Seconda puntata del reportage di Laura Baldo sull’Iran.
Il Museo dei gioielli si trova nel caveau della Banca Nazionale. Non si può portare niente (quindi niente foto), solo il fazzoletto, ma la visita dura in tutto una mezz’ora.
Entriamo in fila indiana, ma una donna ci ferma e capiamo che aspetta la nostra guida (non si entra senza una guida iraniana). Il caveau è buio e silenzioso, c’è un sacco di gente ma parlano tutti a bassa voce, i gioielli luccicano da far male a guardarli troppo da vicino; sono splendidi ma un po’ freddi, mi entusiasmo solo un paio di volte, per una sciabola da cerimonia tempestata di rubini e smeraldi, e per dei diamanti rosa, che pare sia il colore più raro.
Non vado pazza per i diamanti in generale, e fatico a distinguerli dal vetro, ma quelle leggere sfumature colorate così rare e casuali mi affascinano; riesco a gettare solo un’occhiata veloce alla pietra più famosa della collezione, davanti a cui c’è un capannello di gente: il diamante rosa Darya-e noor, o Mare di luce (si legga la storia dell’ancora più celebre Koh-i-Nur, raccontata da William Dalrymple, ndr).
Saliamo sul pullman e posso finalmente dare una bella occhiata alla città che scorre fuori dal finestrino, man mano che ci allontaniamo dal centro: il traffico fa spavento, la gente attraversa la strada in modo suicida (non ci sono strisce pedonali, in nessuna città), i semafori praticamente sono di bellezza, le case sono grandi parallelepipedi anonimi che spesso ricordano in modo sinistro Berlino est.
Eppure sopra tutto questo il sole splende e qui e là spicca qualche nota di colore: murales, insegne, installazioni artistiche (c’è un’intera via ricoperta di ombrelli colorati). La curiosità alla fine ha la meglio e tutto sommato è un posto affascinante proprio perché così nuovo e pieno di contrasti.
Il Museo del tappeto
Il Museo del tappeto è un po’ isolato, intorno ha un giardino brullo e solitario riarso dal sole; è una costruzione moderna e anonima, con spazi enormi. I tappeti sono soprattutto appesi alle pareti; alcuni sono vere opere d’arte, e le decorazioni variano in base alla regione di provenienza.
Sono molto belli quelli dei nomadi, forse solo perché sono particolari, diversi; mi piacciono anche quelli con raffigurazioni naturali: fiori, piante, uccellini; quelli con le quattro stagioni, quelli con figure umane (ce n’è uno molto particolare con personaggi storici).
Imparo che il loro valore è dato dal tessuto (seta o cotone o un misto dei due), dal numero di nodi (più sono più il tappeto è pregiato e sottile), dal fatto che sia usato (il tappeto usato acquista valore). Qui i tappeti vengono adoperati un po’ per tutto, anche come tovaglie o al posto dei quadri alle pareti.
Finita la visita, ci riposiamo un momento al bar del museo. Qualcuno ha ordinato un tè allo zafferano e d’impulso ne prendo uno anch’io; l’aspetto è molto bello tanto che faccio una foto alla tazza di vetro dal contenuto ambrato, coi boccioli di rosa che galleggiano in superficie e un grazioso bastoncino giallo di zucchero per mescolarlo; il tè non è male, anche se ha un gusto molto particolare che dopo un po’ finisce per nauseare.
L’Arco di piazza Azadi
Tornati in hotel mi stendo qualche minuto sul letto e cado addormentata, così e scendo tardi per cena. Per recuperare mangio in fretta, il kebab con le verdure che hanno preso tutti gli altri. Scopro poi che è montone, ed è un po’ pesante. Ci sono anche dei dolci, che mangio più volentieri. Qui vanno soprattutto dolci asciutti, biscotti e pasticcini di frutta secca. Difficile trovare cose come cioccolato o creme, se non nelle pasticcerie ben fornite.
Il mattino dopo lasciamo Teheran. Finalmente ho dormito e mi sento piena di energia, sono felice di scrollarmi di dosso questa città enorme, caotica e un po’ opprimente. Ci fermiamo per salutarla sotto quello che è il suo monumento più famoso: l’enorme arco bianco di piazza Azadi (il cui nome significa libertà). La bellezza della sua posizione, al centro di una rotonda-giardino gigantesca decorata di aiuole e fontane, mi spinge a rivalutare la città, rendendomi conto che ne ho visto ben poco.
Sorrido nel notare la statua di un turista che si fa un selfie. Scoprirò poi che queste statue segnalano le prospettive migliori. Giriamo per la rotonda, e facciamo una bella foto di gruppo sotto l’arco. Finite le foto, Alì raduna le sue pecorelle disperse e ci riporta sul pullman, l’aiuto autista blocca il traffico da girone dantesco della rotonda mentre attraversiamo.
