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Voi siete qui: Europa » Viaggio in Provenza: Saint Rémy e le rovine di Glanum

14 Novembre 2020 Scritto da Marco Grassano

Viaggio in Provenza: Saint Rémy e le rovine di Glanum

Tredicesima parte del reportage di Marco Grassano sulla Provenza.

Usciamo da Salon de Provence seguendo un’ampia allea di platani frondosi, coi tronchi rischiarati da mobili chiazze di luce e risonanti del frinire compatto, energico delle cicale. Passiamo Plan d’Orgon. Fermandoci, per diversi secondi, a un semaforo, osserviamo incuriositi il semplice portone a sesto acuto di una chiesetta e la sagoma tozza del corto campanile che lo sovrasta, terminante in un cono irto di bugni che mi fa pensare a un allegro berretto carnevalesco.

Arriviamo a Saint Rémy. Svoltiamo nell’ennesimo viale, ad anello attorno al centro. Lasciamo l’auto sul lato destro di Avenue Schweitzer. Torniamo quindi in Boulevard Mirabeau. Ci giunge subito alle narici un intenso effluvio di lavanda. Ne individuiamo l’origine sul marciapiede, a pochi passi da noi: grossi mannelli di gambi recisi, affastellati di fronte a un portoncino attraverso il quale si scorge uno stanzone scuro e fuligginoso. O almeno, così lo si percepisce stando immersi nella fulgida chiarità esterna.

Curiosiamo un po’ nell’antro. Alcuni alambicchi di rame vi distillano l’olio essenziale. Inoltrandoci, troviamo allestito, con tanto di disegni illustrativi e didascalie, un piccolo museo degli arnesi che occorrono per lavorare le piante aromatiche. Alla fine della suite, in un ultimo vano affacciato sul cortile interno, si trovano i banchi del negozio, dove sono esposti profumi in botticini e saponette sfuse. La fragranza che queste emanano è raffinata, incantevole, morbida come le loro tinte sommesse.

Scegliamo lavanda, geranio rosa, verbena. Il foglietto esplicativo inserito nella confezione di cartone grezzo, riportante la dicitura “Parfumerie Sommerard – Saint Rémy”, informa che “Questi saponi sono fabbricati artigianalmente con oli vegetali di coltura biologica controllata. Arricchiti con argilla di Provenza e oli essenziali, sono autentici prodotti per la cura del nostro benessere e per il rispetto della terra”.

Ci infiliamo in Rue Carnot, scandita da un susseguirsi di vetrine alimentari. In alto, una larga scriminatura di cielo splendente stacca le cimase. Raggiungiamo una fontanella a parete, con l’effigie di Nostradamus. Continuiamo lungo la viuzza intitolata al poeta-veggente. Ai lati si dipartono brevi vicoli ciechi, listati da una striscia d’ombra. Uno di essi è sbarrato da nudi archetti in muratura di foggia ligure, sul primo dei quali figura incisa la cifra 1791.

Un vicolo a Saint Remy

Torniamo quindi parzialmente indietro fino a raggiungere piazza Favier, ingentilita d’alberi e circoscritta dalle severe facciate di alcuni palazzi. Di fianco al Museo Pierre de Brun, imbocchiamo una carraia che si insinua sotto un passaggio dalla volta a botte. Usciamo nella parallela Rue Perage. Il vicolo, articolato in bruschi segmenti che assecondano le file di case basse, vivacizzate da fiori rosa e vermigli, confluisce al centro nella canalina di raccolta delle acque meteoriche, e si snoda fino a Boulevard Gambetta.

Riprendiamo il giro raccomandato dalla Guida, evidenziato in verde sulla planimetria. Passiamo di fronte alla Collegiale de Saint-Martin. Sfioriamo Place de la République. Senza le variopinte bancarelle del mercato, il rione non presenta particolari attrattive. Ci inoltriamo nella stretta, curvilinea Rue de Hoche. Sulla parete fatiscente di una casetta sfondata, la solita placca di marmo informa, in modo succinto, che “Qui nacque, il 14 dicembre 1503, Michel de Nostredame, detto Nostradamus, astrologo”.

Saint Rémy: casa di Nostradamus

Poco oltre, ci ritroviamo davanti alla muraglia dell’ospedale di Saint-Jacques. L’aspetto dell’insieme è decrepito, deserto. La gronda era impreziosita, un tempo, da un cornicione inciso a disegni geometrici, ora tutto smangiato e sfatto.

Affacciatici, per un attimo, sul Boulevard Hugo, ci reimmergiamo nel centro, seguendo Rue du 8 Mai 1945. Passiamo la bella piazza Pélissier, resa allegra dalla luminosità smeraldina delle foglie trafitte dal sole e dominata dagli archi del Municipio. Infiliamo Rue Lafayette. Ci fermiamo, per qualche istante, nello slargo del Centre d’Art Van Gogh, signorile palazzo di pietra in stridente contrasto con l’aspetto semidiruto o grossolano degli edifici limitrofi e col fetore nauseabondo degli escrementi canini spiaccicati al suolo.

Le rovine di Glanum

Un paio di veloci birre nell’aria infuocata della terrazza di un bar, non lontano dal laboratorio di profumeria. Riprendiamo la macchina. Seguiamo il percorso tondeggiante del viale e ci dirigiamo a sud, verso il Plateau del Antiques. Parcheggiamo sul piazzale polveroso attiguo all’arco e al mausoleo che si drizzano in una pietrosa campagna di erba secca e di ulivi [NOTA 1]. Facciamo qualche passo attorno. Attraversiamo lo stradone e, rimontando una lieve china, raggiungiamo la roccia grigia delle rovine di Glanum, sotto il rovescio implacabile di un sole cocente.

Rovine di Glanum

Seguiamo la via centrale. Ci aggiriamo su antiche carreggiate di lastrici consunti. Entriamo nelle preterite dimore, delle quali sopravvivono solo esigui mozziconi di parete. Osserviamo i brandelli di colonnato dei templi. Tutto appare costruito coi blocchi di sasso cinerino estratti dagli aspri rilievi rocciosi che sovrastano i ruderi.

Saliamo, lungo il versante sud della conca, un ripido sentiero, da cui lo sguardo può abbracciare l’intera superficie dei ritrovamenti. Ridiscendiamo nell’area del santuario gallico e del ninfeo, dove ci sediamo a riposare all’ombra di ispide e rade conifere. Le cicale, a migliaia, continuano il loro assordante, uniforme strepito, che deve ripetersi identico da millenni.

Mi chiedo se, quando questo fantasma urbano era abitato da persone per le quali il latino rappresentava ancora la quotidianità, qualcuno vi ha letto, o pensato, o recitato ad alta voce il celebre verso delle Georgiche virgiliane “et cantu querulae rumpunt arbusta cicadae” [NOTA 2], facendo correre gli occhi – stretti a fessura nell’accecante torpore del pomeriggio estivo – sul paesaggio di case, alberi e rocce.

NOTE:

  1. Qualche anno dopo, avrei trovato uno scenario assai simile visitando le vestigia di Gòrtina, a Creta – come ho raccontato altrove.
  2. “E le stridule cicale romperanno gli arbusti col canto”.

Tredicesima parte – segue.

Marco Grassano
Foto di Marco ed Ester M. Grassano

Didascalie:

  • Il campanile al semaforo col buffo copricapo
  • Il vicolo con gli archetti liguri
  • La casa natale di Nostradamus

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