Nona puntata del reportage di Marco Grassano “Ritorno a Chanià”.
Mi chiama Rav David, per propormi (visto che oggi è il mio sessantesimo compleanno) una gita – con pranzo – a Thériso, paesino di montagna distante una quindicina di chilometri dalla città. La mia guida tascabile lo segnala favorevolmente, trovandosi esso in una zona poco esplorata dai turisti ma molto frequentata dagli indigeni, per l’aria di montagna, il buon cibo e la memoria dello statista Eleftherios Venizelos, che vi era cresciuto.
Mi recupera, verso le 13, davanti all’uscita sud del Mercato. In macchina conosco Amalia, un’anziana pianista di Gerusalemme che trascorre parte del tempo a Creta.
Seguiamo, inizialmente, il mio percorso pedestre di ieri. All’incrocio dove avevo chiesto informazioni, prendiamo a sinistra, svoltando poi verso destra qualche centinaio di metri dopo, secondo le indicazioni stradali. Case, radi capannoni e ulivi. Canneti.
L’orizzonte di montagne si approssima. La strada, morfologicamente simile alle nostre appenniniche, trapassa piccole borgate bianche. Raggiungiamo le pendici e ci infiliamo fra le loro pieghe, che si fanno sempre più anguste, scoscese e scabre, ma rimangono molto vegetate – per lo più di caducifoglie.
La musicista (prima mi ha detto di conoscere bene l’Italia, soprattutto le località attinenti alla sua arte: Milano, Verona, Parma…) osserva che il momento in cui gli alberi sono più belli è l’autunno, quando restano spogli e paiono sculture.

Un tratto più aperto, di frutteti, poi ci immettiamo in una sorta di prolungate, ombrose, zigzaganti Strette di Pertuso; la carreggiata, però, serpeggia sul fondo, e le pareti si ammantano di cespugli. Nella seconda metà del percorso, compaiono, lungo il letto del torrente, piante di fusto maggiore. Iniziano quindi a mostrarsi, semisdraiate sui cigli in pendio, soprattutto quando le pareti si distanziano e lasciano spazio a un fondovalle sporadicamente edificato, alcune placide capre, sia biancheggianti che nere.
Il villaggio in cui arriviamo, circondato da alture ancora simili a quelle di Pertuso, ricorda un po’ certi nostri paeselli valligiani, per esempio Brignano Frascata, o Forotondo, o Bruggi.
Parcheggiamo sul bordo strada, in fila con altri veicoli più o meno rustici. Entriamo, a pochi metri, nella Taverna Madáres, squadrata costruzione di pietra che dalle nostre parti potrebbe benissimo chiamarsi, per l’arredamento e gli addobbi (trofei di animali, vecchie foto venatorie), Trattoria del Cacciatore.

Ci sediamo e ordiniamo (io scelgo un’insalatona cretese – grazie al clima e alle serre, riescono ad avere verdura fresca tutto l’anno – e uova al tegamino, strapazzate con graviera).
Iniziamo a mangiare. A un certo punto, Amalia percepisce che le due coppie al tavolo dietro le sue spalle parlano ebraico: coincidenza rarissima, ai limiti dell’incredibile, in un posto così, in questa stagione. Si presentano e iniziano a colloquiare nella loro lingua. Viene fuori che anche gli altri risiedono sull’isola parte dell’anno, nei dintorni di Kalìves. La distanza da Chanià non è molta, eppure finora ignoravano l’esistenza della Sinagoga. Gli israeliani – rabbino compreso – memorizzano reciprocamente i propri numeri, così da tenersi in contatto.

Facciamo due passi. Su consiglio di David, Amalia si infila in uno spaccio, per comprare latticini di produzione locale. Io mi guardo attorno. Al disopra dei versanti a noi attigui troneggiano, lontane ma assai più elevate, le Montagne Bianche (Lefká Óri, o Madáres, nella denominazione locale), spolverate di neve.
Puntata 9 – segue.
Marco Grassano