Presentato da Vincent Rondot, direttore del Dipartimento di Antichità Egiziane del Museo del Louvre, l’egittologo Paolo Gallo ha tenuto lo scorso 10 ottobre una lectio all’Auditorium dello stesso museo parigino dal titolo “Alexandrie à l’époque des Consuls : les aiguilles de Cléopâtre, le naos d’Amasis et la pharmacie”, ovvero “Alessandria all’epoca dei Consoli: gli obelischi di Cleopatra, il naos di Amasis e la farmacia”.

La dogana di Alessandria
Dopo aver ringraziato lo staff del Louvre per avergli preparato la presentazione in PowerPoint, programma che lui non usa abitualmente, il professor Gallo ha spiegato al folto pubblico in sala che per una volta non avrebbe parlato della città dei Tolemei, di Antonio e Cleopatra, ma dell’Alessandria dei secoli XVIII e XIX della nostra era, quando l’Egitto costituiva una provincia dell’impero ottomano.

I Consoli vi risiedevano per assistere i propri concittadini e favorire il commercio del paese da cui provenivano. La loro intensa attività giustifica il fatto che quell’epoca sia detta, appunto, “dei Consoli”.
Il Porto Vecchio od Occidentale era riservato alle navi turche, mentre quello Nuovo od Orientale serviva per le navi occidentali, tra cui quelle francesi. La dogana aveva una sola banchina, peraltro molto piccola, per rallentare le operazioni di scarico e scongiurare il rischio di uno sbarco di forze nemiche in città.
Gli equipaggi trascorrevano molto tempo sulle imbarcazioni. Per consentire la comunicazione a distanza gli edifici che affacciavano sul porto disponevano di ampie terrazze dalle quali il personale di terra urlava a gran voce i messaggi per quelli delle navi e viceversa.
Tutto era raccolto in uno spazio molto limitato, noto con il nome di Okelle, derivato dall’arabo “Wakala”, ovvero “caravanserraglio”.
Il commercio di antichità
Una delle attività più floride era il commercio di antichità egizie. Gli studiosi hanno dato spiegazioni differenti alla presenza di vestigia di epoca faraonica ad Alessandria, città notoriamente fondata da Alessandro Magno nel 332 a.C. Ma si tratta soltanto di ipotesi, considerato che nessun reperto viene da un contesto sicuro o è stato ritrovato in situ.
Da parte sua Bernardino Drovetti, console francese ad Alessandria, era convinto che al centro della città ci fosse un tempio faraonico, ma oggi di quella tesi non resta in piedi nulla.

Chi ha portato i pezzi faraonici ad Alessandria? Il cosiddetto “Ago di Cleopatra”, in realtà un obelisco di Thutmose III, fu trasportato ad Alessandria all’epoca di Augusto. Ma la ricerca risulta difficile perché in realtà questi spostamenti sono avvenuti in tutte le epoche. È certo però che all’epoca dei Consoli il collezionismo ha dato un forte impulso all’affluenza dei pezzi faraonici in città. Vi approdarono migliaia di pezzi, portati con la speranza di venderli ai collezionisti europei.
Ma capitava che i pezzi più grandi rimanessero invenduti, finendo abbandonati nelle strade della città, soprattutto nella zona attorno alla dogana. Paolo Gallo ha scoperto la grande concentrazione di reperti attorno a quest’area facendo una mappa dei ritrovamenti e delle indicazioni delle fonti.
Si è soffermato sul caso della Farmacia Galetti, aperta ad Alessandria da una famiglia piemontese. Giuseppe Botti, il fondatore del Museo di Alessandria, descrive i reperti faraonici incorporati nelle pareti della farmacia.
Scavo tra i documenti
Gallo è andato per le strade attorno a Rue de France che ha perso il vecchio nome, anche se i locali la conoscono ancora con quello e questa volta ha scavato tra i documenti, riuscendo a ricostruire le varie fasi dell’Okelle – Hotel de France. La quantità di reperti in questa area si spiega col fatto che l’edificio era il consolato francese, ovvero la più grande stazione del commercio d’antichità dall’Egitto all’Europa.
Nel 1833 l’Hotel de France venne abbandonato dai Francesi e occupato da Dumreicher, diventando la “Maison Dumreicher” e successivamente la “Maison Drovetti” grazie al matrimonio di un Dumreicher con la figlia adottiva del console Drovetti.
Gallo ha illustrato la vicenda di alcune statue che venivano da Tanis, come la diade ora davanti al Museo del Cairo e la statua di Ramses II (entrambe disegnate dall’egittologo Lepsius). Le scultura non furono ritrovate nel Serapeum di Alessandria bensì trasportate da Tanis all’inizio dell’Ottocento.
I mercanti di antichità non riuscirono a venderle e così rimasero in città, al pari di pezzi troppo ingombranti o di qualità ritenuta insufficiente a giustificarne le costose spese di trasporto in Europa. Altre, invece, (chissà se più fortunate o meno) sono approdate a Parigi, Berlino e Copenhagen.
Su ALIBI Online potete leggere un’intervista all’egittologo Paolo Gallo.
Saul Stucchi
Informazioni:
www.louvre.fr