Nel passare sotto un cavalcavia noto dei murales colorati e ironici (dei giganti che lo tengono su, sempre più schiacciati man mano che si abbassa il ponte) e inizio a pensare che Teheran non è poi così seriosa. Varrebbe di certo la pena scoprirne altri angoli.
A pranzo zereshk polò
A pranzo ci fermiamo in un autogrill, grande e pieno di negozi, nell’aria c’è profumo di biscotti e cannella, che viene da un negozio di dolci. Io ho ancora sullo stomaco il montone di ieri, quindi resto leggera. Prendo solo del zereshk polò (riso con carne, zafferano, bacche di crespino, mandorle e pistacchi). Le porzioni sono dappertutto enormi e ho difficoltà a finirlo, ma è buonissimo.
C’è anche un buffet con venti insalate diverse, che assaggio appena. Dopo pranzo scopro per caso che c’è un bar con l’espresso, mi figuro ingenuamente che sia così dappertutto, ma dovrò ricredermi: trovare un espresso diventerà un’impresa. Anche negli hotel d’ora in poi troveremo solo caffè solubile.
Guardare i negozi comunque è interessante, ci sono più o meno le stesse cianfrusaglie che si trovano da noi: giocattoli, occhiali da sole, libri, gelati. Guardo incuriosita soprattutto i cd, che hanno le copertine di cartone anziché di plastica, e cerco di farmi un’idea della musica dalle immagini dei cantanti in copertina. Mi riprometto di chiedere che musica ascoltano qui, e se veramente c’è la censura su quella straniera, come si potrebbe evincere dall’oscuramento di YouTube.
Tappa a Qazvin
Dopo pranzo arriviamo a Qazvin, dove ci fermiamo solo per vedere la Moschea Jameh, una delle più antiche in Iran, e il mausoleo Shahzdeh Hossein. Noi ragazze mettiamo il chador in prestito (obbligatorio nei mausolei), un’esperienza più divertente del previsto, tutte a sistemarci ‘sto coso e inciampare, le battute sul fatto che i mariti non riconoscono più le loro mogli.
Il mausoleo in sé è una mezza delusione: un’unica stanza con una grata da cui sbirciare. Ci rimaniamo forse due minuti, sono belli il soffitto e le pareti tappezzate di frammenti di specchi, che poi torneranno comunque identici in ogni mausoleo, perdendo anche il fascino della novità. Comunque dopo un po’, sotto quella specie di lenzuolo nero, il caldo diventa insopportabile. Facciamo una foto di rito tutte insieme, e sembriamo delle suore in vacanza.
Sul pullman mi sono piazzata quasi in fondo, accanto a me ci sono i due romani, e sono simpaticissimi, poco avanti due professoresse trentine, dietro c’è Agnese, la più giovane del gruppo. Man mano che il viaggio procede mi sento sempre più a mio agio, arrivati sulle montagne sto ridendo come non ridevo da anni: mi sento come in gita scolastica, quando noi soggetti peggiori ci sedevamo in fondo al pullman per fare casino.
A metà pomeriggio ci viene offerto del tè, io chiedo se c’è caffè, e così diventerò quella del caffè zuccherato (shekar/zucchero è una delle prime parole nuove che imparo) oltre che delle sigarette. Alì passa con una scatola di datteri, io esito — i datteri non mi sono mai piaciuti — ma questi sono freschi e da noi non si trovano, così ne assaggio uno: sono morbidissimi, più dolci del miele, ti rimettono al mondo, senti quasi l’energia zuccherina che riempie le sinapsi del cervello; tutto sembra più dolce dopo averne mangiato uno.
Le montagne intorno a noi — le propaggini nord-occidentali dei Monti Zagros — sono imponenti, solitarie, aspre, bruciate, pura poesia per gli occhi. La nostra destinazione, Hamadan, è dietro la prossima curva.
Laura Baldo
Seconda puntata – segue.
Di Laura Baldo è appena uscito da Alcheringa Edizioni il romanzo giallo “La salvatrice di libri orfani”.
Didascalie:
- Museo del tappeto. Tappeto delle quattro stagioni: si possono notare i segni zodiacali, collegati alle stagioni; al centro la figura del Re dei Re e il simbolo alato di Ahura Mazda
- Tè allo zafferano e boccioli di rosa
- L’arco di Piazza Azadi
- Un piatto di zereshk polò, molto diffuso in tutto il Paese
- Qazvin: il mausoleo Shazdeh Hossein
- Qazvin: piazza Minudar, all’ingresso della città
- I Monti Zagros presso Hamadan