Le lacrime sono probabilmente le vere protagoniste dell’undicesimo libro dell’Odissea: la discesa all’Ade (o Nekyia) di Ulisse è infatti una navigazione in un mare di pianto.
Dopo un giorno di vento propizio, la nave di Ulisse approda ai confini dell’Oceano, nella terra dei Cimmeri. Arrivato con i compagni nel luogo indicato da Circe, l’eroe offre una libagione a tutti i morti, “prima di latte e miele, poi di vino dolce, infine di acqua”. Poi compie il rito cruento sgozzando le bestie sacrificali.
Sui vari aspetti del sacrificio e la concezione omerica dell’anima si è soffermata il mese scorso la professoressa Eva Cantarella al Piccolo Teatro Grassi di Milano, in occasione dell’incontro dal titolo Prendi un ben fatto remo, e in via ti metti, con Toni Servillo e Mimmo Borrelli.
La concezione che avevano dell’aldilà gli antichi Greci era molto diversa dalla nostra, così come molto diversa era quella dell’anima. La professoressa ha ricordato che secondo lo studioso Jean-Pierre Vernant i Greci hanno socializzato e umanizzato la morte.
Toni Servillo ha letto alcuni versi della traduzione in lingua flegrea (quella parlata a Bàcoli e nella sua frazione di Cuma, la prima città greca fondata in Italia) dell’Odissea (qui sotto ne riportiamo un minuto); ma in effetti quella di Borrelli, più che traduzione è stata opera di ri-creazione dell’epos omerico.
Nel suo intervento, lo scrittore e drammaturgo ha stregato il numeroso pubblico con una lezione sul dialetto (sui dialetti) che è diventata un piccolo spettacolo, salutato alla fine da un caloroso applauso.
Ll’anema tebana di Tiresia, aggrisse
cu ll’ati Cimmere, me dicette: “Aulisse,
onorato, ma ‘nfelice ommo smaleritto,
cundannato ra ll’arsura r’ ‘a scienzianza,
appecundruto ‘a nu viaggio maje deritto,
ma sempre stuorto r’ ‘a sete ‘i canuscenza,
pecché hae rifiutate calimma e raggie
r’ ‘u sole e il mondo degl’illuminati
e a Casariavulo hae priurato ‘u viaggie
addo’ ‘i muorte nun teneno ‘a parate,
‘u negativo ‘i ll’ombre m’mbaccia ‘i mure,
né ‘nterra e ogni spirito è ammorbate
r’ ‘a fuschia r’ ‘a dannazione ca te scure??
Ma torniamo nell’Ade. Il sacrificio di Ulisse evoca i morti e per descrivere la loro apparizione il poeta impiega i versi più belli dell’intero libro. Li riporto in calce. Il catalogo delle anime che si avvicinano a Ulisse per parlare con lui si apre con il compagno Elpenore, caduto dal tetto della casa di Circe e lasciato insepolto: i due, riconoscendosi, piangono. Ulisse piange anche vedendo la madre Anticlea con cui però non scambia, al momento, parola.
Si avvicina poi l’indovino Tiresia che ordina all’eroe di allontanarsi per consentirgli di bere il sangue delle vittime. La sua profezia annuncia che il ritorno di Ulisse sarà difficile per l’ira di Poseidone e per l’empia uccisione dei buoi del Sole. Una volta giunto a Itaca, vi troverà i rivali insediati nella reggia. Dopo che avrà compiuto la sua vendetta, dovrà riprendere il viaggio, ma la morte gli arriverà lontano dal mare.
Dopo aver bevuto il sangue, Anticlea riconosce il figlio e piange. Gli domanda perché sia lì e Ulisse glielo spiega. A sua volta lui si informa sulla situazione a Itaca, chiedendole – in ordine – di cosa sia morta, come stiano Laerte e Telemaco, se il suo potere sia ancora riconosciuto, se Penelope difenda la casa o sia finita sposa di un pretendente. Anticlea risponde parlando prima di Penelope, fedele e sempre in lacrime; del potere che non è passato ad altri; di Telemaco che amministra e banchetta, mentre Laerte se ne sta nei campi. Lei, infine, è morta per il rimpianto, il pensiero e l’amore per lui, suo figlio. Tre volte Ulisse cerca di abbracciarla e tre volte lei sfugge come un’ombra.
Si avvicinano numerose donne e Ulisse le interroga a una a una: Tirò, Antiope, Alcmena, Megare, Epicaste, Clori, Leda, Ifimedea, Fedra, Procri, Ariadne, Maira, Climene, Erifile. Omero le presenta in un verso o in brevi cammei di insuperabile maestria. L’eroe conclude il suo racconto dicendo che l’elenco completo sarebbe molto più lungo, ma lui desidera ora dormire.
Alcinoo però lo convince a riprendere la narrazione delle sue sventure. Dopo le donne è il turno degli eroi: Agamennone rievoca il proprio assassinio per mano di Egisto e tradimento di Clitennestra, l’esatto opposto di Penelope, personificazione della fedeltà. Eppure consiglia a Ulisse di non confidarsi completamente con lei, perché non è bene fidarsi di una donna. Gli chiede poi del figlio Oreste, ma Ulisse non ne conosce la sorte.
Achille risponde alle lodi dell’itacese con un discorso venato di profonda tristezza: preferirebbe di gran lunga essere l’ultimo tra i vivi che il primo tra i morti! Anche lui si informa sul figlio e sul padre. Di Peleo Ulisse non sa nulla, ma di Neottolemo gli racconta in sintesi le imprese e
“l’anima del veloce Achille si allontanò a grandi passi
sul prato di asfodelo,
lieta perché avevo detto che suo figlio era ormai famoso”.
Aiace Telamonio, invece, se ne sta in disparte silenzioso, ancora adirato per la vicenda delle armi di Achille, assegnate a Ulisse piuttosto che a lui. Il re di Itaca vede poi Minosse che amministra la giustizia tra i morti, Orione mentre caccia, Tizio, Tantalo e Sisifo sottoposti a estenuanti supplizi, l’immagine di Eracle che spaventa i trapassati. Ulisse si allontana e torna alla nave dai compagni.
Saul Stucchi
I versi più belli:
“Allora vennero fuori dall’Erebo le anime dei morti:
giovani spose e ragazzi,
e vecchi che avevano molto sofferto,
ingenue fanciulle con un dolore recente nel cuore
e tanti uomini colpiti dal bronzo delle lance e morti in battaglia,
con le armi grondanti sangue”. (XI, vv. 37-41)

- Odissea
- Autore: Omero
- Traduzione di Dora Marinari
- Commento di Giulia Capo
- Prefazione di Piero Boitani
- Copertina flessibile: 628 pagine
- Collana: Visioni
- Lingua: Italiano
- www.lalepreedizioni.com