L'enigma di Piero

Chi sono i personaggi che compaiono nella celeberrima Flagellazione di Piero della Francesca, insieme al Cristo alla colonna?
Perché il giovane biondo in primo piano è scalzo e guarda lontano, senza apparente attenzione verso i due interlocutori accanto a lui? Che significato hanno (se ne hanno uno) gli strani copricapi indossati da quattro degli otto personaggi rappresentati? A quale città allude l’enigmatica architettura la cui prospettiva è studiata e riprodotta in maniera matematica? A queste e a molte altre domande cerca di rispondere Silvia Ronchey nel suo affascinante saggio L’enigma di Piero, edito da Rizzoli. Quattrocento pagine (più altre centoquaranta di apparati e indici) che si leggono come un romanzo d’appendice, con tanto di fanciulle morte misteriosamente, crolli d’imperi, matrimoni d’interesse e l’immancabile scontro di civiltà, troppo spesso citato a sproposito. Qui invece è davvero in atto una lotta mortale tra l’impero bizantino ormai al tramonto e quello ottomano vicino al proprio culmine. Vuole la leggenda che Mehmet II, il conquistatore della Seconda Roma (appunto Costantinopoli-Bisanzio), meditasse sulla sorte di tutti gli imperi recitando i versi di un poeta persiano: “Il ragno fa da portinaio nel palazzo di Cosroe. / Il gufo suona la musica di guardia nella fortezza di Afrasijab”. Come Scipione sulle rovine fumanti di Cartagine, secondo il celebre aneddoto di Polibio. Lezione che dovrebbero mandare a memoria tutti coloro che sognano un dominio intramontabile.

Il protagonista dell’avvincente saggio è Bessarione, il Cardinale Nero. Massimo intellettuale del suo tempo, cercò in tutti i modi di salvare l’eredità culturale di Bisanzio, tanto da lasciare a Venezia la propria biblioteca, ricca di codici di inestimabile valore, anche se la Serenissima ben poco aveva fatto per aiutare la sua patria in pericolo. “L’ultimo grande bizantino volle affidare il seme culturale del mondo antico e antimoderno che si sforzava di conservare proprio alla repubblica mercantile che con la sua politica modernamente pragmatica aveva finito per distruggerne il potere”. Analizzando documenti sepolti in archivi che possiamo immaginare di assai difficile accesso, comparando affreschi e dipinti sparsi in tutta Europa, spulciando diari di viaggio e centinaia tra libri e articoli, l’autrice va alla ricerca delle chiavi per comprendere i numerosi misteri che aleggiano attorno alla piccola tavola di pioppo (le misure sono 81,5×58,4 centimetri). Proprio a questo riguardo vale la pena svelare al lettore almeno una delle risposte: la piccola striscia di marmo nero dipinta sopra il capo del personaggio identificato con Bessarione è l’unità di misura della tavola (pari a 4,699 centimetri): moltiplicata per dieci dà la sua lunghezza, mentre l’altezza è sette volte la striscia di marmo. Nessun elemento è casuale. Naturalmente la Ronchey non cammina su un terreno vergine, ma le va riconosciuto il merito di proporre una ricca messe di dati a sostegno della sua tesi, per molti aspetti originale. La studiosa allarga l’orizzonte in cui collocare la Flagellazione portando il dipinto al di là degli angusti confini dell’Italia centrale della seconda metà del Quattrocento. Il tema avrebbe infatti un respiro internazionale e la tavola era forse destinata a viaggiare di corte in corte: una sorta di manifesto politico, di messaggio propagandistico per esortare alla Crociata. Chiuso il libro resta nella testa la fitta trama d’intrecci che unirono od opposero i principali protagonisti del secolo (non solo politici, ma anche artisti e uomini di cultura) e un’insopprimibile voglia di rivedere da vicino questo piccolo capolavoro, custodito nella Galleria Nazionale delle Marche a Urbino.
Saul Stucchi