Sartre ai tempi del Coronavirus, ovvero: una recensione a “I 69 giorni” di Marco Candida (edizioni Autori Riuniti).
Cominciamo, per una volta, dalle considerazioni finali: questo libro merita davvero di essere letto. È una storia che non si scorda facilmente. Una narrazione catartica quanto una tragedia greca. Una vicenda le cui pagine paiono esorcizzarci dalla tentazione di essere (o dal rischio di diventare) simili ai suoi protagonisti.
Un accenno alla trama: rapido, per non svelarne da subito gli arcani (che si vengono, man mano, presentando e chiarendo al lettore).
Poco prima dello scoppio della pandemia, il primario del reparto infettivi di un ospedale di provincia, nel sud est piemontese, decide improvvisamente di dimettersi dal lavoro. Scelta che gli crea non poche difficoltà familiari, perché, aldilà della sua professione prestigiosa e ben remunerata, chi ha davvero “i soldi” (e, com’è presumibile, lo fa garbatamente pesare) sono i genitori della moglie – la quale, oltretutto, è titolare, per conto proprio, di un avviato studio legale del centro-zona in cui vivono.

Dilaga il Covid, e viene imposto il conseguente confinamento. Il medico risiede, con la moglie e la figlia (diciottenne, all’ultimo anno di Liceo), in una villa agiata – come dotazioni e spazi – nella parte alta della città. Ma si ritrova ugualmente in una situazione che pare mutuata dal dramma di Sartre “A porte chiuse”: tre persone caratterialmente incompatibili, costrette a coabitare senza tregua in un ambiente limitato.
Per il filosofo francese, quella era la rappresentazione moderna dell’inferno. Ma condizioni indispensabili a renderla davvero infernale erano l’immutabilità e l’interminabilità. Per i tre dannati della villa in collina, invece, la vita è un continuo evolversi, un susseguirsi di novità, scoperte e rivelazioni che, per quanto dolorose, scongiurano ogni immobilismo. Fino alla conclusione: che, ovviamente, non rivelo.
Assonanze culturali
Mi voglio però soffermare sulla costruzione del libro, sulle sue assonanze culturali, sul suo stile: caratteristiche tutte che gli conferiscono un pregio particolare.
L’epilogo che riprende e porta avanti il prologo è un espediente cinematografico, usato per esempio da Stanley Kubrick (regista che, peraltro, viene citato nel racconto) per il film “Lolita”, tratto dal romanzo di Vladimir Nabokov.
Ma è un altro l’autore russo la cui presenza segna particolarmente le dense pagine di Marco Candida: Nikolaj Gogol’. La magnifica descrizione iniziale (da leggere e rileggere!) della campagna percorsa, qui, dal protagonista (linguaggio potente, ricco, materiato di ritmi e di vocaboli preziosi e segnato da tecnicismi della botanica e della chimica: un po’ come avviene nel racconto giovanile di Carlo Emilio Gadda “Teatro”…) richiama, per esempio, quella del giardino che Čičikov osserva in “Anime morte”.
Qualche spia linguistica o stilema viene a confermare la parentela. Le “ciambelle di bambagiona” della seconda pagina assonano coi “calzoni di bambagino” indossati da un passante che assiste curioso all’arrivo della carrozzella del mercante di anime.
“Un esercizio con un’insegna azzurra e la scritta bianca HAIR SALON ha le serrande cieche chiuse come da una enorme bocca a cui sia stato versato cemento fino all’orlo. Un altro negozio con l’insegna mezzo leggibile di PUNTO PIZZA ha srotolato dal tubo di movimentazione una serranda a maglie rombiche dalle quali sembrano esalare spifferi infernali” (pagine – 152 e -151: la numerazione è un conto alla rovescia…) ha a mio avviso molto a che fare con immagini quali “Nel bugigattolo alla cantonata – o per dir meglio nella finestra – s’era piazzato un venditore di bibite calde, col suo rosso samovar di rame e il viso rosso quanto il samovar, tanto che da lontano si sarebbe potuto credere che sulla finestra ci stessero due samovar – se un samovar non avesse avuto, nera come pece, la barba” oppure “le locande delle città capoluogo di governatorato, dove per due rubli al giorno i forestieri di passaggio possono avere una camera tranquilla, con scarafaggi che spuntano come prugne secche da tutti i cantoni e una porta comunicante con la camera vicina”.
I richiami sembrano però riguardare anche le vicende personali di Gogol’: il delirio religioso che coglie l’avvocatessa nel Centro commerciale ricalca quello che aveva indotto lo scrittore, nel 1852, a bruciare il manoscritto della seconda parte delle Anime. Per dire la verità, anche J. D. Salinger aveva concluso una delle sue storie con analoga farneticazione devozionale della protagonista…
Tra letteratura e cinema
Altra letteratura e altro cinema vengono evocati, più o meno subliminalmente, in queste pagine. L’atteggiamento mentale della moglie fa pensare a quello del protagonista della novella “La roba”, di Giovanni Verga: “Se un ragazzo seminudo gli passava dinanzi, curvo sotto il peso come un asino stanco, gli lanciava il suo bastone fra le gambe, per invidia, e borbottava: – Guardate chi ha i giorni lunghi! costui che non ha niente!”.
Gadda – quello del Pasticciaccio, stavolta, con le riflessioni del commissario Ingravallo sul “gomitolo delle concause” – sembra riecheggiare ancora nel “garbuglio di avvenimenti” di pagina -5. Il capitolo in cui il vento ci conduce a volo in varie case della città, cogliendo frammenti delle conversazioni che vi si svolgono, richiama “Il cielo sopra Berlino” di Wim Wenders.
A un noto vezzo di Hitchcock fa invece pensare la presenza di due cammei del precedente romanzo di Candida, “Incendio”: i protagonisti che camminano nel bosco appenninico di un “amico assai facoltoso” e, poco dopo, il rumore di elicottero in arrivo (ancorché il suono rivesta qui valenza opposta…).
Un’indicazione: tre piste da seguire, nella lettura, sono i nasi (elemento gogoliano anch’esso), l’urina e il numero 19. Scoprirete poi perché.
E una notazione conclusiva: Marco Candida è di Tortona, città legata a mie memorie infantili, nella quale ho poi lavorato per qualche anno e ho vissuto suggestivi momenti di giovinezza. Per me i riferimenti spaziali (e magari anche personali…) del romanzo rivestono quindi particolari connotazioni. Ma al lettore di gusto non occorre questo “valore aggiunto” per goderne appieno la bellezza. Buon libro, dunque!
Marco Grassano
Marco Candida
I 69 giorni
Autori Riuniti
Collana I nasi lunghi
2021, 200 pagine
15 €