Terza parte del reportage di Marco Grassano sulla Provenza.
Arriviamo in Place Voltaire ed entriamo nel Bar des Arènes. Ai tavolini esterni, i camerieri stanno servendo birra bionda e salsicce cremisi, grigliate. Ordiniamo un Pastis 51: non molto diverso dal già noto Ricard, se non per le quasi impercettibili variazioni nel rapporto tra l’anice stellato, la liquirizia e gli altri misteriosi aromi.
Risaliamo Rue Augustin Tardieu, dirigendoci verso l’anfiteatro romano. Sfociamo, dopo un centinaio di metri, nello spazio inclinato che circonda l’Arena. Il pubblico vi sta affluendo per la corrida: rito diffuso anche nella Francia mediterranea e pirenaica. Piccole case, prospettive di vicoli, finestrelle e angoli particolari vengono a registrarsi sulla pellicola e nella memoria.

Saliamo un lieve pendio di gradini selciati, tra casupole dagli intonaci a tinte calde. Ci ritroviamo accanto alla chiesa di Notre Dame de la Major. Poggiato sui gomiti al parapetto in pietra, osservo la distesa urbana protrarsi fino ai bastioni e stagliarsi, nella distanza, contro onde successive di colline azzurre, progressivamente più pallide.
Apro il libro di Baudelaire e lascio cantare in me la bellezza dei suoi versi: “Horloge! Dieu sinistre, effrayant, impassible, / Dont le doigt nous menace et nous dit: « Souviens-toi! / Les vibrantes Douleurs dans ton cœur plein d’effroi / Se planteront bientôt comme dans une cible… »”. (Nota 1, in calce)
Mentre leggo, il cielo spento comincia a disfarsi in acquerugiola fredda. Minute gocciole picchiettano le pagine aperte. Ci rifugiamo all’interno del tempio, pietroso e spoglio, osservando le volte, gli archi, le geometrie multicolori delle vetrate, gli austeri, cerei crocifissi di legno.
Passeggiata in centro
Divalliamo lungo Rue Pontagnel e dintorni. Ripetuti, uggiosi angoli in declivio, smaltati di pioggia, che probabilmente la carezza del sole renderebbe un po’ più allegri. Torniamo, da qui, in Place Voltaire. L’azzurro profondo degli infissi di un ristorantino – con sagome di enormi cicale sulla facciata e con, di fronte, una terrasse chiusa da ringhiere in ferro battuto – fa scoccare nell’aria una gradevole scintilla coloristica.
Ci riportiamo al piccolo Colosseo locale. Rivolgiamo uno scatto d’obiettivo al teatro antico che sorge di fianco. Attraversiamo il verde Giardino d’Estate, lucido d’acqua. Dal Boulevard des Lices riguadagniamo velocemente il centro.
Ci ritroviamo in Place de la République. La chiesa di Saint Trophime esibisce le triplici strombature del portale romanico, pulito e restaurato assieme alle ieratiche statue che lo fregiano. La facciata del Municipio fa schioccare al vento le sue ondeggianti bandiere. Fissiamo altre inquadrature tra il Plan de la Cour e la Rue Balze: vicoli che si restringono angolarmente; un cortiletto bicolore di pietra e foglie.
Transitiamo di fronte ai criptoportici. Ficchiamo il naso nel cavedio del Museon Arlaten. Finiamo per sederci al Bar à Thym, nella pedonale e festaiola Rue de la République, per bere una birra. È un locale moderno, con pareti verdognole, specchi, bancone composito, in ottone e granito rosa. Offre curiosamente, tra i piatti freddi, un pän bagnà (alla lettera, in provenzale e in dialetto nostrano, “pane bagnato”), sorta di panino con tonno, pomodori, lattuga e maionese.
Giro in Camargue
Decidiamo di fare un giro attraverso la Camargue, fino alla grande bastide di Aigues Mortes. Imboccando, con qualche difficoltà, il ponte vangoghiano sul Rodano, seguiamo l’itinerario consigliato dalla guida Michelin. Non è forse il più rapido e rettilineo, ma certo offre immagini inattese, per chi viene dalla corrugata, sassosa e arida Provenza Interna.
Stradine strettissime, zigzaganti, srotolate in costa a risaie e a fossati colmi, tra un onnipresente luccichio di acquitrini che vellutano di verde, come un enorme tappeto da biliardo, la pianura bassa e liscia. Ponti dalla struttura intricata, che valicano il Piccolo Rodano o ampi canali. Puledri di varie razze, tori, anatrelle marroncino-iridate che sembrano uscire da una lacca giapponese. Accostato da oriente, il piccolo borgo di Montcalm offre una gradevole, grigiorosea erta di tetti acclivi al campanile. L’illusione ottica svanisce non appena oltrepassiamo l’abitato e lo osserviamo dall’altra parte.
