Terza puntata del reportage di Marco Grassano “Ritorno a Chanià”.
Osservo e ritraggo dalla finestra (col cellulare) la mia prima alba cittadina: il sole fonde il metallo di un piccolo ammasso di nubi e dardeggia al di sopra del suo orlo, nel tratto di cielo sovrastante lo spazio fra l’abbinamento ecclesiastico campanile-minareto e l’intonaco azzurro di una casa.

Faccio colazione, sgranocchiando biscotti e bevendo il latte che nel frattempo mi sono scaldato sul fornello elettrico. Ma mi piacerebbe avere anche della frutta. Provvederò.
Dalla piazzetta risalgo la Chalidon. Noto, alla luce diurna, che la sua pavimentazione è stata rifatta in un lastricato uniforme, senza dislivello tra marciapiedi e carreggiata e senza più i plintini contro i quali avevo sbattuto il ginocchio. Il Museo Archeologico, ormai privo anche delle targhe esterne, pare definitivamente chiuso.
Supero la Cattedrale e, poco dopo, svolto a sinistra nella Odòs Skrydlòf (cognome di un ammiraglio russo), detta anche “Via dei Pellai”: la mia guida la segnala infatti come sede tradizionale del commercio di prodotti di conceria (caratteristica tuttora mantenuta, mi sembra). Probabilmente, di qui è transitato il corteo funebre che ha condotto le spoglie di Theodorakis dal Palià Agorà (Mercato Vecchio) alla Cattedrale.
Al Mercato ci arrivo in fretta, dopo uno slargo-incrocio con altre vie, analogamente fitte di negozi. Salgo la scalinata, indosso la mascherina, supero il portone ed entro. Diversi commerci, più che altro di generi turistici (ricordini, abbigliamento, cosmetici, ancora pellame…), occupano tutta la pianta a croce della struttura. Per raggiungere il settore alimentari e trovare un fruttivendolo, devo valicare l’intero corpo dell’edificio, fin quasi all’ingresso opposto. Scelgo, per 3 euro e 50, un sacchetto da un kg di ακτινίδια (aktinìdia, ossia kiwi), coltivati biologicamente a Rèthimno.
Esco da questa parte. Uno spiazzo, pavimentato in mattonelle disposte a decorazione geometrica, ospita un grande albero di Natale, ai cui piedi è installata la stilizzazione di una Sacra Famiglia. Sopra il cancello dell’Agorà, la sagoma di una barchetta di lampadine reca l’esortazione Chrònia Pollà, corrispondente all’espressione latina ad multos annos – noi diremmo, semplicemente, “Auguri”. Prima dei bassi e profondi gradini che dichinano al marciapiede, una struttura ad anelli orlati di luminarie, analoga alle altre viste ieri sera. Quando cala l’oscurità e tutto si accende, l’angolo deve risultare assai suggestivo alla vista.
Torno indietro svoltando nella prima via a destra e vado a casa a mangiarmi un paio di kiwi.
IL “MEDITERRANEO BOOKSTORE”
Costeggio la darsena verso il Museo Navale. La libreria è aperta. Ritrovo le scaffalature che ricordavo: in mezzo alla sala, i poeti e romanzieri autoctoni tradotti in inglese, e le pubblicazioni di “colore locale” (noto la versione completa dell’Àxion estì, di Elitis, e anche Novel – ossia, Mithistòrima -, di Seferis, poi The fratricides, di Kazantzakis, due saggi sulla musica rembétika, con antologia delle canzoni, un manualetto e CD per imparare a parlar greco…); lungo la parete a sinistra, i volumi di Patrick Leigh Fermor.

