“L’ALIBI della domenica” di questa settimana è un piccolo omaggio a Umberto Eco che avrebbe compiuto 90 anni il 5 gennaio.
Perché Napoleone fu sconfitto a Waterloo? Colpa della pioggia caduta abbondante il giorno prima della battaglia: il terreno fangoso aveva ritardato la disposizione delle batterie di cannoni con cui l’imperatore voleva scompigliare lo schieramento di Wellington.
Il 18 giugno 1815 Napoleone in realtà si trovò a combattere contro il tempo (a causa del meteo!) e perse la sfida. Le cose per lui andarono troppo per le lunghe, consentendo all’armata del feldmaresciallo von Blücher di unirsi agli alleati. Il sostanziale pareggio di forze mantenuto fino a quel momento veniva di colpo sbilanciato a favore della settima coalizione. Neppure il genio strategico di Napoleone poteva più ribaltare la situazione. Scacco matto!

Waterloo secondo Pratt
Questa è la versione della storia che conoscevo. Poi, qualche giorno fa, praticamente in contemporanea, ho letto due versioni totalmente differenti. Non in libri di storia, ma rispettivamente in Hugo Pratt. Corto Maltese – Letteratura disegnata, a cura di Vincenzo Mollica e Patrizia Zanotti (pubblicato in occasione dell’omonima mostra al Chiostro di Voltorre, nel 2007) e in Come fu ucciso Umberto Eco e altri piccolissimi omicidi di Giorgio Celli (Piemme, 2000).
Nella conversazione con Eddy Devolder inserita nel primo libro citato, per rispondere alla domanda su cosa sia per lui “saper raccontare”, Pratt rievoca la storia di Maria Grazzini, cantante della Scala. Ebbe una relazione con Napoleone ai tempi della sua incoronazione a Re d’Italia (1805), per poi “cambiare campo” e diventare l’amante di Wellington. Ma anche von Blücher aveva messo gli occhi su di lei! Così chiude la sua risposta Pratt:
Se riassumo tutti gli elementi: Maria Grazzini, Nizza, Wellington, Blücher… non posso che restare meravigliato, affascinato, per il fatto che il destino dell’Europa sia stato sconvolto da una questione fondamentalmente sentimentale. Ritrovare tutti questi elementi favolosi che potrebbero sembrare scaturiti dall’immaginazione, ecco cosa m’interessa”.
Waterloo secondo Celli
Il piccolo libro di Celli è una raccolta di gustosi racconti gialli, scritti da un amante delle indagini di Sherlock Holmes per amanti come lui. A cominciare dal primo che vede come vittima niente meno che Umberto Eco, sulla cui morte indagano proprio Holmes e il dottor Watson. L’adozione è invece il primo dei tre brevi testi della sezione Le botteghe degli antiquari. L’antiquario ebreo Svengali (personaggio creato dallo scrittore George du Maurier) riceve la visita di un giovane, chiamato Topor, che cerca di destarne la curiosità dicendo di possedere quello che l’antiquario desidera da sempre. Riporto qui una parte del dialogo:
SVENGALI Astuto, il ragazzo! Lei crede di potermi sedurre con un miraggio? Forse, ha ragione. Tutta la mia bottega è un labirinto di miraggi, un luogo incantato, dove la storia non si veste di memoria, ma si fa concreta nelle cose. Guardi questa chicchera da tè. Era, pensi un po’, di Wellington, e ci fa capire perché il nostro duca, a Waterloo, non poteva perdere. Chi beve il tè in una chicchera come questa ha sempre gli antenati con sé. Insieme hanno sconfitto Napoleone.
TOPOR Insieme? Napoleone? Non capisco!
SVENGALI Ma è chiaro, l’imperatore dei francesi era solo un parvenu: beveva caffè in quel che gli capitava. Napoleone era l’eccezione, Wellington la tradizione: tra un tè e un caffè, un bel giorno, il mondo è ritornato in ordine e il Corso si è ritrovato a Sant’Elena. Tutto merito di una chicchera! Le cose parlano per noi. Il bicchiere con cui bevi è un delatore.
Se dunque la campagna di Russia fallì per colpa del gelo che frantumò lo stagno con cui erano realizzati i bottoni delle uniformi della Grande Armée (questa, almeno, è la tesi del fortunato libro I bottoni di Napoleone. Come 17 molecole hanno cambiato la storia dei chimici Penny Le Couteur e Jay Burreson), la sconfitta di Waterloo fu determinata dai magheggi di un’ex amante o addirittura da una chicchera!
Waterloo secondo Eco
Chiudo con una piccola – ma non insignificante – curiosità. Anzi, due. Navigando in rete mi sono imbattuto in questo testo di Umberto Eco: Sul concetto di influenza: Borges e Eco, pubblicato in Relaciones literarias entre Jorge Luis Borges y Umberto Eco, a cura di María J. Calvo Montoro e Rocco Capozzi (Toronto: Department of Italian Studies, University of Toronto/ Cuenca: Ediciones de la Universidad de Castilla-La Mancha, 1999).
Prima curiosità: prima di affrontare il tema dei suoi rapporti con Borges, Eco si sofferma sulle proprie influenze, menzionando l’amico Giorgio Celli:
[…] nel corso del mio lavoro narrativo sono state trovate delle influenze di cui io ero assolutamente cosciente, altre che non potevano essersi verificate perché io ignoravo la fonte, altre ancora che mi hanno sorpreso ma convinto, come quando Giorgio Celii, a proposito del Nome della rosa, vi ha individuato l’influenza dei romanzi storici di Dimitri Merezkovskij, e io ho dovuto ammettere che li avevo letti a dodici anni, anche se mentre scrivevo non pensavo a essi”.
Una manciata di pagine dopo scrive:
[…] i labirinti borgesiani hanno probabilmente fatto coagulare, per me, i molti richiami al labirinto che avevo trovato altrove, tanto che mi sono chiesto se avrei potuto scrivere Il nome della rosa senza Borges. Siamo di fronte a un condizionale controfattuale del tipo “Se Napoleone fosse stato una donna somala, avrebbe vinto a Waterloo?”.
Oibò! Il 2022 è appena iniziato e già due libri hanno scosso la mia fiducia nella “versione ufficiale” della storia. Chissà che nel corso dell’anno non arrivi a scoprire che Napoleone fu davvero una donna somala!
Nel frattempo, per tornare al tema degli apocrifi, mi sono messo ad ascoltare l’audiolibro de Il nome della rosa, letto da Tommaso Ragno.
A ben riflettere, assai scarse erano le ragioni che potessero inclinarmi a dare alle stampe la mia versione italiana della oscura versione neogotica francese di una edizione latina secentesca di un’opera scritta in latino da un monaco tedesco sul finire del Trecento”.
Scarse, ma per nostra fortuna sufficienti.
Saul Stucchi