I muraglioni di cinta – lunghi, alti, robusti, merlati, in gran parte avvolti dall’acqua – sono presieduti da una torre di guardia, leggermente discosta, che ricorda quella di Siviglia. Grosse motobarche per gite di gruppo, all’ormeggio in un largo naviglio. Due anatre vi nuotano impettite, beccando i tozzi di pane che qualche turista getta loro: il maschio verde-iridato e la femmina marroncina.
Fa freddo, fra le pareti di pietra – rabbiosamente solcate dal vento – delle vie, della Piazza e della robusta cattedrale romanica, che, vista dall’interno, sembra alleggerire fianchi e abside nei colori emotivamente intensi delle vetrate. Aigues Mortes mi ricorda vagamente Vianne. Ma il nostro paese gemello mi è più caro: per la sua quasi spoglia tenerezza da accampamento romano in Gallia; per la commovente cordialità dei suoi abitanti, che si salutano e si lanciano sorrisi o battute scherzose a ogni angolo; per l’assenza di turisti beceri e curiosi, che qui invece girano, imbacuccati, addirittura su un trenino, come bimbi alla festa patronale.
Visitiamo, in un edificio sull’altro lato della piazza, l’esposizione di un pittore leggermente lezioso, che riesce a dare il meglio di sé solo nelle sfumature cromatiche di qualche paesaggio o nel metallo luccicante delle masse di ulivi.

Giriamo ancora un po’ per le vie. Poi raggiungiamo, su una costa piatta e sabbiosa come quella fiamminga, la non invitante stazione balneare – e, si direbbe, porto di pesca – del Grau du Roi. Un vasto canale, popolato di motobarche, taglia in due il borgo, sferzato, in questo momento, da un libeccio freddo, non salutare per la tosse caparbia che mi affligge. Osserviamo, al largo, trecce di luce piovere dalle nubi, veleggianti in rapida corsa, e srotolarsi sull’acqua mutevolmente corrugata.
Ritorno ad Arles
Il ritorno ad Arles avviene per una strada dagli orli sabbiosi, ampia e veloce, mentre il crepuscolo abbuia gradualmente le ondeggianti chiome degli alberi e i ciuffi, pettinati dal vento, delle alte canne palustri.
Riportiamo la macchina dove l’avevamo lasciata stamattina. Ripercorriamo velocemente le stesse vie, fino a raggiungere il ristorante Le Grillon, affacciato sul lato sud dell’anfiteatro. Ne avevamo preso nota mentalmente, passandoci.
Siamo in una terrasse chiusa da vetri. Una grossa stufa a gas mantiene accettabile la temperatura. Ordiniamo una gustosa soupe de poisson, altrettanto saporite tagliatelle al camembert e birra. Fuori il vento infuria, spazzando e facendo mulinare sul suolo polvere e scatole di cartone. In cielo, nembi fuligginosi si accumulano rapidi, per spremersi subito dopo in una pioggia dura, compatta, tenace.
Mangiando, osserviamo gli altri avventori: coppie di varie età, ragazzi giovani, due maturi tedeschi, uno dei quali, sulla sessantina, somiglia al principe Vittorio Emanuele di Savoia.
Appena una tregua accettabile ce lo permette, balziamo lungo il lustro asfalto delle piccole vie, evitando pozzanghere crivellate dallo stillicidio e rivoli gualciti di acqua ruscellante. Rasentiamo l’Assessorato ai Lavori Pubblici. Saliamo in macchina.
Sull’autostrada, il tuono si fa cavernoso, assordante, quasi ci trovassimo vicino a una grancassa. I lampi sono enormi bagliori di magnesio che fotografano il paesaggio, sorprendendo a ogni scatto un drammatico cerchio di immagini atterrite. La pioggia scroscia fittissima e violenta, rimbalza in un denso sottobosco di zampilli e ci costringe a una velocità minimale.
Solo a partire da Salon de Provence la congestione meteorica inizia ad alleviarsi. Quando, finalmente, cominciamo a salire verso Aurons, i piccoli ulivi espongono alla luna, solenne e impassibile, lo spruzzato grigio-azzurro-verdognolo del loro fogliame.
Nota 1: Nella precisa traduzione – purtroppo, non più ripubblicata – di Clemente Fusero: “Orologio! Dio sinistro, terrificante, impassibile, il cui dito ci minaccia e ci dice: ‘Ricordati! I vibranti Dolori nel tuo cuore ricolmo di spavento si pianteranno tra poco come in un bersaglio…'”.
Terza parte – segue.
Marco Grassano
Foto di Marco ed Ester M. Grassano
Didascalie:
- L’arena di Arles
- Il Grau du Roi