Precisiamolo subito: Marco Candida scrive bene. Lo avevo già notato – annotato – recensendo i suoi libri anteriori, Incendio nel bosco e I 69 giorni. Scrive bene perché si avvale di un italiano sciolto e preciso, ricco di una polifonia di espressioni mutuate dalle discipline più diverse, sempre, però, impiegate a estremo proposito.
Non mi pare affatto estranea, in ciò, la lezione di Carlo Emilio Gadda, che, in Le belle lettere e i contributi espressivi delle tecniche (1929), osservava tra l’altro: “L’elaborazione del materiale espressivo si compie ne’ diversi ambienti tecnici (officine, esercito, marineria, arti e mestieri, commercio, bollettini ufficiali, scienze, moda, malavita, medicina e cliniche e manicomi, borsa, affari, abbigliamento, giornalismo, polizia, amministrazione, diritto, agricoltura, marioleria), con apporto che è la somma di tutte le forze de’ singoli, in un determinato ambiente operanti (…) Non è possibile qui e da me non arriverei certo a riandare, neppure con citazioni d’esempi sparsi, le mille vie onde le tecniche han recato alla espressione contributi essenziali…”.

Così, nel suo nuovo romanzo, Come in cielo, troviamo i protagonisti intenti a rimirare (verbo leopardiano) “i solchi d’erosione nel calcare e nelle marne argillose (…) i rigaggi (…) le forre (…) la calcite (…) i calanchi (…) in scalenoedri vetrigni e puntuti”.
I due hanno problemi anatomici ai piedi: “l’unghia del podulo destro era nera e l’unghia del trillice sinistro incurvata (…) l’osso cuboide collocato nella parte esterna del piede, davanti al calcagno, laterale allo scafoide e al terzo osso cuneiforme, dietro al quarto e al quinto osso metatarsale (…) esostosi, una proliferazione osteocartilaginea collocata sul lato dorsale della falange distale”.
Nei “corpi idrici” in cui si bagnano riconoscono “la licena delle paludi (…) ropaloceri e odonati”. Notano le caratteristiche costruttive dei borghi: “case ageminate (…) tarsi a dentelli della colombaia del timpano (…) aggetti delle pareti intelaiate”. Sono assillati da “entropie esistenziali”, constatando che “l’uomo euclideo in un mondo azimutale diventa prometeico”. La donna, nei taccuini trascritti, annota del proprio “rilievo splancocranico” e della “cupololitiasi”, della “presincope” e dello “scotoma” di lui.
Ma Candida, da vero, buon gaddiano, inserisce nella sua prosa anche espressioni popolaresche (“gli dèi hanno menato le tolle” – io avrei detto: “hanno impagliato i tubi”; “i genitori hanno in aceto i figli”) o dialettali tortonesi (“Oh, Signur! Se ca t’è cumbinà?”), anglicismi (“piovono cani e gatti” per “piove a catinelle”; “pretende” per “finge”).
Come Gogol’ – e soprattutto come Manzoni, che passava di colpo dal grand’angolo sul paesaggio al primo piano sui personaggi, dal lago di Como a Don Abbondio – sa offrire minuziose evocazioni lirico-descrittive di folgorante efficacia, anche grazie al ritmo del fraseggio e al suono delle parole.
