Si possono condensare 70 anni di storia culturale dell’Unione Sovietica in un unico volume? Sì. C’è riuscito Gian Piero Piretto con il saggio “Quando c’era l’URSS” edito da Raffaello Cortina. Un libro tanto prezioso quanto bello, grazie al ricco corredo iconografico.
A noi invece non è riuscito di condensare in un’unica recensione quanto ci è sembrato utile di dire ai lettori di ALIBI Online. Abbiamo preferito suddividerlo in tre parti, di cui questa è la terza e ultima, dopo le puntate dedicate rispettivamente al periodo dal 1917 al 1935 e dal Terrore al primo quinquennio post-staliniano.
Qui, invece, racconteremo degli ultimi 5 capitoli, intitolati:
- 11: 1959-1962 Fuori di casa!
- 12: 1962-1968 Intellettuali sotto il torchio
- 13: 1969-1974 Serate in cucina
- 14: 1974-1980 Fermento nello stagno
- 15: 1981-1991 L’inizio della fine
Una storia da film
Come filo conduttore della parte finale di “Quando c’era l’URSS” possiamo utilizzare i film citati da Piretto. La rassegna cinematografica si apre con “Ballata di un soldato” di Grigorij Čuchraj (1959) per chiudersi trent’anni dopo, nel 1990, con “Taxi blues” di Pavel Lungin. Tra i due estremi scorrono le immagini di lungometraggi che raccontano, tra censure e denunce, i cambiamenti dell’immenso impero sovietico, anche se il centro – a ben vedere, suggerisce l’autore – rimane l’appartamento russo.
“Ho vent’anni” di Marlen Chuciev racconta il ritorno a casa di un soldato, in “A zonzo per Mosca” di Georgij Danelja la capitale sovietica è meta di un “vagabondaggio metropolitano senza meta”, mentre la vittoria nella seconda guerra mondiale con i suoi costi e sacrifici è al centro della storia di “Stazione di Bielorussia” di Andrej Smirnov (1971).
E poi “Viburno rosso” di Vasilij Šukšin (1974) e “Ironia del destino o buon bagno di vapore!” di El’dar Rjazanov (1976), una sorta di “Una poltrona per due” alla russa, non per somiglianze nella trama, quanto piuttosto per il rito della trasmissione nella notte di Capodanno.
Naturalmente non ci sono soltanto i film. Piretto squaderna citazioni da saggi e romanzi, reportage e poesie, copertine di periodici satirici (su tutti “Krokodil”, di cui è impossibile non ammirare la qualità grafica). E poi la musica! E l’arte… per raccontare il “breve ma intenso” rinascimento sovietico, il ruolo delle riviste, l’infatuazione per Hemingway (i suoi libri facevano parte del bagaglio dei giovani che andavano a coltivare la “kukurza”, ovvero il granoturco, insieme alla chitarra e all’immancabile vodka).
Il mito della strada
Le indossatrici francesi a spasso per Mosca e Jurij Gagarin in orbita nello spazio (a cui il londinese Science Museum ha dedicato una mostra spettacolare nel 2015-2016) aprivano nuove frontiere, a modo loro rinverdendo il mai tramontato mito della strada, in “un paese in cui la poesia manda in orbita migliaia di persone”, come scriveva la Literaturnaja Gazeta del 5 dicembre 1962.
I poeti, però, non se la passavano molto bene, per usare un eufemismo. Pagine molto intense sono dedicate ai processi a Brodskij, Sinjavskij, Daniel’, ma anche allo sparuto gruppuscolo di dimostranti che manifestarono sulla Piazza Rossa contro l’invasione di Praga, raccontata in Europa dalle scioccanti immagini di Josef Koudelka (giusto dieci anni fa, nel 2008, la Galleria Forma Foto a Milano aveva allestito la mostra “Invasione Praga 68”. Ricordo ancora l’incontro con il fotografo in occasione della presentazione stampa…).
Solženicyn analizzava e denunciava il microcosmo del lager e Chruščëv dava in escandescenze davanti alle opere degli artisti non conformisti, esposte al Maneggio di Mosca, ponendo fine alla breve stagione del disgelo.
La lettura si occupava della quotidianità, i cittadini sovietici continuavano a “mollare barzellette” una dietro all’altra, molto spesso in cucina, quel luogo angusto degli appartamenti in condivisione che era insieme piazza e teatro.
La kommunalka è una buona metafora per capire la vita sovietica, poiché viverci dentro è impossibile, ma al contempo non ci sono altre possibilità di vita, dal momento che abbandonare una kommunalka è pressoché impossibile. Questa combinazione: vivere così è impossibile, ma vivere altrimenti è altrettanto impossibile, descrive bene la situazione sovietica generale
ha scritto recentemente l’artista Illja Kabakov.
Tra rivoluzioni e KGB
Intanto si vivevano le rivoluzioni del caffè e del magnetofono, circolavano testi samizdat (che in Occidente diventavano tamizdat, ovvero “stampati là”, appunto all’estero) e versetti sadici, Chruščëv veniva defenestrato e Brèžnev inaugurava una lunga stagione di stagnazione.
Comparivano i primi hippies sovietici e il rock, nelle sue due ondate storiche, raccoglieva sempre più fan, tanto che il KGB, per tenere sotto controllo i gruppi musicali, arrivò a partecipare alla fondazione di un club a Leningrado!
Dodici anni dopo l’irata reazione di Chruščëv le cose non andarono meglio agli artisti che esponevano all’aperto in un terreno abbandonato alla periferia sud di Mosca: le loro opere vennero distrutte dagli agenti del KGB con l’aiuto di bulldozer.
Ma venivano proiettati anche cartoni animati di incantevole grazia come “La fiaba delle fiabe” e “Il piccolo riccio nella nebbia”. Mosca si vestiva a festa per ospitare le Olimpiadi del 1980, “Radio Armena” trasmetteva barzellette in salsa sovietica, spopolava la musica leggera italiana e riemergeva il “corpo grottesco” così a lungo tenuto nascosto sotto i muscoli artificiosi del Realismo Socialista.
Gli avvenimenti epocali si accavallano a grande velocità nell’ultimo capitolo. Il disastro di Černobyl’. Il tentativo di Gorbačëv di riformare il comunismo, ennesimo blitz nella storia sovietica, shock inutile e dannoso come i precedenti in un paese ammalato di oblomovismo. La caduta del Muro di Berlino e Wałęsa presidente della Polonia. Il golpe dell’agosto 1991 ed El’cin sul carro armato, fino alla calata del sipario su settant’anni di storia sovietica: la bandiera rossa viene ammainata dal Cremlino.
Ma dopo il ricco apparato di note c’è ancora spazio per un’auto-ironica dose di understatement da parte del professor Piretto:
“He’s got a degree in something called cultural studies, which apparently doesn’t quite involve reading a book”.
(A. Hollinghurst, The Spell)
Saul Stucchi
Didascalie:
– “Marz-triarcato”, Krokodil, n. 6, 1968
– Manifesto sovietico, 1961: “Dio non c’è”
– “Lavoro coscienzioso per il bene della società: chi non lavora non mangia”. Campagna sovietica del 1964
- Gian Piero Piretto
Quando c’era l’URSS
70 anni di storia culturale sovietica
Raffaello Cortina Editore
2018, 632 pagine, 39 €