“L’ALIBI della domenica” di questa settimana è dedicato all’intervento di Luciano Canfora al Salone del Libro di Torino.
È stato bello vedere le file fuori dagli ingressi del Salone Internazionale del Libro di Torino. Segno inequivocabile del successo di questa edizione, la numero XXXIV, che si chiuderà domani, lunedì 23 maggio.
“Uno degli incontri più attesi, ogni anno, qui al Salone”, ha esordito nella tarda mattinata di venerdì il direttore della kermesse, Nicola Lagioia, che poi è passato a introdurre brevemente l’opera di cui avrebbe parlato l’ospite, Luciano Canfora. Il suo ultimo libro, edito da Laterza, s’intitola “La democrazia dei signori”. L’autore, Professore emerito all’Università di Bari, ha ringraziato Lagioia, chiamandolo scherzosamente “leader supremo”.

A pochi giorni dal suo ottantesimo compleanno (che cadrà il prossimo 5 giugno), Canfora ha tenuto una lectio chiara, appassionata e appassionante, come solo lui sa fare. Ha preso il via rievocando la storia della parola “democrazia”, un termine “da combattimento”, divisivo. Ne ha tracciato un excursus storico, notando, en passant, che la lingua latina – a differenza di tutte le lingue moderne, turco compreso – non l’aveva accolto nel proprio vocabolario. Non esisteva la parola semplicemente perché non esisteva la cosa. “Eccesso di libertà” era la parafrasi negativa che usavano gli autori latini per riferirsi alla democrazia.
Diritto di voto
Canfora è poi passato alla disamina dell’evoluzione del diritto di voto, soffermandosi sullo Statuto Albertino, pilastro dell’architettura costituzionale italiana per un secolo. Centrale, nel suo discorso, è stata l’analisi del problema della rappresentanza. Il Professore ha ricordato che soltanto centomila persone elessero il primo parlamento italiano, mentre “masse sterminate” avevano votato i plebisciti (pilotati dall’alto, senza dubbio).

La capacità di voto e il censo dei cittadini (di sesso maschile) sono stati utilizzati dai “signori” per limitare il diritto di rappresentanza. John Stuart Mill, alfiere del liberalismo britannico, si inventò, per esempio, il “voto plurale”, per cui il voto di un contadino contava come uno, mentre quello di un possidente valeva cinque. Una beffa, naturalmente. Tanto quanto il “giuoco dei collegi elettorali”, la cui definizione condiziona e spesso determina in partenza il risultato finale. Per l’effettivo allargamento della base elettorale, il punto di svolta in Italia venne nel 1912 con Giolitti.
Morti bianche
Nella gremita Sala Rossa del Padiglione 1 c’è stato anche un fuori programma. Attorno alla metà della lectio una voce femminile ha interrotto il Professore per chiedere se ci fosse un medico in sala: una signora aveva un malore e necessitava di assistenza. Dopo una decina di minuti e l’intervento di una squadra di soccorritori, Canfora ha potuto riprendere il filo del discorso, sdrammatizzando con la battuta “Spero non sia stata colpa di quanto ho detto”.
Scherzi a parte, drammatico è invece lo stillicidio quotidiano di “morti bianche”, la strage silenziosa delle morti sul lavoro. Come porvi fine? Questa la ricetta di Canfora: aumentare in modo significativo e sufficiente il numero degli ispettori del lavoro e investire nella formazione dei lavoratori.
Nell’ultima parte del suo discorso, Canfora si è concentrato sulla progressiva emarginazione della rappresentanza popolare dall’agone politico. “La democrazia senza demo è un grande problema”, ha sottolineato. “Finché siamo a tempo, recuperiamo il demo”. Con queste parole, appunto chiare, appassionate e appassionanti, ha chiuso il suo intervento. Accolto da calorosi applausi.
Saul Stucchi
Luciano Canfora
La democrazia dei signori
Laterza
Collana i Robinson / Letture
2022, 88 pagine
12 €