Così come – si dice – le donne incinte si accorgono delle altre donne col pancione a cui prima non avrebbero fatto caso, dopo aver intrapreso la lettura a tappe del capolavoro di Ovidio (giusto oggi ho finito il primo libro) vedo Metamorfosi dappertutto.
Sterminato archivio di storie che ha nutrito secoli di arte occidentale, l’opera del poeta latino è la fonte della scena che raffigura Perseo in procinto di liberare Andromeda, dipinta su una tavola – forse di un cassone nuziale – da Bonifacio de’ Pitati attorno alla metà del Cinquecento.
È una delle prime opere in cui si imbatte il visitatore al principio del percorso espositivo, al primo piano di Palazzo Maffei Casa Museo a Verona. Ne potrà ammirare altre seicento e passa, tra dipinti, sculture e oggetti preziosi, delle datazioni e provenienze le più disparate. A tenerle insieme solo il gusto eclettico del collezionista Luigi Carlon.

Avevo partecipato all’inaugurazione della Casa Museo nel febbraio del 2020 – poco prima che iniziasse l’incubo della pandemia da covid – e poi a quella del secondo piano, nell’autunno del 2021, ma era un po’ di tempo che volevo tornarci. Così ho approfittato di una breve sosta a Verona per tuffarmi di nuovo in questo meraviglioso scrigno di tesori che affaccia sulla centralissima Piazza delle Erbe.
Quando visito un museo che già conosco procedo di sala in sala secondo uno schema collaudato ormai da decenni (Eheu fugaces labuntur anni, direbbe il collega di Ovidio, Orazio): torno a soffermarmi sulle opere che hanno attirato la mia attenzione in precedenza, ma cerco anche di lasciare spazio a nuove curiosità.
Nel giro che ho compiuto venerdì mattina ho fatto tappa davanti a quelli che considero i “miei” pezzi preferiti, sostando in particolare nella saletta dedicata alla maternità, in cui una scultura di Arturo Martini dialoga con dipinti del Quattro e Cinquecento.
Avendone approfondito l’opera in due mostre visitate nei giorni scorsi (mi riferisco a Una storia di Arte e di Poesia al Museo d’Arte di Mendrisio e a Etruschi del Novecento alla Fondazione Rovati di Milano), ho guardato con occhi nuovi al Racconto rosso di Leoncillo, in terracotta engobbiata e smaltata, di cui la didascalia in sala così scrive: “Racconto rosso, lungo circa due metri, esibisce sulle superfici i segni feroci di una battaglia e terribili lacerazioni, eppure il rosso acceso della materia in contrasto con l’engobbio scuro rende poetica la tragedia”.

Certamente poetica è l’opera recentemente aggiunta alla Sala XII dedicata ai Traghettatori. Si tratta dell’icona più celebre al mondo, stando a quanto si legge nella didascalia. Parliamo ovviamente de La grande onda di Kanagawa di Katsushika Hokusai, una xilografia a colori su carta in stile ukiyo-e datata 1831. È una delle ultime acquisizioni della collezione e giustamente merita una lunga sosta in ammirazione.
Ma mentre ero nella piccola sala mi sono reso conto di quanti altri gioielli mi circondassero: dal Ritratto di signora seduta di Giovanni Boldini al Monsieur Chéron di Amedeo Modigliani, passando per la scultura in gesso La portinaia di Medardo Rosso (un ritratto della “sciora Orsola”, la portinaia del palazzo milanese in cui viveva l’artista) e lo strepitoso olio su tela Il Canal Grande a Venezia dipinto nel 1907 da Umberto Boccioni.

Un’altra recente acquisizione della Casa Museo è la barca funeraria egizia che dallo scorso gennaio detiene il primato di opera più antica tra quelle della collezione, grazie alla sua datazione che la riporta a quasi quattromila anni fa. L’antichità non è l’unica ragione della sua preziosità: è tra i pochissimi modelli di imbarcazione, infatti, a conservare l’albero completo di vela, al pari di due “sorelle” rispettivamente al Metropolitan Museum di New York e all’Ashmolean di Oxford. Secondo gli studiosi fu realizzata durante il Medio Regno.
Racconta Luigi Carlon:
Sono sempre stato attirato da queste Barche Sacre egizie e ogni volta che le vedevo nei musei il mio pensiero mi portava al dipinto di Böcklin ‘L’Isola dei morti’. In questa opera, nella barca, a poppa c’è il timoniere mentre a prua si trova una misteriosa figura vestita di bianco che sta per passare dal mondo dei vivi all’Aldilà. Anche gli egiziani credevano in un mondo ultraterreno e la barca serviva per trasportare il defunto in un nuovo mondo. Anche qui c’è a poppa il timoniere e poi i rematori e il corpo del defunto”.
La piccola imbarcazione in legno policromo – misura 50 cm in lunghezza – è ospitata in una teca della Sala V del secondo piano, in cui opere e oggetti invitano a riflettere sul sapere universale e la caducità delle cose. Qui trovano posto i volumi dell’Encyclopédie di Diderot e d’Alembert. Ecco: la collezione Carlon è davvero una raccolta enciclopedica, a cui ora si sono aggiunte le voci “Onda” e “Barca funebre”.
Se non bastassero seicentocinquanta motivi per visitare Palazzo Maffei, sappiate che c’è anche la partecipazione al programma Musei in Musica: i prossimi due concerti da camera ospitati nel Teatrino del Palazzo – sempre di domenica alle ore 11.00 – si terranno il 13 aprile e l’11 maggio.
Saul Stucchi
Didascalie:
- Katsushika Hokusai
La grande onda di Kanagawa (1831)
Xilografia a colori su carta, stile ukiyo-e
Palazzo Maffei Casa Museo
Verona, Collezione Carlon - Barca sacra
Egitto, Medio Regno (1939 – 1850 a.C.)
Legno policromo
Palazzo Maffei Casa Museo
Verona, Collezione Carlon
Casa Museo Palazzo Maffei
Piazza delle Erbe 38
Verona
Orari: tutti i giorni (tranne il martedì) 10.00 – 18.00
Ultimo ingresso 17.1)
Martedì chiuso
Biglietti: intero 15 €; ridotti 13/11/7 €
Terrazza 5 €
Informazioni: