“Oggi la nostra immaginazione non è altro che una qualsiasi strada d’America costeggiata da catene di ristoranti”. Così scriveva una quarantina d’anni fa Richard Brautigan in American Dust, breve romanzo che tentò vanamente di replicare il grande successo di Pesca alla trota in America del 1967.
Farebbe forse piacere al poeta e scrittore statunitense, aver suggerito mezzo secolo dopo il nome a una giovane band della campagna laziale, i Brautigan appunto. Cinque ragazzi che si muovono in un territorio sonoro ignoto alla stragrande maggioranza dei loro coetanei – ma l’interesse per l’America non investe, crediamo, l’immaginario nel suo complesso, peraltro troppo lontano da un’ormai mitologica stagione libertaria e terremotato ora in un verso della storia allucinato e assai preoccupante.

Ci riferiamo ovviamente a certi suoi esiti musicali: alla rinfusa Zappa, Captain Beefheart, no wave, free jazz. I vari Pablo Monterisi, Martino Petrella, Onur Yemisen, Andrea e Leonardo Pucci, danno vita a un sound assai nervoso, abrasivo ma rotondo insieme, che attraversa stilemi di un’estetica lontana eppure, almeno in questa versione, assai vitale.
Sedotti si direbbe dal gusto dell’improvvisazione ma abili nel montaggio di pezzi anche molto lunghi, riescono a coagulare attraverso una marca assai free sonorità mutuate dal post-punk, il jazz/noise e il rock: l’impatto è a tratti dirompente.
Oltre ai nomi citati, si possono aggiungere quali riferimenti più prossimi Loung Lizard o Naked City; ma è evidente a un orecchio addestrato anche il magistero del più grande gruppo italiano di sempre (e chi non è d’accordo buon anno, che ne ha davvero bisogno), gli Area (il chitarrista Andrea Pucci conviene che in effetti, be’, non ne era del tutto consapevole ma ci può stare).
Decisiva – non potrebbe essere diversamente visti i nomi citati – una quota di giovanile sprezzatura e gusto di quello che un tempo si sarebbe detto lo sberleffo dadaista. L’elettronica è ridotta al minimo ma nulla impedisce di supporre sviluppi diversi, perché a giudicare dal primo disco, Brainrottigan, uscito lo scorso dicembre (lo si può ascoltare e/o acquistare a questo link oppure su Spotify) appare connaturato al gruppo il desiderio di esplorare differenti direzioni.
Intanto, stanno preparando un piccolo tour che li porterà fino in Turchia; meritano di essere ascoltati perché – nell’era comica della trap – i Brautigan suonano e lo fanno bene.
Michele Lupo