A essere sincero non ho fatto caso all’informazione scritta su un comune foglio A4 stampato a colori posto sul banco della biglietteria, oggi alle Gallerie dell’Accademia di Venezia. Invece ho visto subito, appena saliti i gradini dello scalone che portano al primo piano, il pannello che all’inizio della sala mostra una riproduzione fotografica del Polittico di Santa Chiara di Paolo Veneziano e ne segnala il recente restauro. “Incanto dell’oro e del colore” è il sottotitolo di quella che pare essere una esposizione a sé stante, a cui segue l’indicazione “L’opera è esposta in sala XVIa”.

Ho pensato che il piacere di rivedere – finalmente restaurata – l’opera era soltanto rimandato di qualche minuto, anche se non sapevo dove fosse la sala menzionata e quanto distante fosse dall’inizio del percorso. Intanto mi sono gustato i contemporanei di Paolo, come Lorenzo Veneziano e quell’anonimo di Scuola riminese che ha dipinto sei tavolette con Storie della Passione di Cristo e Giudizio universale.
Poi ho affrontato la parte per me più bella dell’intera collezione, quella che mostra le grandi pale ma anche dipinti di dimensioni più ridotte dei grandi maestri del Rinascimento veneto: Giovanni Bellini, Vittore Carpaccio e Cima da Conegliano (strepitoso l’erbario ai piedi della Madonna dell’Arancio: peccato non saper distinguere l’aquilegia dal tarassaco e la celidonia dalla viola!).
Mi sarebbe anche piaciuto soffermarmi davanti al San Gerolamo e un devoto di Piero della Francesca, ma il suo posto è momentaneamente occupato da un’Allegoria (Fortuna o incostanza) di Giovanni Bellini. Il San Gerolamo è andato in prestito alla Galleria Nazionale dell’Umbria di Perugia per la mostra Fratello Sole, Sorella Luna. La Natura nell’Arte, tra Beato Angelico, Leonardo e Corot che si potrà visitare fino al 15 giugno.
Poco male, mi sono detto: tante volte ho visto l’opera di Piero, mentre non ricordo di aver mai posato lo sguardo sull’Allegoria del Giambellino. Intanto la numerazione delle sale procedeva spedita, tra capolavori come il Ritratto di un giovane di Hans Memling, i trittici di Jheronymus Bosch e il San Marco libera uno schiavo del Tintoretto.
Non mi sono neppure allarmato troppo quando ho letto il cartello posto a bloccare la sala XVI, il cui testo recita: “A causa della mancanza di personale alcune sale sono chiuse”. E, sotto la traduzione in inglese, l’elenco delle sale interessate dalla chiusura: al primo piano XII, XIV, XVI, XVIa; al piano terra: dalla 8 alla 13! “Ci scusiamo per il disagio”.
Beh, il disagio di non vedere da vicino le tre opere di Annibale Carracci, Palma il Giovane e del Padovanino esposte nella sala XVI è piuttosto limitato. In qualche modo si vedono anche dal corridoio, soprattutto il San Francesco del Carracci, posto frontalmente. Ma la delusione è stata cocente quando ho visto la catenella che bloccava l’accesso alla sala dedicata al Polittico di Santa Chiara di Paolo Veneziano fresco di restauro! Dall’uscio si può intravedere appena uno scorcio della parte sinistra, ovvero i riquadri con la Natività e l’Ultima Cena.
A un passo dall’ingresso, sulla sinistra campeggia una teca che custodisce una croce. Impossibile leggerne la didascalia. Dal sito delle Gallerie dell’Accademia scopro trattarsi di “una piccola e preziosa croce astile polilobata, dall’altissima qualità pittorica, proveniente da una collezione privata e concessa in comodato d’uso al museo”.
Fossi il collezionista privato che ha prestato quel gioiello a un museo statale per poi (non) vederlo esposto, ovvero visibile al pubblico, sarei molto deluso e amareggiato. La stessa sensazione che provo io da cittadino e da giornalista culturale davanti a un capolavoro appena restaurato e già “nascosto”.
Saul Stucchi
Gallerie dell’Accademia
Calle della Carità, 1050
Venezia
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