Ormai vedo Metamorfosi ovunque. A prescindere dalla constatazione che effettivamente siamo circondati – in ogni momento – da processi di trasformazione in cui siamo coinvolti noi per primi, è un dato di fatto che visitando un museo da qualche settimana vado in cerca di episodi tratti dal capolavoro di Ovidio. Da quando, cioè, ne ho intrapreso la lettura a tappe, al ritmo di un libro alla settimana (domani concluderò il secondo che si apre sulla tragica vicenda di Fetonte e si chiude – piccolo spoiler – sul ratto di Europa).

Dopo aver visitato la mostra Giro di posta. Primo Levi, le Germanie, l’Europa, ho iniziato il consueto percorso espositivo che ben conosco (ci torno appena posso, soprattutto per ammirare l’opera più bella conservata a Torino, ovvero il Ritratto d’uomo di Antonello da Messina) concentrandomi sulle rappresentazioni di scene tratte dalle Metamorfosi di Ovidio.
La prima in cui mi sono imbattuto, nella Sala Stemmi, è una delle più originali, almeno per il contesto. Si tratta infatti di un sarcofago in marmo quello, quello che conteneva le spoglie di Filippo Vagnone che un anonimo scultore forse piemontese decorò sui lati lunghi con le storie di Perseo e la parata delle Muse con Apollo. Su quelli corti, invece, campeggiano lo stemma dei nobili Vagnone e l’iscrizione funebre del cavaliere, ma anche poeta, ambasciatore e pretore.
Ipoteticamente alla bottega di Lorenzo Ghiberti è riferibile una placchetta con una scena della sfida tra Marsia e Apollo. Purtroppo è custodita in una teca che non riceve alcuna illuminazione, al pari di un’altra placchetta raffigurante storie di Fetonte.
Quest’ultima – spiega la didascalia – “fa parte di un gruppo di sedici con soggetti tratti delle Metamorfosi di Ovidio, disegnate da Guglielmo della Porta ma fuse dal suo primo aiutante Jacopo Coppe Fiamengo, Jacob Cornelisz Cobaert”. Il pezzo viene dalle collezioni di Riccardo Gualino (il cui ritratto eseguito da Felice Casorati è al momento in mostra al Palazzo Reale di Milano) e fu acquistato dalla Banca d’Italia nel 1936.
Per osservarne la scena e ammirarne i dettagli non possiamo contare sui raggi dell’astro di cui il giovane osò guidare il carro, incombenza quotidiana di suo padre Apollo. Il visitatore tecnologicamente aggiornato ricorrerà alla torcia dello smartphone per fare luce.
La tappa successiva di questa caccia sottile – estemporanea e breve, ma da approfondire in future spedizioni – porta alla Camera Nuova, per il perimetro della quale un secolo fa (tra il 1925 e il 1927) venne adattato il lambriggio dipinto da Giovanni Battista Crosato (1697-1758). Immagino di non essere l’unico a ignorare il significato del termine “lambriggio”. Eccolo: zoccolo di legno che copre le pareti di un locale. I pannelli che lo compongono riportano diversi episodi della mitologia classica. Peccato che manchi una descrizione delle scene.

Le Metamorfosi di Ovidio sono la fonte remota, mentre quella prossima è da identificarsi nelle xilografie di Antonio Tempesta pubblicate ne I XV Libri delle Metamorfosi di Ovidio (Lione 1606): parliamo delle cinque formelle di stipo realizzate forse in Italia Centrale nella prima metà del Seicento.
Raffigurano:
- Perseo decapita Medusa
- Procri dona a Cefalo, suo sposo, un cane e un giavellotto infallibile
- Suicidio di Aiace
- Apoteosi divina di Ersilia, sposa di Romolo
- Giove e Iride
Nella stessa vetrina è esposto un vetro prodotto in Francia più o meno nello stesso periodo raffigurante la morte di Fetonte nelle acque del fiume Eridano.
La caccia più complessa avviene tra le teche che custodiscono i piatti. Gironzolando per l’ampia sala ho riconosciuto Eco trasformata in sasso su un piatto realizzato a Urbino da Francesco Xanto Avelli; Atteone mutato in cervo, forse della bottega Picchi di Casteldurante; un piatto con il ratto di Europa e un altro splendido piatto – purtroppo privo di didascalia – con il mito di Deucalione e Pirra che si gettano alle spalle le pietre da cui prenderanno vita gli uomini e le donne che ripopoleranno la terra dopo il diluvio universale: lo racconta Ovidio nel primo libro del suo capolavoro.
Le cacce sottili continuano, dentro e fuori il Palazzo Madama di Torino.
Saul Stucchi
Palazzo Madama
Piazza Castello
Torino
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