Seconda puntata del reportage di Marco Grassano sul suo soggiorno pasquale a Creta.
Com’è mia abitudine, lascio le persiane aperte; inoltre, poiché nessuno ha la possibilità di sbirciare nella stanza, non tiro le tende: così posso cogliere ogni sfumatura di luce e ogni movimento fuori dalle finestre.
L’esposizione a Nord non permette di osservare direttamente il sorgere del sole, ma ne contemplo i riflessi: fosforei e rosati a destra, sullo spicchio visibile di cielo orientale; grigiazzurri di fronte, sulla liscia superficie della marina. Mi affiora di nuovo un’immagine di Ritsos: “Guardò l’alba che svaporava. Un po’ di rosa in cielo è sofferenza”.

Torno a sdraiarmi. L’intensità luminosa aumenta, fino alla pienezza del giorno. Rondoni prendono a sfrecciare sopra lo spiazzo, garrendo clamorosi e virando bruscamente, con le ali distese, a pochi passi dalle pareti.
Mi siedo all’oblungo tavolino grigio tra i piedi del letto e le finestre. Sbuccio e taglio a fatica una mela: il coltello pare poco affilato. Mordicchio voluttuosamente uno dei grandi biscotti. Bevo, altrettanto voluttuosamente, il latte – così, senza scaldarlo. Mi lavo i denti ed esco.
L’edificio limitrofo al mio alloggio del 2021, in cui muratori flemmatici ma nondimeno rumorosi operavano di martello, frattazzo e cazzuola, è quasi completamente recuperato e trasformato in una struttura ricettiva dal gradevole intonaco rosa, con sulla porta un’elegante insegna in bronzo.
Tappa alla Mediterraneo
Sono quasi le dieci: per quel che ricordo, orario di apertura della Mediterraneo Bookstore. Mi dirigo lì.
Il sole batte già piuttosto caldo, così mi metto in maniche di camicia. L’odore di salsedine è lieve. La schiera dei ristoranti si sta pian piano preparando a riprendere l’attività. In corrispondenza di alcuni, a ridosso dell’acqua, simili a piccole vaporiere aperte, telai per grigliare la carne e il pesce.
Scorgo Kostas Levakis fuori dal negozio, intento a collocare i supporti metallici su cui sono esposti vari tipi di souvenirs. Si gira, mi riconosce, mi saluta e mi accompagna fino alla cassa.
Racconta di essere riuscito ad andare in pensione a 63 anni, ma di percepire solo 900 euro al mese, che non sono molti. Così continua a lavorare, nell’attività commerciale intestata alla figlia (in negozio anche lei, la riconosco dalle foto di Facebook). Ora la Mediterraneo è solo in parte libreria: non tengono più letteratura in greco e in italiano (continuano invece ad averne in inglese, francese e tedesco) e in compenso vendono articoli per turisti: foto, busti, statuette, tazze…
Assieme all’antologia delle opere di Seferis nella collezione “I Nobel” e all’Edipo Re, gli offro una copia del mio libro. Dice che lo leggerà appena possibile, con tutte le cose che ha da fare. Mi ordina al vicino bar una spremuta d’arancia (portokalada), utile per inghiottire la mia medicina. Mi regala due raccolte di Ritsos in francese, col testo a fronte: Symphonie du printemps e Le Chant de ma soeur.
Racconta che la secondogenita sta finendo il liceo e in autunno inizierà l’Università, a Salonicco (migliore della caotica Atene). Così lui avrà più tempo per viaggiare, per tornare a visitare l’Italia: la Toscana, il Veneto, la Liguria, Torino… A differenza di Sophia, mi consiglia di assistere all’Epitaphios (ecco la parola che Pontani, nella traduzione del Diario di Seferis, ha reso con “Sepolcro”!) in cattedrale: “Io non partecipo, a quelle cerimonie, ma lì è più solenne, alla presenza di tutte le autorità…”. Gli dico di voler visitare il nuovo Museo Archeologico. Mi dà una mappa della cittadina, così posso girare a mio agio e trovare tutto quel che voglio.
Verso il Museo
Mi incammino verso i quartieri orientali, dove sorge l’avveniristico complesso espositivo. Arrivo al caffè Antigone e seguo, dall’interno, i bastioni, finché, superato un giardinetto, svolto in una strada che si fa breccia nel baluardo e passa ad assecondare la baia e la spiaggia di Koym Kapi, dove non ero mai venuto: basse palazzine da riviera deteriore, esplanadas rettangolari riparate da gazebo o da massicci ombrelloni, marciapiedi un poco sconnessi…

Ormai in vista della fine del lungomare, svolto in una viuzza a destra, lievemente acclive, pure accidentata e con due file di auto in sosta, che poco dopo incrocia un’arteria più importante (Odòs Venizelou) diretta a est, anch’essa in leggera salita. A questo punto, mi telefonano dalla Direzione Ambiente della Regione Piemonte, per l’accordo di programma relativo a uno studio sui giacimenti termali di Acqui. Ne discuto come se mi trovassi in ufficio.