Ne riportiamo una sola, ma integralmente:
Il cielo sembra la tavolozza di un pittore. Al posto delle tempere, però, ci sono nuvole. Nuvole di ogni forma e colore. Verso Ovest una lingua d’azzurro è marezzata da una formazione di cirrocumuli, elementi candidi e setosi, a chiazze, densi di cristalli di ghiaccio e gocce d’acqua sopraffusa; ma, tra questi cirrocumuli, anche qui c’è varietà: alcuni hanno forma a torretta, alcuni paiono fiocchi morbidi dalla punta arrotondata e la base dentellata, altri hanno guisa di lente o di mandorla, e altri cirrocumuli ancora sono più densi, squarciati d’azzurro qua e là. In generale, il cielo sembra colmo di idrometeore pronte a precipitare al suolo o schiantandosi o polverizzandosi e scendendo come lanugine sulle aree sottostanti. Gli squarci d’azzurro sono così tersi da far credere di potervi scorgere attraverso nella mesosfera nubi nottilucenti. Di là la trama fibrosa di un cirrostrato biancastro e lattiginoso. Di qua fiocchi globulari serrati in ranghi ondosi: gli altocumuli. Un altostrato sembra fasciare come un velo trasparente un cielo ribollente di idrometeore e nembostrati. Un incastro di nembostrati e cumulonembi dà origine a virghe: sfilacci e peduncoli, pieni di precipitazioni disperdentesi in goccioline senza arrivare al suolo. Cirri e strati. Nubi cumuliformi e nuvolaglie convettive. E infine, in quel ribollio, pioggia. Un fronte temporalesco impressionante. Un rovescio quasi missilistico. Proiettili sul tettuccio dell’auto così come sul parabrezza e su ogni oggetto presente”.
Infiniti sono gli ammiccamenti intertestuali sapientemente dissimulati (quando non si trasformano invece in menzioni dirette) ad altri testi della grande letteratura, anche musicata. Ed ecco accendersi inaspettatamente nella nostra memoria qualcosa di Baudelaire (“ordine e bellezza”), Eliot (“passato e futuro hanno in comune di non essere presenti”), Leonard Cohen (“eseguimmo un potente rito esclusivo (…) sistemammo una candela rossa in mezzo a quattro candele verdi dentro a quattro portacandele” – cfr. “I lit a thin green candle to make you jealous of me…”), Walt Whitman (“aroma di bosso, effluvio di echinacea, fragranza di ginepro, grazia di alloro, essenza di azalea, dal naso i balsami mi invadono la mente, come sollevandomi dal terreno (…) la testa mi gira per il buon odore di foglie…” – cfr. “Mi chino e indugio a piacer mio osservando uno stelo di erba estiva (…) Le case e le stanze son piene di profumi, le mensole son zeppe di profumi, Io stesso ne respiro la fragranza, la conosco, mi piace, il distillato potrebbe stordire anche me…”), D’Annunzio (“Le gocce cadono sulle tamerici e cadono sulle canne di bambù, suonandole aiutate dal vento, un suono di flauto leggero, diverso dal picchiettio sulle foglie cedue di una farnia…”).
In alcuni passi vengono descritti aspetti assai sgradevoli del corpo umano, analogamente a quanto era solita fare, nei racconti e romanzi, Silvana Grasso: che riconduceva però il proprio vezzo stilistico all’influenza del barocco figurativo siciliano. Influenza non ipotizzabile, invece, in Marco Candida, che si serve di tali immagini quali correlativi della percezione emotivamente disturbata (per non dire, alla Ceronetti, disarmatamente delirante) dei protagonisti: esseri tutto sommato crudeli, come già in altri suoi testi precedenti. Ulteriore probabile spia della dissociazione della donna – della sua incapacità di relazionarsi col mondo – è la ripetuta elisione, nelle pagine dei taccuini a lei ascritti, del pronome relativo “che”.
La vicenda è ambientata tra Oltrepò Pavese e Basso Piemonte. Riferimenti e calchi cinematografici non mancano: da Kubrick – espressamente citato – al bimbo ceduto ai satanisti in cambio del successo, che riprende Rosemary’s baby di Roman Polanski (ma forse si tratta di un tributo indiretto al Faust di Goethe).
A questo punto, dovrei raccontare la trama, caratterizzata da un lungo (da pag. 6 a pag. 80) flashback e da ripetuti, piccoli colpi di scena. Dovrei parlare della fantomatica, neoeletta Presidente del Consiglio (le cui caratteristiche non corrispondono però a quelle dell’omologa “reale”) che vive una situazione da romanzo di fantascienza, o della cena da incubo, o delle lampade alcoliche. Ma non lo farò, cari lettori. Vi lascio l’onere – e il piacere – di scoprire tutto da soli. Ne vale davvero la pena, credetemi.
Marco Grassano
Marco Candida
Come in cielo
I libri di Mompracem-Betti Editrice
Collana Corcira
2023, 216 pagine
16 €