Undicesima puntata del reportage di Marco Grassano “Ritorno a Chanià”.
Vorrei approfondire la perlustrazione del quartiere di Splantzia. Al suo centro, avevamo visitato la chiesa di Àgios Nikòlaos, incuriositi dall’abbinamento tra campanile e minareto. Ci torno, così, a più riprese.
La chiesetta di S. Rocco è ancora oggetto di lavori di ristrutturazione: manco fosse il Duomo di Milano.

Poco indietro, sul lato opposto della via, mi trovo davanti una vetrina piena di volumi, da cui sporge l’insegna Το μικρό καράβι (To mikrò karàvi), ossia La piccola barca. Prima di lasciarmi entrare, il libraio (sui cinquanta, moro, snello) mi ricorda che devo indossare la mascherina e mi controlla la documentazione.
All’interno, solo testi in greco. Sul tavolo in fondo, sfoglio le traduzioni (coi nomi degli autori traslitterati) delle memorie di Nabokov, di un romanzo di Virginia Woolf, di Ο χαμένος Παράδεισος (O chaménos Paràdisos), Il Paradiso perduto, del colombiano Héctor Abad Faciolince. Informo il negoziante che questo autore mi era stato compagno negli studi, all’Università di Torino, e che per me è lusinghiero trovare pubblicata qui in Grecia una sua opera. Lui ne ha sentito parlar bene anche da altri.

Sul tavolo di fronte alla porta, mi balza agli occhi un nome italiano, Alberto Garlini; il titolo, Όλοι θέλουν να χορεύουν (Óli thélun na chorévun), lo ritradurrei Tutti vogliono ballare. Proverò a cercarlo in lingua originale.
Mantenendo lo stesso marciapiede, mi infilo nel primo angiporto, una ventina di metri più in là. Non fosse per l’andamento pianeggiante, si potrebbe pensare di star esplorando la “Pigna” di Sanremo: passaggi angusti che paiono girare su sé stessi e sfociano in qualche inaspettato slargo fra le case, archi di sostegno sotto cui transitare, spigoli di pietra, facciate dai colori caldi, vasi ospitanti piante rigogliose e persino qualche geranio ancora parzialmente acceso di vermiglio, motorini in sosta… Un vero labirinto, nel quale, volendo, sarebbe facile perdersi. Mi aggiro su questi lastrici omogenei, di piccole mattonelle marroni, finché, in qualche modo, ne esco, di fronte a un secondo minareto, nella via parallela a quella del Mercato Vecchio.
Ormai sono in grado di orientarmi. Torno in Piazza 1821 e rivisito le viuzze a sud della chiesa. La minuscola Agia Ekaterini in questo momento è aperta, perché una perpetua, o devota, sta facendo le pulizie, in vista dell’imminente Natale. Nella densa penombra, appena ravvivata da qualche candela, baluginano argenti e spiccano le parti chiare dell’iconostasi.
Abbordo il rione dal lato opposto. L’allestimento con la nave minoica è chiuso, ed è stata anche rimossa la placca metallica che lo annunciava. Sull’angolo di fronte, appesa sopra l’ingresso di un locale, la prua di una barca reca il nome Αντιγόνη (Antigòni): doveva già esserci allora, ma mi era sfuggita. Raggiungo il Salty drop, imbocco la Dedalou e la seguo fino alla prima piazzetta.

Un gatto bianco, con lievi zebrature in testa e aria sorniona, sta accucciato sul bordo di pietra dell’aiuola centrale. Mi metto a percorrere minuziosamente gli stretti, sinuosi vicoli circostanti. La pavimentazione è la stessa del settore prossimo al Mercato, ma le pareti sono per lo più bianche, o a pallide tinte pastello, o del tutto scrostate. Molto c’è ancora da recuperare, qui. Alla fine, lascio la Gerasimou per sfociare nel giardinetto in fregio al segmento di via percorso la mattina della partenza.
Puntata 11 – segue.
Marco Grassano
Didascalie:
- San Rocco, in perpetua ristrutturazione
- Il libro del vecchio compagno di studi
- La prua della barca “Antigoni”