Domando in inglese a una coppia di turisti maturi e alti dove si trova il museo. Mi indicano la direzione che già sto seguendo, senza sapermi dire di più. Continuo finché la via esce a sovrastare il litorale. Dal basso muretto esterno si affacciano ciuffi rigogliosi di ailanti, che più in là diventano canneti, quindi oleandri e acanti già in fiore, e, dopo un piccolo giardino pubblico con aiuole d’erba e panchine, intricate tamerici. Al riparo dei loro rami, in cima al muretto, tre bei micioni dai mantelli difformi stanno bevendo l’acqua nelle ciotole e sgranocchiando i croccantini lasciati da qualche anima buona.
Perdere la strada
La Venizelou piega a destra, inoltrandosi fra casette moderne sufficientemente ammantate di verde. Mi sfugge l’indicazione per il Museo, forse perché dissimulata fra gli alberelli del viale. Imbocco quindi una traversa più avanti, di fronte all’antica residenza di Eleftherios Venizelos, ora museo e centro studi. Ma adesso non so proprio più dove andare.
Arrivo in corrispondenza di un piccolo supermercato. Una signora bassa, vestita di scuro, occhiali affumicati, evidentemente anziana ma con molta cura di sé, esce trainando il carrellino a due ruote in cui ha infilato la spesa. Mi rivolgo a lei: “Kyría, xérete pu ine to archeologikó mussío?”. Mi fa cenno di seguirla, lasciandomi capire, un po’ a parole e un po’ a gesti, che deve ripescare qualcosa di accantonato nella memoria. E infatti, subito dopo sfodera qualche lenta parola in inglese per domandarmi di dove sono e altri dettagli minimali. Mi fa tornare in parte indietro e mi conduce in una breve via a sinistra, al cui termine si scorge uno squadratissimo edificio che potrebbe tranquillamente essere un centro commerciale.
Il cancello di accesso al parcheggio è chiuso. Un biglietto esposto al vetro della portineria avvisa: “Paraskeví 3 Maiu, anichtá apó tis 14:00 éos tis 19:00”. “Today is Good Friday, Megali Paraskeví”, commenta la donna, aggiungendo che non sa se nei prossimi giorni sarà aperto, per via della Pasqua (Páscha). Le dico che tornerò nel pomeriggio, la ringrazio con un sorriso e una stretta di mano, poi dichino la via residenziale che fronteggia la struttura, fino a raggiungere la Venizelou.
Faccio ben attenzione a dove è posizionato il cartello indicatore, così non sbaglio più. Seguo questa strada principale a lungo, fino all’unico semaforo; poi svolto a destra e arrivo alla muraglia e al varco da cui ero transitato andando. Malgrado la piacevole brezza marina che trasvola la darsena, il clima è quasi estivo, e devo rimboccarmi le maniche (in senso letterale).
All’altezza della Moschea, è tornata la fila dei cavalli con carrozzino per portare a spasso i turisti. Distolgo il pensiero, rattristato.
Per il pranzo è ancora presto. Faccio allora una capatina alla libreria To mikró karavi, di fronte alla chiesetta di San Rocco. Domando all’elegante signora bruna seduta alla cassa se è possibile avere, in greco, Poena damni, di Dimitris Lyakos, e Quarta dimensione, di Ritsos; Lyakos non lo conosce; sfila invece dallo scaffale della poesia il voluminoso ma non pesante Tétarti diástasi.
Sosta musicale
Di strada per la taverna Argo, mi fermo nel negozio di dischi. Il maturo proprietario lo ricordo. Gli dico che cerco qualcosa di Theodorakis, di Manos Hatzidakis e di Eleni Karaindrou. Mi dispone sul banco una serie di CD. Il Canto general di Neruda musicato dal Maestro ce l’ho già. Dell’altro autore prendo l’antologia 35 tragoudia 1947-1985 e un album con testi di Nikos Gatsos, Chimoniátikos ílios, ossia Sole invernale.
Della donna scelgo le colonne sonore per due film di Theo Angelopoulos: Lo sguardo di Ulisse e Il passo sospeso della cicogna; il venditore me ne regala una terza: La sorgente del fiume. In negozio c’è anche un uomo alto, neppure lui giovane. Scambiamo qualche battuta. Mi dice che Mikis e Manos erano entrambi grandi, ma artisticamente assai diversi fra loro: Theodorakis più politico, Hatzidakis più sentimentale.
Rispondo che avevano anche molto in comune: oltre ai cognomi cretesi, erano nati nello stesso anno e avevano attraversato le stesse tribolazioni in contrasto con la dittatura. Gli racconto che nel 2021 ero già stato qui a fare acquisti e poi ero andato a vedere la casa e la tomba del Maestro, a Galatás.
Ordino a Kostas frittelle di formaggio, morbidissime e appetitose, e saporita zuppa di pollo coi fidellini (mi rammentano l’infanzia…). Dopo il dolce, chiedo un caffè greco, “énan ellinikó kafé”, ribadendo: “no espresso!”. Mi piace, è simile a quello che preparo a casa con la caffettiera napoletana. Ozieggio ancora un po’ al tavolo, salgo in camera a lasciare gli acquisti e vado al Museo ripercorrendo l’itinerario seguito per tornare, che mi pare più facile.
Al Museo Archeologico
Lungo il primo tratto della via di arrivo, a sinistra, immersa in un grande parco, una chiesa dalla quale provengono le medesime sinuose lamentazioni amplificate e i medesimi rintocchi (che, mi viene in mente, potrebbero essere funebri) uditi ieri sera. L’associazione di idee sorge spontanea – e forse è proprio il pensiero che si intende suggerire: “Non chiedere mai per chi suona la campana, essa suona per te”.

