosse dipinta e sia scomparsa col tempo.
Applique con testa di vento (Borea?)

Datata tra la fine del I a.C. e l’inizio del I d.C. questa applique in bronzo è una delle “icone” del Museo. È stata rinvenuta nel pozzo orientale del foro. In quello occidentale, invece, è stato ritrovato il ritratto di personaggio di alto rango, in bronzo dorato, esposto lì accanto. I due pezzi, insieme ad altro materiale, vi furono gettati forse in seguito ai disordini che sconvolsero la città quando venne assediata da Massimino il Trace che ad Aquileia perse l’impero e la vita, subendo poi la damnatio memoriae da parte del senato.
Nel lapidarium è esposta una tavola di marmo che testimonia il voltafaccia degli Aquileiesi. Prima celebrarono Massimino come “restauratore e fondatore di Aquileia”, poi ne scalpellarono via il nome (CIL – Corpus Inscriptionum Latinarum – V, 7989). Questo ritratto ricorda quelli esposti al Museo di Santa Giulia di Brescia.
Ritratto di Lucio Cesare

Eccolo il motore primo che ha dato avvio al mio breve viaggio ad Aquileia. È datato al primo quarto del I sec. d.C. e raffigura il figlio di Agrippa e Giulia Maggiore, dunque il nipote di Augusto che lo adottò alla morte del genero, nonché fedelissimo collaboratore.
Insieme al fratello Gaio Cesare – il cui ritratto è esposto proprio accanto – Lucio Cesare era nei piani dinastici del nonno che però vide morire prematuramente entrambi gli eredi: Lucio di malattia a Marsiglia, Gaio in seguito alle ferite di un attentato subito in Licia. Richiesto in prestito dal Musée de la Romanité di Nîmes, il ritratto di Lucio Cesare farà parte del percorso espositivo della mostra “L’Empereur romain, un mortel parmi les dieux” (“L’imperatore romano, un mortale tra gli dei”), prevista dal 13 maggio al 19 settembre 2021.
Ritratti

Molto suggestiva la disposizione di quindici ritratti di anonimi, cinque in marmo e dieci in calcare, che fa da cerniera tra il piano terra e il primo piano. Coprono un arco temporale che si estende dall’inizio del I a.C. alla prima metà del II d.C.
Collocati su pilastrini di diverse altezze per dare movimento alla “foto di gruppo”, mi hanno fatto pensare ai ritratti realizzati dallo scultore Marino Marini, esposti in un altrettanto scenografico insieme al Museo del Novecento di Milano, tra cui quelli dei pittori Marc Chagall e Filippo de Pisis. Sono tutti ritratti di persone reali, veri abitanti dell’antica Aquileia, non raffigurazioni idealizzate come le teste degli dei esposte più avanti.
Mosaico con fanciulla su toro marino

Datato alla seconda metà del I sec. a.C., proviene da una domus a nord del complesso basilicale. È stato realizzato in opus vermiculatum in tassellato lapideo e in pasta vitrea. Colpisce per la bellezza della scena mitologica e per la raffinatezza dell’esecuzione.
Basta comparare mentalmente le dimensioni delle minuscole tessere che lo compongono (appena 4-5 mm per lato!) con quelle dei mosaici della Basilica Patriarcale per constatare la distanza, non soltanto temporale ma soprattutto tecnica, tra le due epoche. I seni della Nereide sono cerchi concentrici che irradiano fascino per tutta la scena, ipnotizzando lo spettatore.
Mosaico con raffigurazione di pesci
È altrettanto spettacolare del mosaico della Nereide. Mentre gli scatto una foto, odo il verso di un gabbiano e penso ai primi versi della poesia “Paese mio” che Biagio Marin ha dedicato alla sua Grado: “Paese mio, / picolo nío e covo de corcali”, “Paese mio, / piccolo nido e covo di gabbiani”.
Il ricordo dei gabbiani attorno alla discarica del “Paese mio” in Brianza mi riporta alla prosa, da cui evado ammirando lo splendore di questi pesci. Il mosaico è stato rinvenuto in una domus del quartiere settentrionale della città, a cui gli archeologi hanno dato come nome “Casa di Licurgo e Ambrosia” per via della scena del mito di Licurgo raffigurato nel pavimento del grande triclinio.
Stele funeraria di Bassilla
L’impaginazione dell’iscrizione è più che discreta e il ritratto che la sormonta è ancora in buone condizioni, ma è soprattutto il testo a colpire l’attenzione.
Ecco cosa dice: “A colei che in passato, in molte contrade e in molte città, colse sulla scena il successo risonante d’applausi per il versatile talento, manifestato nei mimi e nelle danze, a lei che spesso sulle scene morì, ma non in questo modo, alla mima Bassilla, decima Musa, Eraclide, attore valente nella declamazione, pose questa stele. Anche da morta essa ottenne un onore uguale a quello che godeva da viva, poiché il suo corpo riposa in un suolo sacro alle Muse. I tuoi colleghi ti dicono: «Sta’ di buon animo, Bassilla, nessuno è immortale!»”.
Bassilla è diventata la protagonista di una storia a fumetti, disegnata da Emanuele Rosso per la collana “Fumetti nei Musei” di Coconino Press.
Placchette votive con ritratto di Antinoo

Accanto a un busto di Antinoo in marmo, piuttosto rovinato, sono esposte due placchette votive dedicata all’amasio di Adriano, prematuramente e misteriosamente annegato nel Nilo durante il viaggio imperiale in Egitto nel 130 d.C.
L’iscrizione in greco recita: “La sua città natale (ovvero Bythinion – Claudiopolis, in Bitinia) onora il dio Antinoo”. Spiega la didascalia in sala: “Le placchette votive con il suo ritratto, ricavato da una matrice usata per una delle emissioni monetali successive alla sua morte, ne attestano il culto ad Aquileia”.
Corredo funerario di sacerdotessa
Questa mia selezione di pezzi del Museo Archeologico Nazionale di Aquileia, assolutamente soggettiva, si è aperta con il corredo di un’anonima defunta e si chiude – ad anello, verrebbe da dire – con un altro corredo femminile (dalla necropoli di Beligna), questa volta attribuibile a una sacerdotessa forse di origine orientale vissuta tra il I e il II secolo d.C.
Disposte su sedici file stanno “203 appliques in oro raffiguranti mosche ad ali chiuse, destinate a essere cucite sulla veste della donna”. Appena ho scorto lo sciame, ho ricordato di averlo ammirato alla mostra sulle Metamorfosi di Ovidio alle Scuderie del Quirinale, dove era esposto nella prima parte del percorso.
Come vedete, i pezzi dei nostri musei girano per il mondo. Speriamo di poter riprendere a viaggiare anche noi, il prima possibile. Io vorrei tanto tornare ad Aquileia.
Saul Stucchi
Foto di Alessandra Chemollo e Slow Photo, archivio MAN Aquileia
La foto del Mosaico con Nereide è di Marco Santi, archivio MAN Aquileia
La foto della Basilica Patriarcale è di Saul Stucchi
Museo Archeologico Nazionale di Aquileia
via Roma 1
Aquileia (UD)
Informazioni: