L’amore per la bellezza è stato il motore primo. Lo riassumono al meglio i versi con cui John Keats chiuse la sua Ode su un’urna greca: “Bellezza è verità, verità è bellezza”. Questo solo / sulla terra sapete, ed è quanto basta. Sono posti a sigillo e insieme invito a entrare nella Casa Museo Fondazione Paolo e Carolina Zani a Cellatica, una manciata di chilometri da Brescia.
Il modo migliore per scoprire questo scrigno di tesori è visitare la doppia mostra che vi è attualmente allestita. A ROSSO IMPERO. Porfido egiziano dall’antico al Barocco fa da specchio ROSSO MODA. Abiti scultura di Roberto Capucci. Inaugurate lo scorso 26 gennaio, si potranno visitare fino al 5 maggio 2024. Sono inserite nel percorso espositivo della Casa Museo, alla quale si accede soltanto su prenotazione per seguire una visita guidata della durata di circa un’ora (all’interno non è consentito fotografare, permesso invece nel resto della proprietà: dal roseto al ninfeo e alla serra).

La Casa Museo ha aperto i suoi battenti il 5 febbraio 2020, pochi giorni prima che scoppiasse la pandemia, con le conseguenze che tutti abbiamo ancora ben presenti. Paolo Zani, imprenditore e collezionista, era morto nel 2018 a 72 anni, mentre l’adorata figlia Carolina era scomparsa l’anno prima ad appena 27 anni per un terribile melanoma, per sconfiggere il quale nel 2021 è stata creata la fondazione che porta il suo nome, con sede a Passirano.
Nel segno di Venezia
“Paolo Zani voleva abitare l’arte”: ha esordito con queste parole Chiara, la guida che ha accompagnato la nostra visita. Nel 1985 l’imprenditore venne a vivere in questa casa che risale agli anni Cinquanta. Qui ha collocato oltre milleduecento pezzi della sua collezione, tutti esposti. L’ultimo l’acquistò pochi mesi prima di morire.
Si tratta di una veduta di Villa Loredan a Paese dipinta da Francesco Guardi attorno al 1780. La tela ha anche un’importanza documentaria perché quella dimora non esiste più, essendo stata distrutta da un incendio. Venezia è il fil rouge che corre lungo tutta la Casa, dalla Sala del Canaletto (la cui Piazzetta di Venezia appartenne a Sophia Loren, mentre Il molo dal bacino di San Marco fu dello Scià di Persia) alla camera da letto in cui sono esposti quadri di Pietro Longhi con scene di interni veneziani.
Dicevo della doppia mostra attualmente in corso. Rosso Impero e Rosso Moda sono curate da Massimiliano Capella, direttore della Casa Museo, che il 13 aprile alle 17.00 terrà una conferenza sull’esposizione dedicata agli abiti di Capucci. Il 23 marzo, sempre alle 17.00, toccherà invece a Cristina Maritano, autrice della monografia Rosso Impero. Porfidi, marmi e pietre scolpite nella Casa Museo Zani, parlare del marmo imperiale per eccellenza.
Sono solo due degli appuntamenti del ricco calendario d’iniziative per il quale rimando al sito della Fondazione. Qui mi limito a elogiare la cura con cui sono realizzati i volumetti a corredo delle mostre, utilissimi per approfondire i temi e per tenere memoria di quanto si è ammira nella Casa.
Porfido ovunque
“Ovunque ci giriamo, troviamo porfido”, ha detto Chiara e in effetti ho subito adocchiato un’anfora con coperchio di produzione italiana o francese (datata attorno al 1760-1770) e un bruciaprofumi francese di poco posteriore già nella prima sala. Devo qui confessare che sono arrivato a Cellatica proprio per visitare la mostra sul porfido. La passione – o meglio: la malattia – per i marmi colorati antichi la devo agli articoli di Stefano Malatesta su Repubblica più che agli studi universitari.

Contagiato una volta per sempre, giusto venti anni fa andavo al Louvre per la sontuosa mostra Porphyre : La pierre pourpre, des Ptolémées à Bonaparte, allestita nella Sala del Maneggio. Là erano state riunite circa settanta opere realizzate con il durissimo marmo estratto dalle cave del Mons Porphyrites (oggi Gebel Dokhan) nel deserto orientale egiziano.
Qui, oltre a quelli sparsi per la Casa, sono stati invece selezionati dieci pezzi, tra cui il Busto loricato con ritratto virile non pertinente che campeggia sulla copertina del catalogo. È stato prestato dalla Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli di Roma. La scheda spiega che il busto in porfido è stato acquistato a Tangeri e si ritiene provenga dalla città romana di Volubilis, pochi chilometri a nord della città imperiale di Meknès, in Marocco. La testa, in marmo bianco pentelico, è stata rilavorata per dare al personaggio i tratti di un imperatore della dinastia severiana, forse Alessandro Severo.

Anche le altre sculture provengono dalla Fondazione Santarelli, come la Testa di giovane fauno e la Coppia di busti, virile e femminile. Sono disposte in un piccolo ambiente, riservato per ospitare le mostre temporanee. Naturalmente è impensabile anche solo poterle sfiorare con un dito, ma mi sono rifatto qualche giorno fa con le due colonne che campeggiano all’esterno del duomo di Arezzo. La cosiddetta Nicchia del Doge è invece l’unico ambiente che Zani volle musealizzare mentre abitava la Casa.
Un capolavoro di tavolo
Ogni ambiente è ricco di tesori e viene illustrato con aneddoti e ricordi. La sala da pranzo, per esempio, prende il nome dall’ebanista lombardo Giuseppe Maggiolini, autore delle due commodes collocate ai lati corti della sala, decorate rispettivamente con il carro di Diana e il carro di Cerere (datate al 1789). La boiserie è stata invece realizzata nel 2014. La guida ha tenuto a sottolineare che l’ambiente fu creato proprio per ospitare i due mobili, non che questi siano stati scelti per decorare la sala.
Tanto altro ci sarebbe da raccontare sulla Wunderkammer, sull’Impluvium che ospita i pezzi più antichi della collezione, ovvero un Cratere a volute apulo a figure rosse (datato al 340/320 a.C.) e due statue acefale del I secolo a.C.
Il Salone dell’Ottagono ospita l’opera “icona” della Fondazione, ovvero il Tavolo con piano ottagonale a commesso fiorentino realizzato dall’Opificio delle pietre dure di Firenze per il Granduca Cosimo III de’ Medici, mentre la base in legno e bronzo dorato è opera dell’inglese George Bullock, più tarda di un secolo (1810-1815, contro il 1715-1720 del piano). La presenza in collezione di questo capolavoro è legata a un aneddoto curioso e insieme drammatico che non voglio qui rivelare per non guastarvi la sorpresa.
Ho confessato che sono arrivato alla Casa Museo Zani per visitare la mostra sul porfido. In chiusura di articolo è giunto il momento di aggiungere che sono rimasto molto colpito (anche) dalla esposizione dedicata agli abiti di Roberto Capucci. Solo vedendo le opere esposte insieme si comprende quanto siano simili, per plasticità e regalità, i manufatti in porfido e gli abiti scultura dello stilista romano, come Nove Gonne del 1956, Fuoco del 1985 e Cinabro del 1995. Ma oltre che col porfido, i sontuosi vestiti dialogano con la trentina di oggetti in corallo esposti nel Salone dell’Ottagono.
Dal catalogo curato dal direttore Capella, prendo la parte finale di una citazione tratta dal volume FMR Luxe, calme et volupté (1993) che l’editore e collezionista Franco Maria Ricci dedicò a Capucci:
Come accade per le tarsie, le pietre dure, le vetrate, le porcellane, i suoi abiti stupiscono e chiedono di essere toccati. Questo per dire che Capucci, grandissimo fra tutti i sarti, non appartiene alla sartoria ma all’arte”.
Be’, consideratelo un invito metaforico: non azzardatevi a sfiorare gli abiti. E nemmeno i porfidi.
Saul Stucchi
Didascalie:
- Tre abiti di Roberto Capucci esposto nel Salone Ottagono
- Allestimento della mostra Rosso Impero
- Busto loricato con ritratto virile non pertinente
primi decenni del sec. III d.C.
porfido rosso egizio il busto, marmo bianco pentelico la testa; piedistallo moderno in porfido verde
h tot. cm 62
Roma, Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli, inv. n. 158
ROSSO IMPERO
Porfido egiziano dall’antico al Barocco
ROSSO MODA
Abiti scultura di Roberto Capucci
Informazioni sulle mostre
Dove
Casa Museo Fondazione Paolo e Carolina ZaniVia Fantasina 8, Cellatica (Brescia)
Quando
Dal 26 gennaio al 5 maggio 2024Orari e prezzi
Orari: da martedì a venerdì 9.00 – 13.00Sabato e domenica 10.00 – 17.00
Biglietti: intero 12 €; ridotti 10/5 €