Nello specchio di terreno a destra dell’ingresso, una fila di lavande già tutte fiorite. Sono le tre. Entro e mi avvicino alla biglietteria. Per “1 Kyrios” l’ingresso costa 6 euro. Inizio l’esplorazione. Il materiale è lo stesso di cinque anni fa, ma meglio disposto in vetrine e allestimenti – grazie agli spazi su misura – e anche meglio chiosato. Soprattutto, come scrivo alla famiglia, mi colpisce il numero dei modelli di giare, orci, anfore, vasi, flaconi, fiale e via elencando: “Qui se ne fanno un baffo della zia Olga… Nessuna zia Olga arriva a questo punto… Ma anche col vetro ci sapevano fare…”.

Altri commenti riguardano la statuaria ellenistico-romana: “Afrodite che sorge nuda dall’acqua… L’imperatore Adriano: chissà che ne direbbe la Yourcenar… Ecco un Adso da Melk ante litteram…”. Noto una stadera del tutto simile a quelle che, quando ero bambino, usavano al mio paese i commercianti per pesare i sacchi di fagioli degli agricoltori, un curioso stampo (?) a forma di seno femminile e una serie di sigilli recanti ideogrammi merceologici.
Imparo che la parola politismós significa civiltà (osservando la sezione O Minoikós politismós): d’altronde, polis corrisponde a civitas. Apprezzo anche la contestualizzazione geomorfologica di alcuni ritrovamenti, quali ad esempio una traccia di orme umane fossilizzate.
La collezione Mitsotakis
Salgo al primo piano, a esaminare la notevole collezione Mitsotakis, riunita e messa a disposizione dalla famiglia – originaria di Chanià – dell’attuale Primo Ministro (commento con uno dei guardiani che il padre di Kyriakos, Konstantinos, peraltro imparentato con l’onnipresente Venizelos, fu anche lui Capo del Governo, e proprio con Mitsotakis senior Mikis Theodorakis accettò l’incarico di Ministro della Cultura: fra compaesani, anche se di ideologie diverse, ci si aiuta sempre, quando si emigra nella Capitale…).
Le vetrate del corridoio e il terrazzo del bar, in fondo, offrono una magnifica visione sopraelevata del mare e della costa… altro che il Grattacielo della Regione, a Torino! Sulle pareti, pastelli e acquerelli raffigurano gatti in vari atteggiamenti.

Mi soffermo alla boutique del pianterreno per acquistare due volumetti illustrati sul Museo e sui “ricordi” (mnemía: saranno i cimeli?) della “Contea di Chanià” (Nomos Chaníon). Compro anche un paio di orecchini creati dalla stilista Vally Kontidís, “ispirati ai disegni floreali degli affreschi del palazzo miceneo di Tebe” (così vengono descritti). In virtù di questa spesa, la commessa mi regala una massiccia pubblicazione a colori intitolata Minoitón ke Mikenéon Géusis, (ossia, Sapori minoici e micenei), scusandosi di non averla a disposizione in altre lingue. La ringrazio e le assicuro che non importa, cercheremo di capirla ugualmente.
Nella chiesa del parco continuano gli inni sinusoidali e i cadenzati scampanii.
Seconda puntata. Segue
Marco Grassano
Didascalie:
- L’alba
- Varcando i bastioni
- Acanti in fiore
- Orci, anfore, vasi…
- Ritratto virile
- Dalla terrazza del bar