Vado verso il fondo. Compare dal retro un uomo piuttosto alto, brizzolato, con gli occhi azzurri. Gli dico, nel mio stento inglese, che un mese fa avevo inviato una mail per ordinare la Commedia di Dante tradotta in greco da Nikos Kazantzakis (Η Θεία Κωμωδία, I Theìa Comodìa), e gli mostro la stampa del messaggio. Constatando che sono italiano, si mette a parlare scioltamente nella nostra lingua. Dice che in quel periodo non frequentava la bottega, e pertanto non aveva letto la nota. Scorre con gli occhi le opere di Kazantzakis presenti, ma questa non la trova. Vedrà comunque di risolvere. Fa una telefonata per me incomprensibile, e mi assicura che domani il libro sarà in negozio (in effetti, così è successo).
Anche qui sono tornato diverse volte, come in un porto sicuro. La donna che avevo incontrato all’epoca si trova adesso a Cipro. Il libraio si chiama Kostas Levakis. Ha 61 anni (e gliene mancano, purtroppo, ancora 6 per i 67 necessari al pensionamento, osserva…), è divorziato e ha due figlie: una di 18, che studia Scienze dell’Educazione, e una di quasi 15, che vorrebbe in futuro venire in Italia a ricevere una formazione da designer. Mi domanda di dove sono; glielo dico. Mi replica che ad Alessandria c’era stato nell’aprile del 1977, quando, ragazzo, aveva seguito la sua squadra del cuore – l’AEK di Atene – in trasferta a Torino per la partita di Coppa UEFA contro la Juventus. Nel capoluogo non avevano trovato posto per dormire, e allora si erano spostati giù da noi.
Mi mostra una sezione di volumi in italiano, buona parte dei quali editi da Nicola Crocetti (e qualcuno dalla meritevole Aiora locale). Mi dice che Nicola lo conosce abbastanza bene, che si sono parlati diverse volte al telefono, in greco, ma che ora è anziano e non riesce più a gestire l’aspetto commerciale. Mi chiede quindi se, cortesemente, riesco a procurargli contatti coi distributori di libri, per poterne far giungere anche di altro tipo, a beneficio dei turisti nostrani (mi cita, a mo’ di esempio, i romanzi di Petros Màrkaris). Gli dico che ci proverò: è un ambiente complesso.
Parliamo di autori, a cominciare da Kazantzakis. Ritiene che il suo libro più importante sia L’Odissea, solo che è difficilissimo da leggere per gli stessi Greci, perché bisogna tenere sempre sottomano un dizionario, e anche così non si riescono a capire tutte le parole peregrine – magari inventate da lui stesso – che l’autore utilizza. Ci vorrebbe un’edizione corredata da note critiche, oppure, come per il grande tomo (che mi mostra) della traduzione in tedesco, il testo accompagnato da una versione che aiuti a decifrarlo. Lo informo che in Italia l’opera è stata pubblicata lo scorso anno, proprio da Crocetti. Si stupisce, perché questi gli aveva anticipato tempo addietro che la sua Casa stava per essere assorbita da un grande editore. Gli faccio vedere la raccolta poetica di Ritsos, dal cui colophon risulta l’appartenenza al Gruppo Feltrinelli, e gli dico che proprio tale passaggio ha consentito il salto di qualità finanziario per affrontare progetti ingenti, quali il poema cretese o la raccolta dei Lirici arcaici. Lo informo che un volume dalla mole analoga all’Odissea tedesca è uscito recentemente, da Bompiani, con tutte le opere di Kavafis.
Discutendo di letteratura indigena, gli segnalo che posseggo l’Erotòkritos (“Sì, di Vincentzos Kornaros” chiosa lui), curato dal professor Cristiano Luciani e pubblicato presso la poliedrica casa editrice ateniese ETP books. Kostas questo editore lo ignorava. Smanetta rapidamente sullo smartphone, verifica il tipo di prodotti, potenzialmente interessanti per una clientela come la sua, e mi ringrazia di avergliene parlato.
Mi suggerisce alcune scrittrici originarie di Chanià: Ioanna Karistiani, Maro Duka, Alkioni Papadaki. Mi riprometto di cercarle, una volta in Italia. Gli confesso che scrivo anch’io e che, se tutto va bene, il prossimo anno dovrebbe uscire un mio lavoro su Creta. “Che tipo di scrittura?” mi domanda. “Letteratura di viaggio, il genere praticato da Leigh Fermor” chiarisco, e mi avvicino al punto in cui si trovano i testi del grande britannico, estraendone alcuni. Un uomo biondo cenere, notando il mio interesse, si informa (in un inglese con venature presumibilmente fiamminghe) se Fermor mi piace. Gli rispondo di sì, aggiungendo che ho letto parecchi dei suoi libri, in italiano. Anche lui lo ha letto e lo ama molto, e rimpiange che lo scrittore, pur essendo stato partigiano sull’isola e quindi avendola percorsa minuziosamente, non abbia dedicato un volume anche a Creta, come ha fatto per altri angoli ellenici.
Il libraio lamenta le pesanti difficoltà economiche causate dalle chiusure per il Covid. Non c’erano turisti che comprassero, ma l’affitto bisognava corrisponderlo ugualmente: “Nel mio caso, 1.700 euro, che sono tanto, ma, avendo ancora un vecchio contratto, non tantissimo rispetto ad altri qui vicino, che, trattandosi di edifici nobiliari veneziani, ne pagano anche 2.500 o 3.000”.
Gli lascio copia delle mie pagine su Chanià, che ho portato con me. Mi avvicino alla scansia dei libri francesi, sul lato destro. Vi scorgo “L’été grec”, di Jacques Lacarrière, che elogio, e mi regalo “Le jardin des rochers” e “Toda-Raba” (Kostas pronuncia, alla greca, “Tonda ramba”), composti da Kazanzakis direttamente in francese. Scorrendoli, noto che il grande cretese riesce a mantenere il proprio tono – il proprio stile, diciamolo pure – anche in quella lingua: per lui comunque straniera, sebbene appresa prestissimo nella scuola dei Padri Francescani che aveva frequentato.
IL NEGOZIO DI DISCHI
Avevo notato ieri, tornando da cena e passando nel vicolo tra la piazzetta di accesso al Bastione Schiavo e la Chalidon, di fronte al ristorante indiano Namasté, l’annosa insegna “Music Store / ΑΠΟΓΕΙΟ / Vinyl – CD’s”. Ci vado. Trovo aperto.
Dico, in inglese, al non giovane gestore (mi risulta difficile attribuire un’età precisa alle persone, qui in Grecia) di voler acquistare dischi di Mikis Theodorakis. L’uomo me ne esibisce alcuni, prelevandoli dai ripiani sulla sinistra e dal mobiletto in basso a destra. Anche l’arredamento – l’intero spazio, a dire il vero – ha un’aria piacevolmente vetusta.

La raccolta di brani in versione internazionale, che comprende fra gli interpreti Iva Zanicchi e Albano Carrisi, non mi attira molto. Finisco per scegliere tre album, tutti cantati da Maria Farandouri: “I ghitoniès tu kòsmu”, ossia “I quartieri del mondo”, basato su liriche di Ghiannis Ritsos; “Songs and guitar pieces”, con accompagnamento del chitarrista australiano John Williams e testi anche di Federico García Lorca (tradotti da Elitis, peraltro); “Odisseia”, versi di Kostas Kartelias, orchestrazione di Irina Valentinova.
Osservo, vicino alla cassa, alcuni compact di un certo Moustakis, il quale mi sembra però un artista cretese che nulla c’entri con l’omonimo chansonnier. Il negoziante mi domanda, alla fine, se sono un fan di Mikis. Gli rispondo di sì: era un grande musicista. Mi commuovo.
Puntata 3 – segue.
Marco Grassano